La Scatola dei ricordi : “La Levatrice del paese”, il racconto della domenica di Patrizia Patrizi

La sera dopo cena, anche nel nostro paese, era d’abitudine, andare “a veglia”. A casa nostra veniva spesso una signora anziana; era piccola di statura, con gli occhiali, sempre vestita a puntino con la gonna, la camicetta, il golfino aperto sul davanti e uno scialle sopra sia d’estate sia d’inverno, i capelli a caschetto, radi, castani tendenti al rossiccio.Era una donna calma, gentile e parlava in italiano corretto senza cadenze particolari. Era la levatrice del paese, l’ostetrica.  La mamma le dava del “lei” anche se si conoscevano da anni e la interpellava sempre per qualsiasi problema di salute sia suo sia di noi bambine, anzi spesso preferiva chiedere a lei anziché al dottore. Non era la sola, molte altre donne si rivolgevano alla levatrice, persino per avere consigli sulla vita matrimoniale, spesso difficile e sofferta. Quando arrivava la levatrice,non mi schiodavo dalla sedia, volevo sempre rimanere ad ascoltare i suoi affascinanti racconti!Ero una ragazzetta curiosa e amavo sentire quelle storie forbite di particolari e siccome erano tanto descrittive, a me sembrava di vederla in azione dentro quelle case dove avvenivano i parti. La mamma approfittava della sua venuta per stirare le “barche di panni” come appellava il mucchio d’indumenti ; cosi il tempo sarebbe trascorso piacevolmente ascoltando le avventure della levatrice. Aveva fatto nascere anche me, in casa ovviamente, come usava ancora ai tempi e, forse, anche per questo mi stava simpatica; poiché mangiavo poco, una volta disse alla mamma di darmi un pochino di caffè che mi avrebbe “tenuta su”, solo che… avevo tre anni! Una sera ci raccontò una di quelle avventure;era una notte di luna piena, l’avevo appena notata dalla finestra prima di veder arrivare la levatrice davanti alla nostra casa. Scesi le scale di corsa e le aprii il grande portone.Entrò nella grande cucina salutandoci con il suo modo affabile, si sedette a capotavola, prese il caffè con la crostata che la mamma le aveva preparato, mi guardò con un sorriso e dopo avermi chiesto come stavo e se avevo fatto “ la buona”, iniziò a raccontare di quella volta che dovette alzarsi di corsa e andare in campagna: “erano le tre di notte quando sentii bussare forte alla porta; era un contadino alquanto agitato ed era venuto a prendermi per portarmi a casa sua perché alla moglie erano prese le doglie del parto. Presi la mia borsa con l’occorrente, salii sul suo mulo che teneva per la capezza e ci avviammo per una stradina tortuosa che conduceva al podere. C’era la luna piena, per fortuna, anche se questo mi fece accorgere che camminavamo lungo un sentiero dove a sinistra c’era uno strapiombo pauroso. Allora con voce un po’ preoccupata chiesi  al contadino se la bestia  avesse paura di quel dirupo di lato. Mi rispose: “Stia tranquilla, il mulo è cieco da quell’occhio”!  Dopo un’oretta arrivammo alla casa; alla moglie era iniziato il parto, il contadino insisteva per stare lì, in camera con noi, e allora, anche se mi pareva strana questa pretesa, gli chiesi di portarmi più acqua calda. La donna fece molto veloce a partorire ed io esclamai: che bel maschio!!Il contadino mi guardò con sguardo accigliato e mi chiese se era “del tempo”. Io gli risposi e come no? Sarà  di 4 chili!! Nel momento che dicevo così, i miei occhi incrociarono quelli supplichevoli della moglie. Mi balenò un pensiero che trovò conferma appena vidi il capo della donna che si scuoteva. Allora cambiai la risposta: dissi al contadino che forse mi ero sbagliata, non avevo visto bene le unghie delle mani e dei piedi….no,no non era del tempo il bambino, forse era di sette mesi…si, si ero sicura che il bambino fosse prematuro! Vidi un’espressione di sollievo sul viso della donna, che mi ringraziò con un cenno del capo e vidi un sorriso appena abbozzato sul viso dell’uomo che volle prendere in braccio subito il bambino”.  Il racconto finì e scorsi la mamma ridere mentre io rimasi in silenzio. Io non avevo mica capito! Avevo fatto caso che anche quella sera c’era la luna piena ma del perché aveva detto che il bambino era prematuro non l’avevo afferrato. Pretesi la spiegazione che la levatrice mi dette in modo esplicito, senza tanti giri di parole, ma facendo una premessa “ sai Patrizia, erano tempi duri e tristi allora, c’era la guerra, il marito era potuto tornare a casa solo sette mesi prima del parto e poi era ripartito…”. Ricordo che negli anni le avrò fatto ripetere più volte questa storia; ogni volta la levatrice mi sorrideva chiedendomi: “ l’hai capita ora?”