Città della Pieve : intervista con Angelo Inglese,  il compositore con il cappello fra creatività e competenza

Di G.Laura Ascione

L’uomo con il cappello mi ha sempre incuriosita, credo che dietro quell’aspetto morigerato e tranquillo vivano, sopite ma non troppo, travolgenti passioni. Potete immaginare quante domande sono nate nel momento stesso in cui l’ho incontrato alla Stazione, distinto, giacca verde e cappello. Quando poi ad una mia battuta mi ha risposto che con il cappello ci dorme anche è stato il delirio!

D.Angelo Inglese a Città della Pieve dopo aver viaggiato in tutto il mondo. E’ arrivato nella cittadina umbra per la prima mondiale dell’opera Shim Chung di cui ha realizzato la musica e che andrà in scena al teatro comunale degli Avvalorati dal 29 al 31 agosto .Le tue impressioni?

R.Non conoscevo Città della Pieve, ne avevo sentito parlare, ma come in tutti borghi umbri, che peraltro adoro, Spello, Norcia, Spoleto, Assisi, Todi, si avverte una spiritualità che traspare dalle pietre, qualcosa di meravigliosamente mistico e indescrivibile. Non a caso San Francesco, Jacopone da Todi proprio in Umbria attinsero ispirazione e fecero si che questa terra diventasse il centro del mondo spirituale. Tutto ciò si respira anche a Città della Pieve. In luoghi come questi non sento la mancanza del mare, elemento per me essenziale, essendo pugliese. La presenza dell’acqua è per me fonte d’ispirazione, che sia mare, lago o addirittura una semplice pozzanghera che, attraverso il riflesso d’un raggio di sole o di un monumento può diventare pura poesia. Insomma, Città della Pieve è un luogo magico in cui sognare e creare.

D.Nella nostra chiacchierata conoscitiva mi hai detto che oltre a comporre, dirigi; quale dei ruoli senti più tuo?

R.Sono nato in una famiglia di musicisti (nonno, zio, madre e padre) e ho, sin dalla tenerissima età, respirato aria di creatività. Vedevo mio padre comporre e il “semplice” gesto di imprimere sulla carta le note mi stregava. Ti racconto un aneddoto: ero piccolo, avevo sei o sette anni e scarabocchiavo note sui fogli pentagrammati che rubavo a mio padre; componevo messe, pezzi per clarinetto, per pianoforte, per banda e nascondevo tutto sotto al materasso del mio lettino. Un giorno, durante un cambio di stagione, mia madre dedicandosi alla mia camera nell’atto di girare i materassi, scoprì una montagna di carte e mi chiamò all’ordine, chiedendomi cosa fosse tutta quella roba. Nel mio imbarazzo la pregai di stare zitta perché mi vergognavo e non volevo assolutamente che mio padre sapesse. Temevo il suo giudizio. Ancora oggi conservo alcune di quelle composizioni. Erano sicuramente giochi infantili; oggi rileggendo quella musica riscontro il mio desiderio di capire, di scoprire e trovare il modo di comunicare attraverso i suoni.Mi sento prima di tutto compositore, ma la direzione mi affascina perché è come scovare, rintracciare la propria “musica” nella musica dei grandi compositori del passato e, attraverso l’interpretazione, esprimere la propria natura, la propria musicalità. Certo, dirigere la propria musica è un vero e proprio orgasmo!

D.Come compositore quale genere musicale è più nelle tue corde?

R.Nell’opera ritrovo tutto il mio essere. Mia madre è un soprano e sin da piccolissimo assistevo alle sue lezioni di canto. Evidentemente, questo è il motivo per cui amo profondamente la parola cantata. La voce, il canto dà alla parola un valore aggiunto (e in poche note con il canto mi rende chiaro il suo pensiero e le sue emozioni) e la melodia riesce a esprimere un concetto anche senza l’utilizzo delle parole; la musica va oltre e può evocare sensazioni che la parola non sempre riesce a esprime, tranne in rari casi come nei versi del mio amato Leopardi.

D.Hai già collaborato con il teatro internazionale dell’Opera di Filadelfia? Come è nato l’incontro con Karen?

R.No, anche se conosco Karen Lauria Saillant da diversi anni. Per lei organizzai a Roma una sua masterclass di canto e movimento scenico. Durante quell’incontro nacque subito tra noi un’affinità e pensammo di creare qualcosa di bello insieme. Poi il caso ha voluto, in un momento molto particolare della mia vita, che questo sogno si realizzasse e ora eccoci qui.

D.Mi sveli l’anima musicale di Shim Chung? In questa composizione c’è qualcosa di estremamente intimo, ti va di parlarmene?

R.Ho dedicato quest’opera a mio padre, che ho perso il 24 marzo scorso; Shim Chung è l’opera per eccellenza in cui si canta proprio l’amore filiale. C’è davvero tanto di autobiografico in questa musica, attraverso citazioni melodiche, scelte timbriche e significati numerologici, ma anche nella scelta del linguaggio poetico. In quest’opera, infatti, ho curato anche il libretto nella versione italiana. Il libretto è stato scritto, in lingua inglese, dal figlio di Karen Lauria Saillant, Christian Bygott.Lavorare al libretto e alle parole, prima di porle in musica, è stato un lavoro complesso ma estremamente affascinate. Per questo ho deciso di utilizzare un linguaggio che si rifà alla tradizione dei librettisti del Novecento italiano. Ma ho anche voluto impregnare il testo di citazioni filosofiche orientali, con alcuni pensieri di Confucio e con espressioni tipiche coreane, come ad esempio 아이고, una sorta di imprecazione che potrebbe far pensare al nostro ahimè.Inoltre ho cercato aderire il più possibile all’espressione più intima del popolo coreano. Il mio legame con la Corea, ormai quindicennale, che mi ha vede impegnato sia nelle vesti di direttore d’orchestra che di docente di alcune università, mi ha dato la possibilità di conoscere e approfondire la loro cultura musicale e umana, il loro modo di esprimere i sentimenti di dolore e di gioia, tutte peculiarità che ho inserito nell’opera.Ho studiato, grazie ad alcuni docenti universitari coreani, il판소리 (Pansori) che è una narrazione musicale, un modo di cantare totalmente diverso dal nostro italianissimo “bel canto”. Infatti nella partitura di Shim Chung si possono riconoscere caratteristiche ritmiche e melodiche proprie dell’antica musica coreana. Posso concludere dicendo che Shim Chung altro non è che il trionfo dell’amore, sono due atti d’amore al mondo intero.

D.Quale credi possa essere il futuro dell’Opera lirica, riuscirà a sopravvivere? Perché?

R.Perché mi fai questa domanda? Credi sia destinata a finire? (per pochi attimi è riuscito ad invertire i ruoli, cit. di Angelo inglese “cose da pazzi”). L’opera ha avuto alti e bassi nella storia dell’umanità, il momento più glorioso è stato senza dubbio il cosiddetto Mozart italiano con la sua trilogia italiana dove, perfezione di forma, tecnica e ispirazione raggiungono l’apice assoluta. Purtroppo l’Italia vanta un primato negativo e una strana tendenza è qui sempre in agguato; nel nostro Paese i teatri d’opera rischiano la chiusura, nel resto del mondo, soprattutto in Oriente, ogni anno si aprono nuovi teatri. Sembrerebbe che gli effetti della globalizzazione abbiano colpito le giovani generazioni del bel Paese, rendendole incapaci di percepire la Bellezza. In Corea, per esempio, ci sono più di duecentocinquanta compagnie d’opera e i teatri sono frequentati da un pubblico di giovani.

D.Progetti futuri con o senza cappello?

R.Vivere prima di tutto per continuare a generare Bellezza. Mi auspico di riuscire a lasciare un’impronta che duri nel tempo e oltre la mia vita stessa. Per tornare a Shim Chung il progetto prossimo è quello di farne una versione per grande orchestra. Infatti la versione che sarà eseguita, in prima mondiale all’Avvaloranti di Città della Pieve, è per un ensemble di 15 elementi e un coro di voci bianche. Si tratta di una versione in chiave intimistica e Karen in questo tipo di far teatro è meravigliosa. I cinque giovani e eccellenti cantanti, provenienti da diverse parti del mondo e il sensibile maestro Fabbri completeranno l’ottima riuscita dello spettacolo. La versione in grande calcherà le scene di Philadelphia, Seul e, spero, spiccherà il volo verso tutti i teatri del mondo. Inoltre sto già lavorando su un nuovo progetto “La chitarra nell’oceano” una commedia musicale in 3 atti su libretto di Carmine Monaco che ha come tema l’emigrazione degli italiani negli anni ‘50 in Venezuela.

D.Anche questa notte andrai a letto con il tuo cappello?

R.Ho imparato a sognare non solo la notte, ma soprattutto di giorno e il cappello, con l’inseparabile toscano son miei compagni fedeli. Dormirei anche col cappello; un po’ scomodo anche se l’idea non mi dispiace. Ma stanotte farò un’eccezione e lo toglierò. Il cappello fa parte del mio essere, un distintivo, lega la mia persona a qualcosa d’altri tempi, passati e futuri…