Storie di sanità oltre la pandemia .Arezzo-Pisa andata e ritorno .Il percorso virtuoso e sorprendente dei pazienti trapiantati di fegato all’Ospedale San Donato .La storia di Rossana e di Paola dalla paura alla vita, dal letto di ospedale ai corsi da ballo

Sono storie che spesso non trovano spazio nelle cronache ma che coinvolgono centinaia di persone in tutta la provincia di Arezzo e nella Asl Toscana sud est, quelle dei trapiantati di fegato. Questo intervento coinvolge in maniera profonda il Sistema Sanitario Regionale che mette in piedi un modello organizzativo molto avanzato composto da professionisti di varie specializzazioni e impegna più plessi ospedalieri; nel caso specifico l’ospedale San Donato di Arezzo e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa .  Si tratta di un percorso non immune da paure, risvolti psicologici, tensioni e che, dall’istante della diagnosi clinica, conduce attraverso varie tappe a fare progetti e a recuperare desideri e sogni. Tutto ciò avviene grazie alla donazione di un organo. All’interno dell’ospedale  San Donato di Arezzo esiste da molti anni un protocollo sanitario che riguarda il paziente epatotrapiantato che viene accompagnato fin dal momento dell’individuazione quale possibile candidato al trapianto. Il percorso aretino è gestito dalle Unità Operative di Malattie Infettive e Gastroenterologia, mentre il Centro Trapianto Fegato di riferimento per la Toscana è l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, dove viene seguito il 97% dei pazienti aretini. Il paziente trapiantato di fegato viene preso in carico dall”ambulatorio di malattie infettive, mentre dal punto di vista strettamente  clinico è seguito dal gastroenterologo o dall’infettivologo, a seconda di chi lo aveva in cura.  All’interno dell’ambulatorio aretino si eseguono tutti i follow up necessari nel post trapianto, con confronti continui con il centro di Pisa  e con il paziente, specialmente nei primi mesi in cui necessita di una stretta sorveglianza.  Le testimonianze dei pazienti trapiantati di fegato sono un vero e proprio atto d’amore verso la vita ‘riconquistata’.  Un gesto di grande riconoscenza nei confronti dei donatori, dei medici, gli infermieri, e il personale sanitario che hanno reso possibile questo straordinario traguardo. Le storie di Rossana e Paola. “Avevo 4 anni quando hanno scoperto che avevo una epatite autoimmune, ovvero il mio organismo non riconosceva il fegato e lo distruggeva, racconta Rossana. Mi sono fatta mesi di ospedale (e parliamo degli anni 70, quando le strutture non erano proprio come adesso), poi tante cure a casa. Ai miei genitori dissero che avrei avuto al massimo un anno di vita.  Nel tempo, nonostante le terapie, la situazione è peggiorata. Spesso passavo le giornate a letto o sul divano. L’attesa del trapianto è durata due anni e mezzo, durante i quali devi sempre essere reperibile perché dal momento in cui ti chiamano hai pochissimo tempo per arrivare al centro.La telefonata è arrivata una sera, non ebbi neppure il tempo di pensare. Era il primo anniversario della scomparsa di mio padre e io mi sentivo protetta dal suo sorriso. La domanda che si fanno tutti è: un trapianto ti cambia? prosegue Rossana. Nel mio caso ho sempre avuto consapevolezza dell’importanza della donazione. Esistono mille modi per donarsi, e il trapianto è una sorta di miracolo. Ogni mattina ti alzi e pensi a quanto è bello il mondo: un mondo che altrimenti non potresti più vedere. Noi trapiantati torniamo ad una vita perfettamente attiva. Senza la donazione io non sarei più qui da anni.  Nel mio viaggio ho sempre trovato  strutture super efficienti e personale preparato e con una grande sensibilità.Ogni volta che ho avuto un problema (prima/durante e dopo l’intervento) sono stata presa in carico con sensibilità e puntualità.  Il centro di Arezzo per noi è indispensabile. Ci conoscono, ci seguono, ci controllano, hanno sempre un attimo per noi, un sorriso, una parola di sostegno e supporto, non siamo numeri ma persone. E questo fa la differenza. Per chiunque. Per noi fragilissimi ancora di più.Se dovessi convincere una persona a donare, conclude Rossana, non direi nulla. Gli direi di guardami negli occhi e vedere come brillano di vita e gioia.“. Altra storia, quella di Paola ed altro insegnamento.“La mia vicenda, racconta Paola, comincia alla fine del 2000 quando, a seguito di approfonditi esami, ho scoperto di aver ereditato dal mio babbo la CBP, colangite biliare primitiva, una malattia autoimmune che porta lentamente ma gradatamente al mancato funzionamento del fegato con conseguenze mortali. L’unica soluzione proponibile, una volta arrivati all’ultimo stadio della malattia, era ed è il trapianto. La malattia non mi ha comunque impedito di condurre una vita normale, di avere dei figli e di lavorare. A febbraio dl 2015, però, senza nessun preavviso, ho avuto una grossa emorragia e sono stata ricoverata in gravi condizioni. Da quel momento è partito il mio percorso per essere inserita nella lista trapianti.  Il 19 agosto dello stesso anno ho ricevuto l’organo grazie ad una persona generosa e speciale che aveva espresso la volontà di donare gli organi e che ora porto  con me.L’attesa per me è stata brevissima, non ho neppure avuto il tempo di realizzare bene cosa mi stesse succedendo all’arrivo della  telefonata, in piena notte. Entro due ore dovevo essere a Pisa e sinceramente l’unica mia preoccupazione durante il viaggio era quella di non  trovare traffico. Sono sempre stata tranquilla e serena, del resto la vita mi dava una grande possibilità che purtroppo tante altre persone non hanno potuto avere e la dovevo cogliere con il sorriso. Ho avuto ragione. Oggi sono moglie, mamma e soprattutto nonna felice, e senza quei medici ed infermieri eccezionali e un angelo che mi accompagna sempre, non sarei qui a raccontarvelo. La vita mi ha dato una grandissima seconda opportunità e non posso e non voglio dimenticarmelo nemmeno per un istante. Ricordiamoci sempre che una vita che finisce, pur nella tragedia, puo’ salvarne tante altre (nel caso della mia donatrice ben sette persone) e ridare una speranza a molte famiglie”. Aumentare il numero di trapianti di fegato affrontando la sfida dell’uscita dall’emergenza Covid, è questa la sfida del team del San Donato. A tal proposito da qualche anno la direzione dell’Ospedale  ha messo a disposizione anche una mail aziendale  per migliorare la comunicazione e la velocità degli interventi.

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