La scatola dei ricordi: il racconto della domenica di Patrizia Patrizi

Pubblico e privato

 

Dalla fine del 1973, per tutto l’anno ‘74 e fino alle elezioni politiche del ’76, gli eventi politici, nazionali ed internazionali, erano vissuti con ansia e partecipazione, anche nel nostro piccolo paese. Tutti, in generale, dopo il benessere e la fiducia degli anni ’60, scoprirono inquietudine e smarrimento. La crisi petrolifera del ‘73 aveva portato all’austerità: tutti a piedi o in bici, la rai, che terminava la programmazione  poco prima delle undici di sera, faceva vedere le file nei negozi per comprare i beni di prima necessità. In paese noi ragazzi andavamo in  bicicletta, le code agli alimentari non c’erano  ma ricordo che il babbo impiantò l’orto, incentivò l’allevamento di galline, polli e tacchini e  mise pure tre pecore e una capretta. Come pressappoco fecero molti paesani.  Mi era sempre piaciuto andare al podere in bici ma da quell’anno non ci andai più tanto spesso: un giorno un tacchino mi volò sopra le spalle! Terrorizzata, dissi al babbo che non ci avrei più messo piedi, se non avesse ucciso tutti i tacchini.  Frequentavo ancora il gruppo di amici “politicizzati” e quindi assistevo spesso alle riunioni politiche nel periodo dalla primavera del ’74, fino al ’76. La mamma non si dava pace, all’inizio, per questo, e, insieme alla sua amica, la cui figlia era nel gruppo con me, faceva a turno per controllare i nostri movimenti. Avevamo la sede per le riunioni a casa di una coppia di ragazzi, proprio in piazza. Per me era un problema poiché dalla finestra di camera, la mamma poteva vedere se io entravo in quel portone. Confidavo che non sarebbe stata sempre dietro le persiane, quindi azzardavo ed entravo. Poi, se c’era, al rientro ne sentivo delle belle. Il ragazzo che ci ospitava a casa sua era di Cetona, la sua ragazza di Montepulciano. Fu la prima convivenza che vidi. Lei era più grande di me, donna fantastica, intelligentissima e femminista. Le riunioni erano sempre interessanti: dal sociale al politico, tutti gli argomenti erano discussi. La conclusione era sempre una cena, insieme, anche se partecipare spesso, per me era un problema. Il ragazzo che amavo sapeva cucinare benissimo. Ricordo due tipi di dessert favolosi: le pere al forno al cioccolato e vaniglia e le banane alla Copacabana . Una bontà. Poi la mamma cedette a più tolleranza; in particolare ricordo che, qualche sera, specialmente per la campagna referendaria sul divorzio, io e lei conversavamo spesso sul tema; a volte veniva  “a veglia” da noi, la mamma della mia amica e allora si che le conversazioni diventavano concitate!  La questione “divorzio” era importante; per fare più presa io la mettevo così: “perché una coppia, che non si ama o non si rispetta più, deve continuare a stare insieme”? Questo mandava in crisi le mamme e notavo che la risposta “religiosa” che mi davano, era alquanto debole, perché di fronte alla parola “amore” anche loro convenivano. Durante l’estate, la gente usciva la sera per passeggiare in piazza e la mamma si sedeva spesso nel muretto sotto la caserma dei Carabinieri. La raggiungeva la sua amica ed insieme guardavano le proprie figlie che sedevano, insieme al gruppo di ragazzi, negli scalini della fontana di piazza. Quel periodo, la mamma, diventò ancora più “morbida”,forse perché prese coscienza che io ero proprio innamorata di quel ragazzo “ rivoluzionario” di paese, che tanto aveva contestato: Un giorno mi disse: “ va bene, stacci pure, però lui viene in casa!” Così fu: quell’anno diventai la fidanzata ufficiale del ragazzo, leader del gruppo politico che anche a Cetona non era ben tollerato, nemmeno a sinistra. A livello nazionale il partito comunista aveva preso le distanze dalla sinistra extra parlamentare e aveva iniziato a porre le basi ideologiche per il futuro compromesso storico. Berlinguer lo aveva fatto scrivendo dalle colonne di Rinascita e anche in paese si parlava di questo avvicinamento al centro. Noi continuavamo imperterriti la nostra lotta…continua. E a me continuava a battere il cuore per il mio ragazzo. D’estate stavamo sempre insieme, in piazza, a casa sua o di qualche amico, alle riunioni.  Un giorno decise che mi avrebbe insegnato a guidare. Prese la A112 di sua sorella e iniziò a darmi lezioni di guida: avevo 16 anni… D’inverno era lui che veniva da me e dopo qualche chiacchierata con la mamma, ci mettevamo seduti in fondo alle scale di casa a scambiarci effusioni .La politica e il gruppo continuavano a far parte della nostra vita. Un giorno si seppe che, da lì a poco, ci sarebbe stato un comizio del movimento sociale italiano.Per carità! A Cetona! Questo non era proprio tollerabile! Ricordo che in giro c’era grande agitazione al punto che ,fu deciso, che tutti i negozi, per quel giorno, dovessero rimanere chiusi. Noi facemmo di più: il ragazzo genio del gruppo pensò ad un’ accoglienza ad effetto affinché fosse chiaro che la destra non era gradita a Cetona. L’agitazione collettiva mise in allarme la caserma dei Carabinieri; venimmo a sapere che quel giorno ci sarebbero stati rinforzi per il servizio d’ordine. Il ragazzo-genio aveva ideato un congegno: un registratore con una cassetta in cui c’era incisa a ripetizione una canzone, un paio di megafoni, installati uno sopra il grande tiglio della piazza e uno sulla finestra della sede. Fu preparato tutto nei dettagli.   Arrivò il giorno; noi eravamo nascosti nei vicoli, la piazza era vuota. Tutto era chiuso. I carabinieri erano schierati all’inizio della piazza, poco sotto la caserma. La mamma era dietro alle persiane di camera sua con la sua amica. Arrivarono due macchine. Scesero in otto. Montarono un piccolo palco. Il relatore prese il microfono è disse: “Camerati”… In quel momento dai megafoni uscì un grido in musica “ Avanti popolo, alla riscossa… “ . Le risate con le grida di protesta uscirono dai vicoli…ci fu un attimo di disorientamento generale da parte dei comizianti e dei carabinieri, poi quest’ultimi si mossero per venirci a prendere. Io e la mia amica ci dicemmo che forse era meglio rincasare…passammo nella stradina dietro la piazza ma lì incontrammo le mamme che erano scese di casa; ci presero per i capelli, letteralmente, e ci trascinarono a forza di “disgraziate” verso il portone. Vedemmo i nostri amici fermati dai carabinieri, mentre in piazza i megafoni continuavano a diffondere bandiera rossa. Gli otto del comizio salirono in macchina e se ne andarono. Non feci in tempo a vedere altro che la mamma richiuse il portone. Una volta in cucina le mamme, però, non sapevano se ridere o continuare a brontolare. Ricordo che l’altra mamma disse: “ non gli si può dar torto, quelli lì non li vogliamo nemmeno noi in paese”. Poi, aggiunse:“certo queste figlie ci danno da fare, però è grazie a loro, che anche noi possiamo evolverci e capire tante più cose! Alla loro età noi eravamo proprio ignoranti”.