San Quirico d’Orcia: uscito l’ultimo lavoro musicale di Ugo Sani. Si tratta di un album dal titolo “A parte me (e a parte altri due o tre)” contenente 16 brani scritti da lui e arrangiati da Diego Perugini . “Il titolo – spiega Ugo Sani – è preso da due versi tratti da un brano, Sulla stessa barca, che credo sintetizzi ironicamente il tempo che la nostra società sta attraversando. Un tempo caratterizzato dalla paura, dall’egoismo, dalla sostanziale mancanza d’ascolto della voce degli altri. Un tempo nel quale la barca delle nostre società cosiddette evolute, per rimanere a galla, pensa che sia indispensabile sacrificare i più deboli, i meno attrezzati a resistere ai marosi”.

Di Leonardo Mattioli

(Nelle foto: Ugo Sani, al pianoforte con il suo cane; Diego Perugini, arrangiatore dell’album). Il cd digitale è scaricabile da Spotify e iTunes.

È uscito in questi giorni l’ultimo lavoro musicale di Ugo Sani. Si tratta di un album dal titolo “A parte me (e a parte altri due o tre)” contenente 16 brani di cui Sani ha scritto musica e testi. Abbiamo voluto parlarne con l’autore, per capire i contenuti di un disco che, secondo i primi giudizi, si presenta come il più bello fra quelli prodotti da Ugo Sani in questi anni.

D.Cominciamo dal titolo. “A parte me (e a parte altri due o tre)” è un titolo abbastanza misterioso. A cosa allude?

R.Ho pensato a lungo a quale potesse essere il titolo più appropriato per questo mio ottavo album. Alla fine ho concluso che questo sarebbe stato il titolo più adatto a rappresentarne i contenuti. Si tratta di due versi tratti da un brano, Sulla stessa barca, che credo sintetizzi ironicamente il tempo che la nostra società sta attraversando. Un tempo caratterizzato dalla paura, dall’egoismo, dalla sostanziale mancanza d’ascolto della voce degli altri. Un tempo nel quale la barca delle nostre società cosiddette evolute, per rimanere a galla, pensa che sia indispensabile sacrificare i più deboli, i meno attrezzati a resistere ai marosi.

D.Dunque, ancora un disco di impegno, di contenuto “politico”, così come lo era stato due anni fa “I Mestieri della Libertà”?

R.Non esattamente. Ne I Mestieri della Libertà affrontavo, nelle sue più diverse declinazioni, un tema difficilissimo, quello della libertà, appunto, in tutta la sua bellezza, ma anche con tutte le sue difficoltà e le sue contraddizioni. A parte me invece è un album più intimistico, se si vuole più personale, più legato alla mia visione della vita, che è anche “politica” in senso lato, ma non soltanto. Il disco è anche nutrito di passaggi che hanno a che vedere con la mia vita affettiva, a cominciare dal mio rapporto con la musica, che oggi vedo inquinata oltre ogni limite dallo strumento dell’immagine. Centrale, in questo quadro, è anche il legame che ho con il luogo in cui sono nato e cresciuto. L’album contiene infatti una canzone dedicata al mio paese, San Quirico d’Orcia, La poesia della storia che non si limita a evocare le stratificazioni lasciate qui dal passaggio della storia con la S maiuscola, ma che suona come una presa d’atto che le piccole realtà come quelle dei nostri bellissimi borghi per trovare se stesse devono far ricorso al passato, alla memoria. Perché oggi non c’è più Storia che passi di qui, se non quella raccontata dalle televisioni. Hai un bel dire che “la Storia siamo noi”. Fuor di retorica, oggi, non è più così.

D.Allora possiamo considerare l’album come un lavoro autobiografico?

R.Anche su questo, vorrei operare una premessa e un distinguo. La premessa è che ogni opera, musicale e non, è autobiografica, nel senso che se anche dovesse parlare di cose e persone lontane nel tempo e nei luoghi, ha in sé qualcosa di autobiografico. Il solo fatto che io pensi di parlare di Capo Horn, come ho fatto tempo addietro nell’album “Mutare e migrare”, fa sì che questo luogo sia parte di me, di una mia suggestione psicologica, letteraria, insomma di qualcosa che in certo qual modo mi appartiene, appartiene alla mia vita. Dunque è autobiografia. Se invece per autobiografico si vuole intendere qualcosa di strettamente pertinente alla mia vita, non so, un amore, un conflitto, un qualsiasi accidente, allora no. Sotto questo profilo ho scritto, come in passato, cose che coglievano magari uno spunto dalla mia personale esistenza, dal mio quotidiano, o da quello di persone che conosco, per poi sviluppare autonomamente un discorso più o meno poetico che non ha precisi riferimenti a cose e fatti, come suol dirsi, “realmente accaduti”. Faccio un esempio, per essere più chiaro. C’è nell’album una canzone d’amore e d’altro, La tua assenza, che si è portati a considerare come il racconto in versi di un rapporto finito, di una lei che non c’è più. Ebbene, non è esattamente così. Certo, questa è la lettura “primaria”, della canzone. Ma quello che a me interessava scrivere è quale sia l’importanza di un’assenza, quale sia il suo peso affettivo su chi la soffre, ma al tempo stesso ne sa cogliere tutto il piacere che forse, chissà, non sarebbe così intenso come di fronte a una presenza “per sempre”.

D.Ugo, a proposito di canzoni d’amore, parlaci di una canzone, a mio parere bellissima, che si intitola “Benvenga”.

R.Benvenga è tutto sommato un testo semplice. L’amore di cui si parla è un amore che vede protagonisti personaggi di età non più giovane. Qui si succedono una serie di immagini che cercano di esprimere tutta la bellezza che può esserci in un amore senile che, mi permetto di dire, non è fatto soltanto di “qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza”, quel verso di De André che noi tutti pure in gioventù abbiamo amato. Certo, può essere anche così, ma dipende dai protagonisti. Vedi, ti faccio un esempio. Ci sono persone che vanno in pensione e trascorrono interi pomeriggi intorno a un tavolo di carte da gioco, magari soltanto a guardare, ripetendo, dal mio punto di vista, se stessi, ciò che sono stati nel lavoro, come lo hanno interpretato. Per altri non è così. Penso a un mio amico fraterno, che dopo aver fatto con passione per una vita analisi di laboratorio, scrive un romanzo di 500 pagine che ha avuto importanti apprezzamenti dalla critica. E’ questo il vero discrimine, quello che siamo diventa quello che saremo, e non c’è anagrafica che tenga. Benvenga è una canzone che celebra la gioia di vivere, sempre e comunque. È un’allegra canzone d’amore.

D.C’è un brano che farà arrabbiare un po’ i senesi, soprattutto in queste giornate di Palio, Tornasol. Ce lo vuoi spiegare?

R.Tornasol è il cavallino che nel 2017 rifiutò di correre il Palio, in mezzo a una piazza vociante e davanti a milioni di telespettatori. Ma anche qui, occorre andare oltre. A me interessava raccontare la storia di chi non sta al gioco, alle consuetudini, a ciò che riduce l’esistenza a dei giri di giostra, senza alcun orizzonte, solo tornare e tornare e tornare, senza vie di uscita. E, naturalmente, m’interessava contestare il concetto della vita come competizione.

D.Eppure tu hai affrontato recentemente una competizione elettorale per arrivare alla carica di Sindaco.

R.E’ vero. Ma l’ho affrontata con la consapevolezza che sarebbe stato bello comunque quello che facevo, indipendentemente dal risultato. E infatti è stato così. Ho lasciato il mio comodo posto di assessore, perché c’era un brutto clima intorno a me e intorno al Sindaco. Ho preferito mettere insieme un gruppo di persone che si sono rivelate, come immaginavo, fantastiche nel lavoro e, soprattutto, nell’amicizia. Poi, le logiche del voto sono diverse, lo sappiamo. Così come nella musica. Non si fa musica per ottenere il successo. Il successo non ha niente a che vedere con la passione. Altre dinamiche, soprattutto oggi, nel mondo della comunicazione visiva, entrano in gioco. Del resto, non esistono nemmeno più negozi di dischi. Tutto è cambiato rapidamente. Anche per questo ho rifiutato, anni fa, una proposta da un’importante casa discografica del nord, di scrivere testi per altre voci. A me questo non interessa. Preferisco autoprodurmi e fare quello che ho voglia di fare e che mi dà la soddisfazione di aver fatto tutto come volevo. È un po’ come in politica. La politica si fa per passione, ogni giorno nel proprio ambito, piccolo o grande che sia. Non la si fa per vincere. Per me la prima condizione è il confronto e la condivisione. Stare per mesi a preparare un programma elettorale con persone competenti, intelligenti, entusiaste, ironiche mi ha accresciuto molto. E questo non me lo può togliere nessuno, nemmeno il voto democratico. Così come lo stare insieme a un gruppo di amici musicisti straordinari. Spero che dall’ascolto del disco, questa bellezza dell’averlo costruito insieme, con loro, si percepisca.

D.E allora parliamone di questi straordinari musicisti.

R.Volentieri. È d’obbligo cominciare da Diego Perugini, che è l’arrangiatore di tutti i brani e un polistrumentista fantastico. Ho scritto nell’album che è “in cielo, in terra e in ogni luogo”. Luca Ravagni, ai sax e al clarinetto, è noto tra l’altro per aver suonato in quasi 1500 concerti con Giorgio Gaber; Franco Fabbrini, contrabbasso e bassi elettrici, jazzista con una grande carriera alle spalle e docente alla Siena Jazz University; Gianluca Meconcelli, capitano di lungo corso in batteria e percussioni; Alessandro Cristofori, principe delle tastiere elettroniche e infine Duccio Nocchi, basso tuba nella canzone L’elefante blu. Da ultimo, ma non certo per importanza, mi piace citare Ignazio Morviducci al mixer e Alex Picciafuochi, master engineer. Senza tutti loro, che hanno cucito questo abito alle mie canzoni, non sarebbe mai uscito un album di questo livello.

D.La presentazione quando avverrà?

R.Credo che rimanderemo tutto all’autunno. A parte una piccola anticipazione a Montalcino in Fortezza il 15 luglio prossimo, siamo in contatto con i teatri del nostro territorio e quando avrò il calendario degli impegni, lo comunicherò tempestivamente.