La scatola dei ricordi: il racconto della domenica di Patrizia Patrizi       

Amore e politica

 

Eravamo cinque amiche e tutte e cinque infatuate dello stesso ragazzo!  Perché era bello? Perché era sicuro di sé e un po’ ombroso? Perché era il leader di un gruppo politico nuovo e sapeva parlare benissimo? Ricordo che quell’anno, il 1973, noi ragazze,quando eravamo sole, non facevamo che parlare di lui, quando eravamo nel gruppo di amici, ascoltavamo rapite i suoi discorsi politici, le sue analisi e prendevamo per oro colato le sue sintesi. Imparammo a leggere i giornali, uno in particolare, quello che portava il nome del movimento politico al quale apparteneva il nostro bel ragazzo. Cominciammo a capire che la realtà era molto più complessa e iniziammo a interpretarla, sotto la guida del nostro leader e con le discussioni che spesso facevamo insieme. I miei genitori non gradivano che simpatizzassi per questo movimento. Quella contraria, in modo assoluto, era la mamma, per due motivi: aveva intuito che mi ero presa una cotta per uno più grande di me di cinque anni e che lui era un “rivoluzionario”, come si diceva ai tempi. Siccome rifiutavo di andare alla Messa, la domenica, e cominciavo a fare discorsi tipo: “ il matrimonio è un’istituzione borghese, io non mi sposerò mai!” oppure, “ la donna deve essere libera e decidere cosa più le piace”, la mamma era nervosissima e diceva in continuo: “Dio ce ne scampi e liberi”!  Una volta mi trovò il famoso quotidiano del movimento: beh lo fece tutto a pezzettini e minacciò di farmelo mangiare se ne avesse trovato un altro! E dire che l’avevo nascosto tra un’enciclopedia che non usavo mai , impilata dentro ad un mobile che difficilmente apriva. Intuito di mamma.  Il ragazzo in questione, già da Pasqua di quell’anno, frequentava assiduamente, una delle mie cinque amiche e stavano spesso insieme soli, con grande disappunto mio e delle altre; in verità non stavano tanto soli…io e le altre li seguivamo ovunque andassero! Se stavano al bar dell’Elide vicino il jukebox, noi ci mettevamo poco lontano e, facendo finta di leggere il giornale, sbirciavamo la coppietta, poi sparlavamo coperte dal quotidiano; se andavano al campo delle fiere a sedere in una delle panchine in pietra ai margini del campo, noi ci mettevamo poco più in là. Non ricordo bene quanto durò questa storiella perché poi le attenzioni del ragazzo si rivolsero a me. Erano i primi giorni di luglio del ’73. Ero tanto felice, poco importasse che la mia amica versasse fiumi di lacrime!  Un caldissimo pomeriggio il ragazzo mi invitò a fare un giro sulla sua lambretta. Io, ostentando una sicurezza insolita, salii sul sellino e lo cinsi con le braccia. Ci fermammo poco sopra il convento francescano, in un boschetto non molto lontano dalla strada. Stava per baciarmi, io chiusi gli occhi tremante, non sapevo dove mettere la mani, non volevo fargli pensare che ero impaziente… allora accettai immobile il primo bacio. Poi ci mettemmo seduti ai piedi di un albero e già al secondo ero meno ferma…stavo per dargli io il terzo  con enfasi ma…non feci in tempo a farlo che sentimmo una macchina arrivare . Si fermò nel punto dove c’era la lambretta accostata al ciglio della strada; vedemmo scendere un uomo del paese e…mia mamma! Urlava il mio nome come una pazza… io, impaurita, mi avvicinai, lei mi prese con forza un braccio e mi costrinse a salire nella macchina. Era furiosa! Urlava e piangeva di rabbia come chissà quale peccato avessi commesso. Forse immaginava qualcos’altro. Arrivate a casa, mi chiuse in camera mia per due giorni, il tempo di organizzare la mia partenza per Abbadia San Salvatore dove viveva mia zia. Stetti là per tutto il restante mese di luglio e  agosto, saltando pure le vacanze al mare. Quella volta non fu l’intuito di mamma a capire dove ero, ma il pettegolezzo del paese. Siccome lei mi controllava spesso  dalla finestra di camera sua che dava sulla piazza, non vedendomi da un po’, era scesa di casa e  aveva chiesto in giro se mi avessero visto. C’era sempre qualcuno pronto a riferire; in fondo, in quel periodo, eravamo “tutti sotto controllo”… la “rivoluzione” era approdata a Cetona…non piacevamo né a quelli di centro, né a quelli di destra, ovviamente, ma nemmeno a quelli di sinistra! Fu un lontano parente comunista a dire alla mamma dove ci eravamo diretti, ci aveva incrociato con la sua macchina lungo la strada e l’aveva anche accompagnata a cercarci. Forse non piacevamo perché eravamo intraprendenti, giovani, difendevamo le nostre idee e le diffondevamo attraverso manifesti attaccati su una bacheca in piazza; assumevamo spesso atteggiamenti un po’ ribelli e di sfida; i ragazzi avevano i capelli lunghi; contestavamo tutto, ogni istituzione, la chiesa…Feci ritorno a casa il primo settembre, con la promessa di “fare la brava”. In effetti, quella volta, rientrai nei ranghi: uscivo poco, non frequentavo più il gruppo di amici e non potevo assolutamente parlare con quel ragazzo. Ripresi pure ad andare alla Messa. La prima settimana…Avevo notizie della comitiva, dal figlio dei vicini di casa. Anche lui, più grande di me, faceva parte del gruppo “rivoluzionario”. La finestra di camera mia e quella sua, erano di rimpetto. Quando dovevamo comunicare, mi tirava piccoli sassolini sulle persiane. La sera dell’11 settembre 1973,avevo la finestra di camera aperta, stavo leggendo, quando sentii la voce concitata del mio amico che mi chiamava per nome, mi affacciai e lui disse: “ corri in piazza, Patri, riunione urgente del gruppo, è accaduto un colpo di stato in Cile, i fascisti hanno preso il potere!!”Definizione non proprio precisa, ma per noi chi usava la violenza per reprimere, era un fascista. Per fortuna la mia casa era su tre piani, la mia camera era al terzo, scesi piano le scale, i miei genitori stavano guardando la tv al primo, in cucina. Il volume era abbastanza alto, questo mi permise di aprire la porta che dalla sala da pranzo si affasciava sull’ultima rampa di scale, scendere e aprire il grande portone piano piano. Corsi in piazza, trovai i miei amici, ci riunimmo sotto le logge e il leader del gruppo mi guardò e mi sorrise, poi disse: “ domani manifestazione in piazza contro Pinochet, solidarietà al popolo cileno! Adesso scriviamo un volantino, lo porto da un compagno di Chiusi che lo ciclostila e poi domani li distribuiamo alla gente in piazza”. Al pensiero del giorno dopo mi tremarono le gambe. Più che altro al pensiero della mamma… ma niente mi poteva più fermare, nemmeno lei! Quella notte sognai baci e volantini, giuro!