Dodicesimo appuntamento con la divina Commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi

106 (canto n. 24) (Vanni Fucci)
Luogo – (Ottavo Cerchio; Settima Bolgia, Malebolge);
Custodi – (Gerione; Cacone è anche lui custode e contemporaneamente è un dannato di questa Settima Bolgia: trattasi di un personaggio mitologico che fu ladro e omicida, al quale il Sommo qui dà le sembianze di un Centauro);
Categoria – (I Ladri);
Pena – (I Ladri corrono nudi, con le mani legate e sono tormentati dai serpenti);

Contrappasso – (I Ladri in vita usarono l’astuzia per malvagie finalità, e le loro mani per rubare: ora corrono nudi, con le loro mani legate, e sono tormentati dai serpenti);
Personaggio – (Vanni Fucci).
Quindi giungemmo nella Settima Bolgia dell’Ottavo Cerchio.
Impervio fu il nostro percorso: qui occorreva aver buon occhio,
Essendo la sponda esterna di ogni Bolgia più ripida e più corta, della sua parte interna.
Tra spuntoni difformi giungemmo alla sommità dell’argine ch’era più buio di una sotterranea taverna.
A me mancò l’aria proprio in quel punto,
E in quel momento: da ciò oppresso mi sedetti proprio lì appena giunto.

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Virgilio, era corrucciato, per le parole da poco pronunciate da Frà Catalano.
Così come avviene al contadino, quando la situazione par gli sfugga di mano,
Nel caso la brina i terreni imbianchi pur non essendo neve,
E allora esce ed osserva preoccupato quel candido panorama che lo circonda
Senza poter  distinguer almeno a prima vista se trattasi di brina oppure no: e con un certo timore
A casa rientra, anche con un po’ di malumore.
Fin quando nuovamente esce dopo un poco ed al dissolversi della brina,
Percepisce la speranza a lui più vicina:
Appare ormai rasserenato e quindi può condurre il proprio gregge al pascolo, lì sulla pieve.

 

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La via del percorso da noi intrapreso era alquanto impervia, per raggiungere la vetta dell’argine sovrastante.
Con grande sforzo, raggiungemmo quella sommità, dove restai senza respiro.
Per questo stanco mi sedetti e mi riposai, in cerca di ristoro.
Virgilio però duramente mi riprese, ricordandomi che l’uomo
Mai potrà conquistare fama stando seduto o sotto le coperte, e mai dovrà esser domo,
Salvo s’accontenti solamente d’esser spuma nell’acqua o fumo nell’aria circostante.

 

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Quindi mi esortò immediatamente a risollevarmi, al meglio utilizzando la mia volontà per oppormi a quella stanchezza.
“Lungo ancora sarà il viaggio – tuonò il maestro – piuttosto dona al tuo animo più fermezza”.
Scosso da queste parole, un po’ intristito ripresi il mio cammino:
Pur essendo buio, intravvidi il fondo della Bolgia che pullulava di serpenti che un proprio spazio par che proprio lì si ritagliassero.
Nudi e terrorizzati con le mani legate dietro la schiena proprio da quei serpenti le anime dei ladri lì residenti,
Correvano senza ragione con quei rettili arrotolati al loro fianco nell’atto di mostrar i loro acuminati denti.
La destrezza che questi peccatori avevano mostrato in vita, proprio nell’esser ladri, e quindi da ognun respinti,
Trovava giusta pena, e quindi il proprio contrappasso nell’aver lì nell’Inferno le proprie mani legate dai serpenti.

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Quando all’improvviso, tra quella massa, vidi un’anima dannata, assalito da un serpente e da questo morso sulla sua nuca.
Che improvviso nel cadere a terra in cenere si trasformò mentre su sé stesso quasi s’avvitò.
Per rinascere come la fenice.

Ma appena risollevata l’anima di quel peccatore con l’aria un po’ sconvolta quasi apparve bloccata,
Muovendo lentamente la sua bocca che parea profferisse parole come fa il bruco quando bruca.
Virgilio interpellò quel peccatore, dalle proprie ceneri rinato, chiedendogli chi fosse e quel dannato
Gli rispose di essere finito lì dalla Toscana:
“Son Vanni Fucci da Pistoia, Guelfo Nero, lì vissi una vita indegna e poco sana”.

 

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“Qui ora sconto il furto degli arredi sacri della cappella di Sant’Jacopo nel duomo di Pistoia, erroneamente attribuito ad altri.
Mi dolgo esser visto da te qui ed in tal misera condizione”.
Mi disse, e aggiunsi che già lo avevo conosciuto in vita ma che meglio desideravo farmi su di lui una veritiera opinione.
Poi Vanni mi ingiunse di ben ascoltar le sue parole.
“Caro Dante, prima a Pistoia, saran cacciati i Guelfi Neri: mentre a Firenze inizialmente saranno i Guelfi Neri a cacciare i Guelfi Bianchi: poi per mano del Marchese Moroello di Malaspina, Guelfo Nero, tra il 1302 ed il 1306, verran scacciati da Pistoia i Guelfi Bianchi”.
Vanni alla fine, ci tenne a precisarmi, che quella profezia, me l’aveva riferita soltanto per infliggere al mio animo un gran dolore.

 

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Ora rivolgo a te lettore, la mia attenzione, e ti fornisco qualche necessario chiarimento.

Io sono e sono sempre stato solo un Guelfo Bianco, e non è la prima volta che te lo evidenzio.

I miei avversari Ghibellini sostenevano invece l’Imperatore, in opposizione al Papa romano.
I Guelfi Bianchi apertamente sostenevamo il Papato nel caso anche con vigore, però non ritenendo il Papa sempre adatto a svolger attività politica, e quindi a volte parteggiavamo a nostra discrezione per l’Imperatore.
I Guelfi Neri, rispetto a noi, al Papa eran favorevoli comunque: perché da essi ritenuta la figura più capace all’esercizio del potere, e quindi sempre più lo spalleggiavano.

113 (canto n. 25) (Metamorfosi)
Luogo – (Ottavo Cerchio; Settima Bolgia, Malebolgie);
Custodi – (Gerione; Caco ne è anche lui custode e contemporaneamente è un dannato di questa Settima Bolgia: trattasi di un personaggio mitologico che fu ladro e omicida, al quale il Sommo qui dà le sembianze di un Centauro);
Categoria – (I Ladri);
Pena – (I Ladri corrono nudi, con le mani legate e sono tormentati dai serpenti);

Contrappasso – (I Ladri in vita usarono l’astuzia per malvagie finalità, e le loro mani per rubare: ora corrono nudi, con le loro mani legate, e sono tormentati dai serpenti);
Personaggi – (Vanni Fucci, Cianfa Donati, Agnello Brunelleschi, Buoso Donati,  Francesco dé Cavalcanti detto “il Guercio”, Puccio detto “lo sciancato”).

Ancora nello stesso luogo eravamo io e Virgilio;
Assistemmo a scene nell’Inferno prima mai osservate ed a metamorfosi che ci renderanno parecchio inquieti.
Vanni Fucci appena conclusa la sua profezia, debordante di odio,
Ingeneroso bestemmiò contro il buon Dio,
A lui rivolgendo il gesto della doppia fica,
Intersecando il pollice con le due altre successive dita,
A simular l’atto dell’amoroso connubio,
Però inteso in questo caso qual pesante insulto, senza dubbio.
Peggiore addirittura, in tal dissacrazione, dello stesso Capaneo.

 

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Ma il gesto volgare e spudorato
Dal Fucci al Padre Eterno indirizzato,
Causò l’irritazione di due serpenti, lì presenti,
Che gli si avvolsero l’uno, intorno al collo e l’altro alle sue braccia, e rotolandoglisi addosso, l’uno lo strozza, in un momento,
Ad impedirgli il profferir di altre ingenerose parole,
Nel caso anche del tutto limitandole,
Qual esplicito segnale a lui diretto, che sarà bene una prossima volta, esser più prudenti:
E l’altro gli serrò le braccia, annodando testa e coda, al fine di impedirgli ogni altro movimento.

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D’impulso reagii alla predetta visione,
Maldicendo Pistoia, che per aver dato gli avi a Vanni Fucci, avrebbe già dovuto incenerirsi.
Il Fucci era della superbia contro Dio il miglior campione:
Atteggiamento che neanche da Capaneo, il re di Tebe, all’atto della caduta delle mura di Tebe, sarebbe stato lecito aspettarsi.

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Poi Vanni Fucci fuggì e appena dopo sopraggiunse un Centauro,
Con tanti serpenti sulle spalle, oltre ad un drago, che lì appollaiato, si sentiva un po’ insicuro,
E che stava ad ali aperte, lanciando fuoco a chi contro di lui s’imbatteva.
Col suo fuoco straripante creava all’istante
Cenere diffusa e polverosa, come sarebbe stata, nella seconda metà del 1800, quella sprigionata dal tabacco, dalla glicerina, dallo zucchero o dalla melassa, contenute nelle prime sigarette.
Era Caco un essere mostruoso, qui nella veste di custode e di dannato, che già nelle grotte del monte Aventino aveva compiuto umane stragi,
Lasciando lì sul posto troppo sangue, per quei suoi comportamenti malvagi.

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Caco, quand’era in vita, ebbe l’ardire di sottrarre quattro buoi e quattro giovenche della mandria del gigante Gerione – re dell’isola Eritrea; animali dal fulvo colore,
Straordinari nel loro incomparabile fulgore;
Ad Ercole, che dal fratello Euristeo, era stato comandato alla consegna di quella intera mandria; ciò per compiacere il volere degli dèi.
Era la decima fatica dell’eroe, e direi
Che Caco gliela voleva render vana.
Per non lasciare traccia, il furbo Caco, fece camminar ritrosi gli animali per tutta la distesa piana.
Ercole, però, lo rintracciò e si riprese sia le giovenche che i buoi;
In aggiunta soffocando Caco – con le sue braccia – che da questa scelta, ne aveva ricavato solo guai.

 

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Come Minosse, Caronte, Cerbero, Pluto e Gerione, Caco era uno dei demoni pagani,
Nell’inferno collocati per svolgere la funzione di guardiani.
Sopraggiunsero tre anime dannate; per me però, sconosciuti infernali cittadini.
Nell’attesa che i tre si presentassero, osservando Virgilio, posi l’indice tra il mio mento ed il mio naso, come a dirgli: per un attimo, taci.
Una delle tre anime dannate, si chiese ove si trovasse Cianfa Donati, capo dei Guelfi Neri:
Da ciò compresi che si trattava di personaggi fiorentini, sicuramente capaci guerrieri.
Ma ciò che avvenne, mi lascerà davvero stupefatto.
Trattavasi di incredibili metamorfosi, di cui non si può che prender atto.
Addosso ad uno dei tre ladri, Agnello Brunelleschi – Guelfo Bianco, ma anche Guelfo Nero –  all’improvviso si avventò uno strano serpente,
Munito di sei zampe,
Che addosso gli si attorcigliò, aderendo con i piedi di mezzo, sul suo ventre:
Con i piedi anteriori sulle due braccia, mordendogli le guance, e nel mentre,
Coi piedi posteriori, si appoggiò sulle cosce, e di fatto lo incatenò.

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Interpose tra di esse la sua coda, che distese veloce su quella fiorentina schiena.
Ma cosa ancor più strana, quei due corpi, innaturali si fusero tra loro.
Il citato Agnello si era ormai trasformato: i due esseri si fusero in una nuova creatura.
Le braccia umane, i piedi posteriori del serpente divennero due arti,
Assunsero un aspetto sconosciuto, tutte le altre parti.
Per poi lentamente allontanarsi, ma con disinvoltura.

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Subito dopo, un piccolo serpente nero pepe,
Sotto la cui foggia si celava Buoso Donati, ladro di professione, solitamente in combutta con Francesco de’ Cavalcanti,
Trafisse l’ombelico di uno degli altri due, senza recargli dolore e senza creargli crepe.
Era l’ombelico del Cavalcanti detto “il Guercio”, che anche se di poco si era sporto in avanti,
In piedi, stupito, lo guardò senza riuscire a profferir parola,
Nel contempo sbadigliando come se avesse sonno, oppur la febbre.
Anche qui si realizzò una strana trasformazione:
Il Cavalcanti saldò insieme i suoi piedi, le sue gambe e le sue cosce si congiunsero, in una strana evoluzione.

 

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La coda biforcuta del serpente assunse forma umana, e un poco crebbe.
Al “Guercio” si ritrassero le braccia dentro le ascelle e le zampe del serpente di par misura s’allungarono; ormai il “Guercio” era in trappola.
E tra loro attorcigliate, le zampe di quel serpente, assunsero l’aspetto di un maschile membro,
Mentre il membro del “Guercio” si trasformò in due piedi, con un diverso ingombro.
Il serpente era il vincitore di questa trasformazione che incredibilmente accadde.
In piedi si pose, mentre l’anima dannata del “Guercio” a terra cadde.
Quello che fino a poco prima era stato il serpente, cioè Buoso Donati, ritirò il muso dietro le tempie, e si formarono le orecchie e quindi il naso, senza ulteriori contorsioni.
Colui invece che stava a terra, cioè Francesco de’ Cavalcanti,
Allungò il suo muso in avanti,
Gli si ritrassero le orecchie, e la sua lingua divenne biforcuta.
Così trasformato ormai in serpente, il Cavalcanti, sibilando si allontanò, nella sua foggia trasformata.
Solo il Ghibellino Puccio “lo sciancato” restò indenne da trasformazioni.