Il personaggio del mese di luglio 2020; Suzanne Alexander, Suzie per gli amici. Inglese da oltre 20 anni in Italia ,a Cetona  possiede una fattoria biologica, didattica e una osteria agricola. Nella sua azienda lavorano i richiedenti asilo. Per Suzie il rispetto della Terra dev’essere la priorità della nostra epoca

Di Francesca Andruzzi

Suzanne Alexander, Suzie per gli amici, ha un’anima latina, ma è nata in Inghilterra. Vent’anni nel nostro bel Paese avranno certo contribuito, ma più si parla con lei, più ci si convince che siamo tutti figli di una stessa madre: la Natura. Vive e lavora a Cetona, in provincia di Siena, un borgo antico e affascinante. Affascinante come Suzanne, che apre le sue braccia al mondo, soprattutto a quella parte di mondo più sofferente e svantaggiata. Il vero aiuto da fornire agli altri sta nell’istruzione, nella conoscenza. Che rende liberi, come è libera lei. E commovente, nel suo impegno, nel suo credo in e per un mondo migliore. Per sapere di più sulla attività di Suzanne Alexander, rimandiamo al sito www.suziesyard.com, ma la sua anima è nelle risposte sincere e spontanee che ha fornito, nel corso di questa intervista, in un italiano, ad onor del vero, impeccabile. Impeccabile, come tutto ciò che viene dal cuore.

 

D.: La domanda potrà sembrarle retorica: con tanti Paesi al mondo o anche solo in Europa, lei, figlia di un impero trasformato in Commonwealth, perché, vent’anni fa, ha scelto l’Italia?

R.: Sono arrivata in Italia per la prima volta nel 1982, all’età di sedici anni, con una borsa di studio per frequentare il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico a Duino (Trieste). Ero partita da una Inghilterra interamente grigia e ipnotizzata dalle promesse del capitalismo neoliberale rappresentato dal primo ministro Margaret Thatcher che, notoriamente e incredibilmente, affermava: “la società non esiste”. E così mi sono tuffata nella ricca storia di una terra di confine, nel Mediterraneo. Nutrita dal sole, dal buon cibo, dalla compagnia di gente che sapeva godersi la vita, sono uscita da una malinconia in parte legata all’adolescenza, in parte causata da assenze umane molto profonde.  Nella corsa dietro ai soldi, con gli eventi recenti di Brexit e Covid che lo confermano, la mia Inghilterra ha perso la strada, ha ridotto tutto ad un rapporto economico. Serve, invece, l’ombrello della famiglia, servono sia il senso di comunità che di appartenenza alla collettività, per non parlare della magia e della poesia della vita, per rendere l’essere umano felice, produttivo e completo. In Italia, con tutti i suoi problemi e i suoi difetti, ho trovato una grande umanità, mi sono sentita a casa. Diventata mamma, ho voluto fare un dono ai miei figli: crescerli qui.

 

D.: Parliamo della sua fattoria biologica, didattica e della osteria agricola. Il progetto, oramai realizzato, ha richiesto impegno e fatica. Dovesse tirare un bilancio, sarebbe positivo? 

R.: La mia piccola osteria agricola è un sogno realizzato. È la vetrina sul mio modo di vedere il rapporto con la terra e con il cibo. Oltre a permettermi di ‘campare’, quello che faccio è spinto da una domanda: è possibile fare le cose diversamente? È possibile coltivare rispettando la terra?  È possibile fare qualcosa di piccolo, ma bello? Questa esperienza mi ha confermato l’innegabile: l’uomo e la natura sono interconnessi e noi, senza la natura, non abbiamo alcun futuro. Coltivare sano e mangiare sano sono un investimento, non solo per la nostra salute, ma per la nostra sopravvivenza come specie.  Anche la fattoria didattica mira a trasmettere questo messaggio ai giovani, attraverso la bellezza, la semplicità, i colori e i sapori. Ringrazio di aver avuto questa opportunità nella vita.

 

D.: La sua intrapresa collabora con il WWOOF (WorldWide Oppurtunities on Organi Farm), un movimento mondiale che mette in relazione volontari e progetti rurali naturali. Nella sua azienda lavorano i richiedenti asilo. In un momento in cui il tema immigrazione divide l’Italia – da ambo le parti, toni piuttosto accesi – lei è la dimostrazione che per gli immigrati esiste la possibilità di un lavoro, grazie all’impegno del volontariato. Cosa vorrebbe dire alle Istituzioni su questo tema così scottante? 

R.: Vorrei invitare i nostri politici ad avere più coraggio nell’affrontare questo tema con onestà e senza ipocrisia.  Sta a loro impostare sia le regole che il discorso sull’immigrazione, in termini positivi ed in un’ottica di arricchimento reciproco. Parlo dell’Africa perché è la realtà più vicina, conosciuta meglio tramite il volontariato.  Per uscire dalla povertà, dalla guerra, dalla rivalità etnica e dalla corruzione l’Africa ha bisogno non dei nostri ‘aiuti’, ma di africani scolarizzati, formati e competenti.  In Italia abbiamo bisogno, in diversi settori, della loro forza giovane e della loro manodopera. Vediamolo in termini di uno scambio reciproco, un investimento nella pace nel nostro villaggio globale.  La verità è che i giovani africani in regola contribuiscono alla nostra economia e cultura, mandano i soldi guadagnati a casa e un giorno ritorneranno a contribuire alla crescita e allo sviluppo dei loro Paesi.

 

D.: Nel sito della Suzie’s Yard si legge “se trattiamo la terra con rispetto, rispettiamo anche noi stessi”. Indubbiamente, abbiamo tutti mancato nei confronti del nostro pianeta. Secondo lei, siamo ancora in tempo per recuperare? E se sì, come? 

R.: Questo non lo possiamo sapere. Sicuramente, ogni giorno che passa, abbiamo sempre meno tempo. Il rispetto della Terra dev’essere la priorità della nostra epoca.  E, secondo me, ci sono due strade che devono correre in parallelo. Ognuno di noi deve prendere coscienza dell’impatto della sua esistenza a livello quotidiano sul pianeta e modificare il proprio comportamento. Dobbiamo, poi, essere aiutati dalle Istituzioni, che facilitino e impongano di modificare proprio i comportamenti. Dobbiamo smettere di vedere una limitazione alla libertà individuale e considerarla, invece, una grande opportunità.

 

D.: Parliamo del periodo appena trascorso, quello del lockdown, causato dalla pandemia da Covid19. Come lo ha trascorso e come ha inciso su di lei e sulla sua azienda? 

R.: Sono stata molto fortunata. In azienda si è potuto continuare a lavorare nei campi come prima. Ho trascorso una buona parte del tempo fuori, nella natura. Alla fine ho considerato il periodo come una specie di regalo. Ho dormito, ho trascorso molto tempo a parlare con mia figlia, ho lavorato online anziché perdere ore in macchina. Con le chiamate zoom ho ritrovato amici che non vedevo da decenni. Ho scoperto nuove persone a Cetona, attraverso l’iniziativa “Ci Sosteniamo Cetona”, che in 20 anni non avevo conosciuto. Ho anche avuto tempo per fare … niente! per la prima volta in vita mia e ciò mi ha fatto riflettere molto.  Ora è tutto da ricostruire. Rimbocchiamoci le maniche, ma con grande collaborazione e fantasia.

 

D.: E ora, come vede la ripresa? Saremo davvero migliori? 

R.: Durante il lockdown ho ascoltato molte persone esprimere il desiderio di voler cambiare stile di vita. È presto ancora per dirlo, ma ci sono già delle indicazioni interessanti. Lo smart-working si è rivelato più che fattibile. Il turismo degli italiani si è trasformato in turismo domestico, trovando grande valore nei piccoli borghi, come Cetona. Le agenzie immobiliari parlano della tendenza a voler uscire dalla città e vivere in zone rurali, meno affollate, in mezzo al verde, con aria maggiormente respirabile ed una migliore qualità anche nei rapporti umani.  Come per un periodo di guerra, credo che “dopo” assisteremo ad un grande impatto sociale, economico e, successivamente, anche politico. Sta a tutti noi cogliere questo potente avvenimento e farlo diventare un’opportunità, per migliorare sia a livello personale sia come collettività.  

 

D.: Lei è anche scrittrice ed è stata direttore DEA Librerie Internazionali in Milano. Quali letture sono state di ausilio alla sua arte scrittoria e quale autore o autrice porta nel cuore? 

R.: Da sempre la storia e le storie spiegano il mondo in cui viviamo. I racconti agevolano la comprensione, sono di ausilio per affrontare i momenti difficili, stimolano il riso, il pianto, i sogni; permettono di fuggire dalla realtà, ma sono necessari anche per non dimenticare.  Ho sempre letto, tanto e tutto. Spazio da Hannah Arendt “La banalità del male”, Arhundhati Roy “Dio delle piccole cose”, Isabel Allende “La casa degli spiriti”, Maya Angelou… tutto quello che ha scritto! Prediligo le ‘autrici’, ma amo anche i miti greci, la Bibbia, le fiabe, per il loro grande simbolismo. E William Shakespeare, che, a distanza di secoli, è ancora rilevante, poiché dimostra che la vita umana gira sempre intorno agli stessi temi: amore, soldi e potere.

 

D.: Ha insegnato la lingua inglese – tanto per non farsi mancare nulla! – alla Wall Street English School di Arezzo. Si definisce, in questa veste, “paziente e attenta”. Per la sua esperienza, cosa vuol dire essere insegnante in questo periodo storico? 

R.: Credo che ogni persona abbia il suo potenziale da raggiungere. Nella vita incontriamo persone che sono ‘chiavi’ o che forniscono spunti, ma tutte aiutano ad intraprendere una strada piuttosto che un’altra.  Il compito dell’insegnante è ascoltare, osservare, mettere a disposizione gli strumenti e guidare con pazienza l’alunno a raggiungere il massimo delle sue competenze.  Sa che le dico? Se io fossi Presidente … vorrei veder tornare il riconoscimento e il rispetto per la figura dell’insegnante che formerà la prossima generazione. Investire nella scuola è un investimento su noi stessi.  

 

D.: La sua laurea in Studi Europei la rende più che qualificata per esprimersi sull’Europa unita. Una istituzione che dinanzi alla pandemia, ma non solo, non sempre ha dimostrato di assolvere alla funzione per la quale era stata pensata nel secolo scorso. Cosa non va, secondo lei, in questa “Europa”? 

R.: Io mi sento Europea. Se si potesse chiedere il ‘passaporto europeo’, sarei la prima della fila. Gli europei hanno più cose in comune di quanto non credano.  Intanto però, se non le spiace, parliamo di quello che va: in settantacinque anni, non abbiamo assistito ad una guerra continentale. Per i giovani d’oggi l’Europa è un dato di fatto, con la libertà di movimento per lo studio, per il lavoro, per l’amore. Raccontare loro che un tempo non era così, li lascia increduli. Certo, di problemi ce ne sono, ma uscire dall’Europa, per me, non è la risposta. Nessun Paese può farcela da solo, perché abbiamo sfide globali da affrontare. E l’oggi deve essere un momento di collaborazione, non di isolamento.

 

D: Parliamo di amore: sentimentale, materno, filiale, amicale. Cos’è per lei l’amore e quanto ha contato e conta nella sua vita? 

R.: Gli antichi greci dicevano che ci sono sei tipi di amore, diversi, ma tutti importanti nella vita di ogni essere umano. L’amore ci permette, innanzitutto, di uscire dalla nostra solitudine attraverso la connessione con l’altro che ci fa da specchio, così che impariamo a conoscere meglio noi stessi. L’amore regala grandi emozioni, di gioia e di dispiacere, che fanno la differenza tra l’esistere ed il vivere. Senza l’amore, la vita, per me, non avrebbe alcun senso.  È attraverso l’amore che si sviluppano conoscenza, coscienza e saggezza.

 

D.: A dire la verità, non vorremmo lasciarla andare…ma l’intervista finisce qui, con una domanda fantastica: ha la possibilità di incontrare un personaggio che ha fatto la storia. Chi sceglierebbe? Di cosa parlerebbe? E avendo la possibilità di trascorrere insieme una intera giornata, cosa preparerebbe per il pranzo d’onore?   

R.: Sceglierei Malala Yousafzai (premio Nobel per la Pace). Condivido il pensiero di Malala: l’accesso all’istruzione è un diritto umano fondamentale per tutte le donne del mondo. Il suo esempio ci dimostra che, purtroppo, in molti Paesi non è così. Malala ha dimostrato grande coraggio e tenacia. Non si è fatta intimidire e ha quasi perso la vita per difendere le proprie idee. È un’eroina dei nostri tempi. Un simbolo di come le azioni di una sola persona possano toccare la vita di centinaia di milioni di altre.   Se avessi il privilegio di conoscerla, la porterei nel mio orto e le farei scegliere le erbe per la tisana e le verdure per preparare un pranzo fresco fresco. Faremmo un confronto tra il suo pane naan e il nostro di pasta madre. Faremmo la pasta fresca insieme, dopo aver raccolto le uova delle mie galline. Le farei vedere i fiori commestibili che usiamo per rendere le nostre insalate buone e belle. Poi porterei il tavolo sotto il noce, davanti alla mia vigna, e parlerei con lei di come le ragazze istruite, soprattutto nei Paesi poveri, le mamme, le zie del futuro cambieranno le condizioni di vita dei loro figli, dei loro nipoti e, quindi, dei loro Paesi. Attraverso la conoscenza, la prevenzione, miglior igiene, meno gravidanze, eliminando pratiche barbariche come la mutilazione dei genitali e le bambine-spose. Le donne istruite, mi creda, cambieranno il mondo in meglio.