Arezzo: false assunzioni di connazionali attraverso aziende fittizie per favorire il rilascio di permessi di soggiorno. Carabinieri denunciano 16 persone compresi due imprenditori pakistani e un loro parente oltre a un commercialista e a un tributarista italiani

I militari del Nucleo Investigativo di Arezzo e del locale Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro, a conclusione di una complessa e prolungata attività di indagine nata autonomamente a seguito dell’arresto di un soggetto di origini albanesi per reati inerenti gli stupefacenti, tramite servizi di osservazione, controllo ed analisi di documenti,  hanno denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo complessivamente 16 persone.Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di numerosi episodi criminosi, quali la truffa aggravata ai danni dello Stato ed il falso in atto pubblico, consumati al fine di ottenere numerose utilità amministrative e giudiziarie. Il complesso disegno criminale era attuato da imprenditori pakistani, titolari di ditte per la lavorazione di metalli con sede nel comune di Arezzo, che avevano da anni interrotto le attività produttive ed erano ormai sprovviste di una reale sede fisica, nonché delle imprescindibili utenze per i laboratori e mancanti di attività fiscale. Tali società, tuttavia, non erano mai cessate presso la Camera di Commercio e come delle “scatole vuote” venivano utilizzate, invece, per la realizzazione di numerosi atti amministrativi; infatti i cittadini stranieri coinvolti, fittiziamente  assunti e consapevoli di ciò, utilizzavano i relativi contratti di lavoro e le buste paga per ottenere ingiusti profitti, tra i quali il rilascio o il rinnovo di permessi di soggiorno per lavoro subordinato ed indennità di disoccupazione.  Gli organizzatori della rete criminale sono risultati essere due imprenditori pakistani ed un loro parente, che aveva il ruolo di referente unico nei confronti dei professionisti italiani implicati, un commercialista e consulente del lavoro ed un tributarista, che a loro volta curavano tutte le incombenze del caso presso la Pubblica Amministrazione. Uno degli stranieri coinvolti riusciva perfino, tramite la presentazione di documentazione non veritiera ed inducendo in errore il giudice, ad ottenere una misura meno afflittiva per una vicenda penale in cui era rimasto coinvolto.