IL LIBRO DEL MESE: Quando il cielo ci fa segno (piccoli misteri quotidiani) di Vittorio Messori, Ed Mondadori, anno 2018
Di Francesca Andruzzi
‘Quando il cielo ci fa segno’ di Vittorio Messori è stato pubblicato alla vigilia della vicenda pandemica – che ha stravolto gli scenari mondiali – quando la nostra esistenza viaggiava su quei binari di cosiddetta “normalità” che, a ripensarla, oggi appare, forse, “pigra normalità”. Vivevamo – se non tutti, almeno molti – in una sorta di limbo. La crisi economica, le guerre a macchia di leopardo, le malattie incurabili o curabili che fossero, le morti sul lavoro, le violenze in ambito familiare, la disoccupazione, l’inflazione e… chi più ne ha più ne metta, in fondo, diciamo la verità, ci passavano accanto tramite l’informazione, senza avvicinarsi più di tanto. In linea di massima, non lo permettevamo: per paura, magari, di contaminarci, per paura che tutti questi “fenomeni” potessero stravolgere, rovinare la pallida comodità che avevamo costruito sul concetto di (falso) benessere. Oggi molti si accorgono di aver vissuto, fino allo scoppio di quella che è stata definita una guerra sanitaria, da anestetizzati. Corpi che si alzavano ogni mattina e andavano a letto la sera. Ciò che era in mezzo a queste due meccaniche attività quotidiane: la nostra giornata fatta di altrettante meccaniche attività. Corpi che vivevano o credevano di vivere ricercando la comodità in luogo della felicità, un concetto astratto che a molti ancora fa paura, con ogni probabilità perché la via della felicità, come ci ha insegnato anche Dante Alighieri, passa inesorabilmente per un sentiero difficile, doloroso e, in molti casi, pericoloso. Pensiamo alla felicità, ad esempio, che deriva dai rapporti familiari. Non basta certo sposarsi e magari mettere al mondo dei figli per essere felici. Anzi, molto spesso è proprio con il matrimonio o con una unione civile che iniziano… i dolori. La felicità che deriva dalla famiglia costa sacrificio, rinuncia, comprensione, aiuto reciproco, ascolto, complicità, empatia. E si manifesta a lungo termine. Perciò, meglio soli, meglio rinunciare in partenza o allontanarsi. Meglio comodi a breve termine; felici a lungo termine è troppo faticoso. Insomma, con il 2020 è arrivato uno schiaffo in faccia, che ci ha risvegliati dal comodo torpore. Abbiamo assunto in un’unica “dose”, per dirla con un termine in voga, la consapevolezza della nostra finitezza dal punto di vista corporale. E lì sono iniziati i guai. Perché sul nostro corpo avevamo investito tutto e all’improvviso veniamo a sapere che il corpo muore! Non era certo una novità, ma l’abbiamo vissuta come tale. E abbiamo avuto paura. O meglio, visto che della morte corporale hanno avuto un certo timore anche alcuni Santi, non abbiamo saputo gestire la paura. Paura di morire, paura di vedere il lavoro di una vita fallire miseramente, paura dell’altro, che in un solo giorno si è trasformato in veicolo di contagio. E in queste paure abbiamo visto, per la prima volta, la solitudine nella quale avevamo cercato la comodità. Altrettanto improvvisamente essa diveniva stretta, soffocante. Isolati come eravamo, abbiamo sentito il bisogno impellente e irrinunciabile di andare a far visita ai nonni, ai genitori, agli amici, a tutti quelli che fino al giorno prima avevamo tenuto ben lontani perché non turbassero la nostra comodità. Ma non si poteva più. Erano divenuti pericolosi in modo diverso, degli untori. Ci siamo ritrovati, più che soli, isolati. “Io e me”, potremmo dire. Senza possibilità di scelta. E abbiamo scoperto di non bastare a noi stessi in questa situazione emergenziale; il nostro corpo non bastava più. Lo avevamo nutrito con la ginnastica, con i trattamenti estetici, con l’abbigliamento, per mostrarlo agli altri. Improvvisamente, nessuno ci guardava se non dallo schermo di un computer. In questo biennio abbiamo forse compreso quanto il nostro corpo sia debole e finito. Forse, l’unica consapevolezza realmente positiva di questo infame periodo. E abbiamo guardato magari con un poco d’invidia a chi, anche prima, aveva creduto nell’esistenza dello spirito, a quella parte di noi che alcuni chiamano anima. La dimensione trascendente, spirituale, appunto, che per tanti anni, se non decenni, era stata allontanata e che, prepotentemente, tornava a far sentire la sua necessità. La tensione verso il mistero. Come ha anticipato il Direttore Leonardo Mattioli nell’articolo di presentazione di questa nuova rubrica, non è una recensione quella che state leggendo. Si tratta di un momento di condivisione con i lettori sulle sensazioni che genera la lettura di “Quando il cielo ci fa segno”. Ognuno avrà le sue, questo è un dato incontestabile. Ma il libro, in questa rubrica, diviene un pretesto per affrontare un argomento che ci può unire nella riflessione. E questo mese l’argomento è: la spiritualità. A prescindere dalla religione, la tensione verso il mistero, verso una dimensione parallela, verso l’ignoto è da sempre insita nell’essere umano. La fede è in sé un mistero. Affascinante, ma tutto ciò che affascina può fare paura. Nella narrazione di episodi che i più potrebbero definire inspiegabili, coincidenze, Messori ci porta per mano nella sua vita, ci narra ciò che a lui è accaduto. Esperienze che altri potrebbero definire paranormali. Le condivide con noi in questo libro che conta poco meno di centocinquanta pagine, ma nel quale una pagina sembra racchiuderne mille. E lo fa con il garbo e l’efficacia che deriva dalla sua grande preparazione e cultura, senza mai escludere la ragione perché, ci ricorda, disse Pascal, “l’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi è un’infinità di cose che la superano”. La razionalità non esclude la Fede; lo stesso Dante, quando arriva al cospetto di Dio, continua a ragionare su ciò che vede anche se ciò che vede va al di là della ragione. Ragionare è, o almeno dovrebbe essere, una esigenza umana. Non è razionale solo chi non crede, è razionale anche il credente. Sicuramente, per dirla con l’Autore, che cita una esortazione del Cardinale Caffarra, “È di urgenza drammatica che la Chiesa ponga fine al suo silenzio circa il Soprannaturale”, e il testamento spirituale del Cardinale Lehmann, “Tutti noi, anche nella Chiesa, ci siamo immersi nel mondo e abbiamo sepolto e occultato l’Aldilà. Questo vale pure per me. Ne chiedo perdono a Dio e ai fratelli nella fede”. La grande paura che abbiamo provato, e che ancora non abbandona molti di noi, sembra ora tornare, rinfocolata dagli scenari di guerra che da sanitaria è tornata alla sua espressione principale; quella e questa grande paura, come tutte le paure, avremmo potuto gestire meglio se avessimo imparato nel tempo a non provare paura per quella dimensione misteriosa – la cui meraviglia è peraltro già anticipata in questa dimensione terrena, afferma Messori – ove albergherà il nostro spirito? E quale esercizio migliore di quello teso ad accogliere quei segni che il Cielo in continuazione ci dona, e che spesso non vediamo, per poterci preparare alla Vita, quella Vita che in questa dimensione chiamiamo morte? Lasciamoci, allora, affascinare dai segni che Vittorio Messori ha ricevuto in questa esistenza terrena. Quando il Cielo farà segno anche a noi – sempre che non lo abbia già fatto – scopriremo che “non viviamo per caso”. E questa scoperta potrebbe aiutarci a gestire anche la paura della felicità.