La scatola dei ricordi: il racconto della domenica di Patrizia Patrizi     

Passioni condivise

 

Il mio amore per i cavalli è nato fin da ragazzina quando il babbo, nel mese che trascorrevamo al mare, mi portava all’ippodromo di Follonica e a Punta Ala a vedere il polo. Sognavo di avere un cavallo tutto per me, per poterlo accudire e poi fare lunghe cavalcate. Il mio sogno si avverò a ventitré anni. Daisy nacque, da un incrocio tra una cavalla anglo-araba e uno stallone maremmano, a maggio del 1982. Io avevo calcolato i tempi del parto e l’ultima settimana mi ero trattenuta nella stalla fino a buio e al mattino presto ero di nuovo lì per controllare. Alle sei del 12 maggio entrai nella stalla e vidi una zampa di fuori, il parto era iniziato, corsi a casa per chiamare il veterinario, poi in preda all’agitazione tornai nella stalla. Era già tutto fatto, la puledrina era fuori, si stava mettendo in piedi. Era un amore, baia e con gli occhi da cerbiatto. Le misi il nome della protagonista di un romanzo “rosa” che stavo leggendo a quei tempi: Princess Daisy. Era coccolatissima e aveva un’indole così buona che mi ritrovai in sella, dopo tre anni, senza grandi problemi.  Il mio tempo libero era diviso in maniera eguale tra le passeggiate in piazza con le amiche e quelle insieme a Daisy. Un giorno in piazza entrò un signore anziano in sella a una bella cavalla baia scura. Lì per lì non lo riconobbi, poi quando fui vicino, gli andai incontro sorridendo. Era Aldo, sindaco di Cetona per la seconda volta dal 1970 al ‘75. Lo ricordavo bene a quei tempi, quando io, ragazzina, facevo parte di un movimento politico “rivoluzionario” e lui era un componente di spicco nella sezione del partito comunista del paese. Ricordo i suoi comizi pieni di fervore e ricordo che era l’unico comunista che guardava con aria benevola il gruppo di ragazzi, del quale facevo parte anch’io, che contestava anche la politica del PCI. Era stato una persona molto carismatica per Cetona. Un uomo speciale molto apprezzato da tutti. Quel giorno ci accordammo per andare a fare passeggiate a cavallo insieme. Lui abitava non molto lontano dal paese, ci incontravamo a metà strada e poi insieme decidevamo il percorso da fare. Fu l’inizio di un lungo periodo di equitazione di campagna. Un giorno andavamo in montagna attraverso bellissimi sentieri, un altro andavamo al piano. Un giorno andavamo a Sarteano , un altro andavamo a Piazze. Una volta partimmo alle nove del mattino e rientrammo alle nove di sera!!! Ci fermavamo a colazione in qualche podere poi a pranzo in un altro; quella sera facemmo tardi perché ci eravamo spinti fino a Castiglioncello sul Trinoro e per tornare ci era voluto un sacco di tempo. Ricordo che andavamo a cavallo anche la mattina di Natale; però, per ordine della moglie di Aldo, il rientro a casa doveva avvenire entro mezzogiorno quel giorno! Ovviamente andavamo a cavallo il primo dell’anno.  Una mattina, invece, partimmo tardi per la nostra passeggiata: avevamo fatto appena mezzo chilometro che sentimmo un profumo di sugo toscano arrivare alle nostre narici e forse anche a quelle dei cavalli, perché si fermarono da sé, come a cercar di capire da dove provenisse quell’aroma meraviglioso. Individuammo la casa, poco prima dell’inizio del paese e ci dirigemmo lì. Era un vecchio casale in verità che aveva l’aia tutt’intorno e, nemmeno farlo apposta, due begli anelli in ferro incastonati nel muro di casa. Scendemmo al volo con l’acquolina in bocca, legammo i cavalli agli anelli e bussammo alla porta; la massaia ci accolse con un gran sorriso dicendo: “ dai, entrate che vi preparo due fette di pane col sugo”.  Era una donnona simpatica e affabile, prese un canavaccio, scacciò le galline che erano entrate in casa con un poderoso “sciò sciò” e ci fece accomodare; mise la pagnotta del pane a contrasto tra il suo seno poderoso e l’altrettanto vigoroso braccio, ci affettò due fette che saranno state 7/8 centimetri alte e ci versò sopra due mestoli ciascuno di sugo. Mai più mangiato un ragù cosi squisito! Finito di gustare quella prelibatezza, la ringraziammo e salimmo di nuovo a cavallo con destinazione il convento dei frati. Durante le passeggiate, fianco a fianco, io e Aldo parlavamo di tutto. Spaziavamo dalla politica alla religione, dai ricordi di infanzia e di gioventù all’attualità. Ci confidavamo e ci scambiavamo opinioni. Quando mi raccontava qualche episodio della sua esperienza di sindaco, io rimanevo affascinata: era riuscito ad applicare il nobile intento politico, nella sua essenza più pura, quello di far propri, i problemi del paese. Mi raccontava la sua vita, io ascoltavo e apprendevo delle difficoltà del mondo contadino dal quale proveniva, delle lotte per i diritti, della volontà di sapere, per questo leggeva sempre molto. Mi disse che era stato messo sopra un cavallo che avrà avuto si e no tre anni; infatti era sempre sicuro e tranquillo durante le passeggiate cosi mi sentivo anch’io quando ero insieme a lui. Seppi della sua storia del suo salto dal treno diretto in Germania, quando militare si trovò in Grecia alla fine della guerra e fu caricato sopra il convoglio insieme a altri italiani. Mentre ci dirigevamo “ai frati”, quel giorno discutevamo di Padre Eligio, il frate che aveva preso il convento per farne una comunità di recupero per ragazzi tossicodipendenti. L’argomento “ci prese” molto e decidemmo così di proseguire, tanto, fame non avevamo… Poi iniziammo a parlare di religione. Io ero sempre curiosa come un comunista affrontasse l’argomento. “ E’ un’altra cosa dalla Chiesa” mi disse a un certo punto. Allora io azzardai e gli dissi: “siamo tutti cristiani, in fondo”. Stette a lungo in silenzio,  dopo. Avevamo imboccato un sentiero costeggiato da boschi verdeggianti, che saliva verso la montagna, senza dirci nulla. L’aria era cosi profumata, i raggi del sole penetravano attraverso gli alberi, gli zoccoli dei cavalli ogni tanto inciampavano in qualche pietra del sentiero, eravamo assorti ognuno nei propri pensieri. A un certo punto, mi disse: “ Ti voglio confessare una cosa: pochi anni fa ho fatto un’operazione, mi hanno tolto un rene; ho avuto un po’ di paura prima di entrare in sala operatoria e, allora, quasi senza accorgermi, ho fatto il segno della Croce e detto un Padre Nostro”. Io sorrisi, lo guardai, abbassai lo sguardo, mi commossi. Ho amato tantissimo quell’anziano signore.