Siena: mercoledì 20 febbraio alle ore 18.45 al Circolo ARCI XXV Aprile, il giornalista Andrea Sbardellati dialogherà con Riccardo Lorenzetti sul suo ultimo libro “ Il Paese piu’ Sportivo del Mondo”

Intervista con Riccardo Lorenzetti

D.Come scorre al vita nel Paese più sportivo del mondo?

R.In maniera abbastanza fiabesca per ricordarsela con un po’ di groppo in gol, visto che è un libro che parla soprattutto di ricordi, e di tempi ormai andati. La sensazione che ti lascia questo piccolo libro è uguale al ricordo di una persona cara che non c’è più. E allora ti ritornano in mente mille aneddoti che lo riguardano e che, spesso, hanno a che fare con lo sport. Vissuti a volte da protagonisti, a volte da spettatori. Ma è ovvio che proprio per questo è un paese immaginario; che non ha né un nome né una connotazione geografica, ma è ugualmente un paese che conosciamo benissimo. Ci siamo stati tutti almeno una volta nella vita: quando abbiamo esultato per una vittoria, ci siamo emozionati per un gol, ci siamo commossi di fronte ad un’impresa. E questo basta per poterne avere una specie di cittadinanza onoraria.

D.Le storie del tuo Paese attraversano il tempo: ed i suoi personaggi tratteggiano tutto o quasi il novecento italiano?

R.Si, perché la storia si impara anche leggendo la Gazzetta dello Sport. Anzi, ci sono campioni che esprimono lo spirito dei loro tempi in maniera perfetta, come Girardengo o Binda. E poi campioni “epocali” come Coppi, o il Grande Torino. Poi il pugile Nino Benvenuti, Mennea, Alberto Tomba, Valentino Rossi. E ci sono eventi sportivi che scandiscono la nostra vita, e la segnano in maniera indelebile: Bartali al Tour del ’48. Italia-Germania a Messico 70, e i Mondiali dell’82… Che a distanza di tanti anni non ce n’è uno che non si commuova all’urlo di Tardelli o all’abbraccio tra Bearzot e Pertini.

D.E poi ci sono anche i racconti dello sport più piccolo. Quello degli eventi di provincia…

R.Soprattutto quelli, che sono lo spirito più autentico del Paese più sportivo del Mondo. Che rimanda ad un tempo dove i social network non esistevano e la televisione non la faceva ancora da padrona. E quindi le imprese dei campioni si passavano di bocca in bocca, e fatalmente ne uscivano fin troppo romanzate. E magari prendevano una piega epica, nonostante fossero corse di biciclette di provincia, squadre di calcio parrocchiali o addirittura un torneo di biliardo da bar.

R.D.Infatti i protagonisti sono sempre gente molto semplice?

Chi abita in provincia sa che Superman non esiste; esistono invece tanti personaggi che coltivano una passione, e in ragione di quella riescono a coinvolgere una comunità. E talvolta a migliorarla…C’è il maestro elementare, il fabbro e il Segretario della locale sezione politica. Ci sono preti e baristi, fornaciai, minatori e commercianti che sono protagonisti almeno una volta nella vita, e raccontano storie che parlano di passioni e di grandi slanci. Di altruismi ma anche di piccoli egoismi. Con lo sport a fare da ideale sfondo ai vari racconti.

D.I racconti del “Paese più sportivo del Mondo” vanno bene anche a teatro?

R.Grazie all’opera di grandi attori, come Gianni Poliziani e Francesco Storelli, e di uno straordinario regista come Manfredi Rutelli, le piccole avventure di provincia dei miei personaggi hanno conosciuto l’onore del palcoscenico. E hanno retto benissimo l’urto con il pubblico, tanto è vero che “L’anno che si vide il Maxischermo” (uno dei racconti del libro) è andato in scena più di quaranta volte e costituisce, per il teatro toscano, uno dei successi più rimarchevoli degli ultimi anni.

D.“L’anno che si vide il Mondiale al Maxischermo” è il racconto forse più celebre dell’intero libro. Ed anche il più “recente”, visto che parla del 2006?

R.Si. Ed è molto interessante vedere come, seppur a distanza di poco più di dieci anni, la nostra società ha avuto una così repentina trasformazione. E come certi valori che erano validi appena l’altro ieri si stiano velocemente sgretolando. In quel racconto, infatti, c’è disegnato un intero mondo che nel giro di pochi anni è praticamente scomparso: il vecchio dirigente che viene dal PCI, il politico locale, l’attivista che cuoce le salsiccee poi il ballo liscio, la gara di briscola…E più in generale un’idea di socialità che una Festa de l’Unità, ma non solo, sapeva mettere in mostra. Ebbene, mi accorgo che sono bastati una decina d’anni, non di più, per far tramontare un mondo. E che tutta quella gente che per un motivo anagrafico non c’è più, beh… Quella gente che costituiva il nerbo di una comunità, non è stata più rimpiazzata.

D.Forse è per questo che la prima parola che viene in mente dopo aver letto il “paese più sportivo del mondo” è “nostalgia”?

R.Nostalgia di tante cose. Di un tempo lontano, di una persona, di un’atmosfera o anche di un profumo. Anche se poi la nostalgia è uno specchio deformante, e tende a sopprimere i particolari peggiori. Più in generale, si ha nostalgia di uno stato d’animo, più che di un periodo particolare: ma succede quando si perde la fiducia, e quello che ci aspettai non è vissuto con la speranza. Ecco, allora, che interviene la paura. Che, in questo senso, è un sentimento molto “inedito”, perché questa, forse, è la prima volta che una società ha la netta sensazione di dover fare un passo indietro. E che il futuro potrebbe essere peggiore del passato.

D.I personaggi dei tuoi racconti sono realmente esistiti? E quando di vero c’è, nelle storie che racconti?

R.Di vero, quasi nulla. Se non uno spunto di partenza, sul quale poi mi sono divertito a ricamare. Come nel caso del Brogioni e dell’Heysel, che mi ha dato la possibilità di descrivere l’inverno del 1984-85, al quale siamo tutti un po’ affezionati. Perché fu l’inverno del “grande freddo”, ma anche l’inverno degli Wham, dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Del gol di testa di Mark Hateley all’Inter e del Verona di Bagnoli campione d’Italia. In compenso, molti dei protagonisti sono persone realmente esistite… Perché è esistito, e me lo ricordo benissimo, il Don Fernando della San Vigilio Football Club. Il “Giancarlo di Firenze” che racconta di Bartali e persino i due corridori di biciclette Lillo e Bragiola. Così come sono esistiti Edoardo e Novaro, i due vecchietti del torneo di biliardo. Io me li ricordo benissimo: erano due signori che trovavi sempre e invariabilmente là, in quelle loro interminabili partite sul panno verde ormai raggrinzito. E giocavano sempre, che fosse lunedi o domenica. In estate e in inverno, con il caldo e il freddo, con il sole e la pioggia . In un certo senso, erano due figure addirittura rassicuranti, e consolatorie. Ma anche loro, sono morti. Tutti e due, nel giro di pochi mesi l’uno dall’altro.