Toscana: stranieri ; sette su dieci sono in Italia da dieci anni e il 15 per cento ci è nato. I più numerosi rumeni, albanesi e cinesi

di Walter Fortini

Gli stranieri che vivono in Toscana sono in Italia da molto tempo: due su dieci ci risiedono da prima del 2000, il 73 per cento da almeno dieci anni. Lavorano, pagano le tasse, hanno messo su casa e famiglia. Su cento, quindici sono nati proprio in Italia e in gran parte sono ancora bambini o minorenni. Alla fine in Toscana non sono più del 12 per cento della popolazione presente: poco meno di 464 mila persone in tutto al 1 gennaio 2019. Rumeni, albanesi e cinesi più numerosi degli altri. E tra questi è compreso anche chi (si stima il 7,5 per cento) è privo di qualsiasi permesso o ce l’aveva e gli è scaduto. I numeri li dà l’Irpet, l’istituto di programmazione economica della Toscana, assieme a Caritas italiana, Fondazione Leone Moressa e Centro Studi Idos e Neodemos. Accade durante un seminario, organizzato in collaborazione anche con Anci Toscana (l’associazione dei Comuni), che si è svolto a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza della giunta regionale, ed è l’occasione per presentare anche l’Osservatorio sull’immigrazione di cui la Regione, da pochi mesi, ha deciso di dotarsi: per indagare meglio un fenomeno affidato troppo spesso a errate percezioni o a statistiche solo parzialmente sistematizzate.”Quel che appare evidente è che la presenza degli stranieri è qualcosa di ben lontano da un’invasione – ribadisce l’assessore all’immigrazione della Toscana, Vittorio Bugli –. Negli ultimi anni sono sostanzialmente cresciuti solo per via dei nati in Toscana e i numeri ci dicono peraltro che il trend, dovuto ad una diminuzione delle nascite, sta ora rallentando. In ogni caso si tratta di persone già molto legate (e in modo duraturo) al territorio in cui vivono”.Falsa – e contraddetta dai dati – sarebbe anche la rappresentazione per cui gli stranieri che vivono in Toscana e in Italia ricevano più sostegni ed agevolazioni pubbliche di quanto versino come tasse e contributi. I numeri dicono infatti che tra pensioni e sussidi di disoccupazione gli italiani ricevono sette volte il valore di quanto entra in tasca degli stranieri e che la differenza tra quanto versato e quanto ricevuto è doppia (e dunque più vantaggiosa) per gli italiani rispetto agli stranieri. E questo accade nonostante la maggiore presenza di ‘poveri assoluti’ (il 17-18% contro il 3% degli italiani) e nonostante che gli stranieri guadagnino meno in termini assoluti: il 31 per cento in meno in Italia, il 23 per cento in Toscana contro un gap del 30 in Lombardia e Emilia Romagna e del 40 nel Lazio. A volte accade per motivi riconducibili a età e titolo di studio, altre volte è indice – racconta sempre Irpet – di un trattamento discriminatorio, che Toscana riguarderebbe comunque solo due casi su dieci rispetto ad una media nazionale che è più del doppio.L’Osservatorio regionale sull’immigrazione ha già prodotto due note e studi da giugno: la prima sui numeri degli stranieri, la seconda sul reddito ed accesso al welfare. “Ci aiuteranno a capire meglio fenomeni e situazioni, per calibrare nel modo migliore politiche e interventi ” spiega l’assessore Bugli. “Vogliamo studiare l’immigrazione in maniera scientifica – aggiunge –. Abbiamo bisogno di uno strumento che ci aiuti a capire le caratteristiche delle persone che arrivano da altri paesi, come si inseriscono nella nostra comunità, come ne conoscono i servizi e la loro capacità di usarli, ma anche capire quali sono le preoccupazioni dei cittadini e avere gli strumenti per distinguere tra realtà e allarmismi che spesso si manifestano in modo improprio e strumentale”. Pure con seminari come quello di oggi a cui l’assessore vorrebbe dare una forma stabile, affollato fin da questo primo incontro da rappresentanti di associazioni, enti locali ma anche rappresentanti di imprese.La parola ‘straniero’ è forse una di quelle che più divide l’opinione pubblica. E’ spesso usata anche per intendersi persone che vivono condizioni molto diverse.Si dice straniero intendendo chi vive da anni in Italia (e sono i più), sia chi invece è di passaggio. Ci sono stranieri poi che hanno acquisito un regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro, di ricongiungimento familiare, di studio e formazione o per motivi politici o religiosi: in Toscana sarebbero, sempre secondo Irpet, 433 mila, oltre il 93 per cento, di cui 417 mila con regolare residenza. Ci sono gli stranieri che si trovano nelle strutture di accoglienza, in attesa di una decisione sulla loro richiesta di asilo. In Toscana a dicembre 2017 se ne contavano 11.607 nei Cas ed altri 1148 negli Sprar, passati rispettivamente a 6386 e 1278 nel 2019. C’è chi infine è senza alcun permesso né ha inoltrato richiesta di asilo (e magari dall’Italia vuole proseguire il suo viaggio verso altri paesi): circa 31 mila, probabilmente.Un altro dato appare evidente. La popolazione toscana diminuisce. Nel 2017 ha perso 18 mila abitanti ed ha registrato per il terzo anno consecutivo un saldo negativo, essenzialmente dovuto alla differenza tra nascite e morti. Il saldo naturale con segno meno non è una novità: la prima volta è stata nel 1977. Dal 2000 gli abitanti sono aumentati solo grazie agli arrivi dall’estero, che hanno contributo a ridurre l’invecchiamento demografico. Ma di recente anche la popolazione straniera ha rallentato la propria crescita, passando dal 13,5% del 2003 all’1,4 per cento del 2018. Sono diminuite le nascite ma anche i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, passati dai 20 mila del 2010 agli appena 563 del 2017.Nel frattempo in venti anni quasi 129 mila persone in Toscana – per motivi di residenza, matrimonio o perché figli di un matrimonio misto – hanno acquisto la cittadinanza italiana. Grossomodo gli stessi italiani (128.583) che nell’ultimo anno, come recita il rapporto della Fondazione Migrantes, sono fuggiti all’estero dal Belpaese in cerca di un futuro migliore. Oramai non vive in Italia l’8,8 per cento degli italiani (quasi 5 milioni e 300 mila persone al 1 gennaio 2019); tredici anni fa erano poco più di 3 milioni. La regione che nel 2018 ha registrato più partenze è la Lombardia, seguita da Veneto e Sicilia. Ma tra chi ha deciso di partire non sono stati pochi neppure i toscani.

Le politiche di accoglienza messe in campo dalla Regione

Di  Walter Fortini

Le Regioni non hanno competenze dirette sull’immigrazione o sull’organizzazione dell’accoglienza di profughi e richiedenti asilo. “Ma al di là dell’aspetto formale in Toscana abbiamo deciso di occuparcene – spiega e rivendica l’assessore regionale all’immigrazione, Vittorio Bugli – perché si tratta di un tema importante, che investe la comunità e l’organizzazione anche dei servizi. L’abbiamo fatto anzitutto cercando di lavorare tutti assieme e il primo atto di questa collaborazione è stato il libro bianco sull’accoglienza realizzato nel 2017, elaborato in modo partecipato, assieme a tutti gli attori impegnati sul territorio”. “Abbiamo fatto anche di più – aggiunge Bugli –. Abbiamo infatti chiesto all’interno del percorso di autonomia regionale avviato con il Governo di essere messi nelle condizioni di gestire al meglio il fenomeno della presenza degli stranieri sul nostro territorio, organizzando accoglienza e servizi nel modo e con il modello che riteniamo migliore”. Un’accoglienza anzitutto diffusa, come è stato fin dal 2011.Il Libro bianco toscano raccoglie le buone pratiche già diffuse sul territorio e due, li rammenta l’assessore, sono stati i principi fondamentali alla base dell’intera riflessione. “L’immigrazione è un fenomeno strutturale, quindi non va affrontato come un’emergenza come oggi avviene. Inoltre riguarda le persone, e quindi se ne devono occupare i Comuni, gli enti e le Regioni che con le persone e i loro bisogni hanno a che fare, e non le prefetture”.Dopo il Libro bianco la Regione aveva iniziato a strutturare nella pratiche modelli e progetti analizzati. “Poi però – riepiloga l’assessore – sono arrivati i decreti Salvini sulla sicurezza, che peraltro invece creano maggiore insicurezza nelle comunità, e quel percorso di strutturazione è diventato un percorso di resistenza”. La Regione ha fatto ricorso contro quei decreti, in particolare contro la cancellazione del permesso per protezione umanitaria, contro le nuove disposizioni sulla (non) iscrizione all’anagrafe e il daspo urbano esteso ai presidi sanitari. Poi ha proposto una legge, approvata dal Consiglio regionale lo scorso luglio, sulla tutela dei bisogni essenziali della persona. Ha messo a disposizione anche 4 milioni di euro, destinati a Comuni ed associazioni, per progetti di integrazione e coesione sociale nelle comunità ; toscane e per tutelare appunto quei bisogni. Altri interventi, che riguardano il fronte del lavoro, l’aspetto sociale e l’apprendimento della lingua, rientrano invece nei Progetti Fami.”E’ evidente che i decreti Salvini anziché sicurezza rischiano di creare insicurezza – conclude Bugli –. Aumenteranno infatti (ed anzi sono già aumentati) i cosiddetti ‘irregolari’, a cui è urgente far fronte prima che diventino merce della criminalità”. Il Ministero dell’Interno già mesi fa spiegava che in Toscana circa 3.500 persone sono uscite in un anno dal sistema dell’accoglienza. Di queste circa 2.000 si stima che siano andate ad ampliare il numero delle persone non riconosciute, esposte certamente al rischio di finire su una strada e in situazioni border-line perché prive della possibilità di potersi permettere almeno i bisogni essenziali. “Per questo abbiamo approvato la legge – spiega ancora Bugli – per poter estendere a tutti, stranieri e non, i diritti essenziali della persona: diritti come l’accesso alle cure, la possibilità di finire la scuola per i bambini, un pasto e un tetto seppur temporaneo per vive in situazioni di emergenza. Abbiamo quindi messo a disposizione le risorse necessarie e il lavoro di studio avviato servirà per il futuro a definire al meglio progetti che rispondano alle necessità reali”.”Fra pochi giorni ci saranno i risultati dei bandi – conclude l’assessore – . Abbiamo rivolto l’invito a partecipare a tutto il territorio, con budget divisi zona per zona. In molte realtà c’è stata una capacità di fare squadra anche a livello progettuale”.