Il libro del mese di ottobre 2022: Il silenzio dei vivi, di Elisa Springer

Di Francesca Andruzzi
Il libro, nel quale abbiamo deciso di cercare un messaggio da condividere con i nostri lettori, è stato scritto da Elisa Springer, sopravvissuta all’Olocausto per ragioni a lei ignote. La Springer, infatti, è stata prigioniera in più di uno dei famigerati campi di concentramento, meglio noti come lager, subendo ogni tipo di umiliazione, privazione, fino a quando il suo corpo martoriato, in ragione delle torture, dell’eccessivo calo ponderale e della avitaminosi, ha contratto una malattia molto grave che avrebbe dovuto portarla a morte certa. Anche un medico della Croce Rossa Internazionale rimase incredula dinanzi la sua guarigione. Elisa Springer è rimasta in vita, ma anche in silenzio. Per cinquanta lunghi anni. L’orrore, visto e patito, non voleva narrare. Poi, anche il figlio tanto amato la convince a scrivere questo libro, la cronaca dei lunghi giorni di fame e umiliazioni. Pratiche finalizzate alla disumanizzazione dei “porci”, come venivano chiamati dalle SS i prigionieri. Il suo non è il primo libro sulla tragedia della Shoà, ma, come testimonia il sottotitolo, “All’ombra di Auschwitz, un racconto di morte e resurrezione”, in esso è presente la doppia finalità perseguita dall’Autrice: la narrazione del male che lavora comunque per il bene. Sembra un paradosso. Proprio ai giovani Ella si rivolge, rompendo un silenzio lungo cinque decenni, affinché costruiscano un mondo, “una società fatta di libertà e non di schiavitù, di giovani liberi e fratelli, giovani che sapranno trovare il modo e forse il tempo di spiegare agli altri e a noi: se, e dove abbiamo sbagliato”. La Springer vede nei giovani “i veri giudici del nostro passato e del loro domani”. Nella prefazione, li esorta a recarsi ad Auschwitz, a Bergen-Belsen, a Teresienstadt (i campi della sua prigionia) e a piantare un fiore “per ogni lacrima che cadrà dai loro cuori”. Solo così, aggiunge, “comprenderanno perché tanti milioni di innocenti sono nati solo per morire”. Di fronte alla assurdità di quanto accaduto, che lascia ogni volta attoniti e confusi, tanto è il male venuto ad esistenza da sembrare non umano, la Springer vuole lasciare un messaggio alle nuove generazioni perché arrivino a comprendere ciò che appare incomprensibile. La cronaca dell’orrore nazista è spietata in questo libro, come in tanti altri. Sorprende la quantità di particolari che la Springer ricorda con estrema puntualità, ancora dopo molti anni, quasi fossero immagini impresse nella sua mente come l’odioso numero tatuato sul braccio (che per molto tempo nascose con un cerotto). Nella molteplicità dei messaggi che il lettore troverà in quest’Opera, compreso quello che l’Autrice indica nella breve prefazione, abbiamo scelto per voi quello del silenzio, che poi è contenuto nel titolo.La parola chiave di questo mese è, perciò, SILENZIO. Chi tace acconsente, recita un vecchio adagio. E la saggezza popolare parla anche di un silenzio aureo.Ma il silenzio, di cui vogliamo parlare oggi, è differente. E ha due facce.Uno è il silenzio di cui parla la Springer, un silenzio che soffoca il proprio “io”, che toglie all’essere umano la possibilità di confrontarsi, che conduce a vivere una vita diversa da quella che si vorrebbe vivere e che trova la sua ragione nella paura – come afferma la Springer in relazione alla propria vicenda personale – “di non essere capita o, peggio ancora, creduta”.Elisa Springer ha vissuto nel silenzio per paura di non essere capita o creduta, tanto era incredibile ciò che aveva vissuto. Attraversare un inferno, uscirne e poi vivere, come racconta lei stessa, quel senso di fastidio che suscitano negli altri le vittime. Forse perché chi non ha conosciuto l’orrore ha, a propria volta, paura di sentirne parlare, forse per mancanza di empatia, forse perché ci sono eventi, come è stata la Shoà, che devono essere apparsi incredibili anche per chi li ha vissuti poiché travalicano l’umana natura. Sempre con il rispetto dovuto alla Springer e agli Altri sopravvissuti ai lager nazisti, come ai gulag sovietici, come al genocidio ordinato da Pol Pot, come ad ogni altra nefandezza compiuta da essere umani nei confronti di altri esseri umani – e che ancora oggi si compiono – ognuno di noi ha, forse, attraversato un inferno in vita. Piccolo o grande, più o meno devastante, ma sempre inferno. E, spesso, i “sopravvissuti” (alla morte fisica o civile, che, a volte, corrispondono) si chiudono nel silenzio per paura di non essere compresi o creduti.La Springer ha taciuto per cinquant’anni, ma non fu immediata la narrazione anche da parte di coloro i quali scamparono, come lei, senza sapere come. Nell’immediatezza di un fatto grave, la società tende a voler dimenticare in fretta, quasi a girare pagina per non trovarsi costretta a riflettere e prendere coscienza che, quanto compiuto materialmente da altri, è stato possibile anche per l’indifferenza di chi, pur sapendo, ha voltato lo sguardo, ha dato le spalle. E allora il “sopravvissuto” tace, per paura di non essere capito o creduto. Ma perché non dovrebbe essere capito o creduto? Chi dovrebbe capire o credere preferisce non farlo per autoassolversi da una chiamata in correità. Il mondo intero preferì non occuparsi immediatamente di fare luce su quanto posto in essere dal Terzo Reich. Anche il processo di Norimberga non condusse alla condanna di tutti i responsabili. Ma, soprattutto, non arrivò a condannare il mondo intero. In fondo, tra gli stessi giudici era, magari, chi aveva voltato le spalle alla Shoà. La Springer non volle portare con sé quel silenzio nella vita ultraterrena. Alla soglia degli ottant’anni, confortata da Papa Giovanni Paolo II che definì la Shoà “Golgota dell’umanità” e che chiese “perdono per il colpevole silenzio”, stimolata dal figlio tanto amato, decise che era arrivato il tempo di parlare. Nella comprensione della Chiesa cattolica e nelle scuse della stessa, nell’amore filiale, nell’empatia di molti giovani, trovò la forza di comunicare, finalmente, quella parola di ausilio ad una generazione nuova per non cadere nella fascinazione del male.Comprensione, amore, richiesta di perdono: una ricetta davvero non difficile per sconfiggere quel silenzio che affligge il nostro prossimo che fugge dalle guerre, dalla fame, dal degrado delle periferie, dalla strada, da tragedie personali, familiari. Ha paura chi resta in silenzio per l’orrore patito sulla propria pelle. È colpevole chi resta in silenzio davanti all’orrore subito dagli altri. Le due facce del silenzio dei vivi.