Oggi pubblichiamo una nuova parte della divina Commedia “rivisitata” da Piero Strocchi

Oltre l’Antinferno si trova l’Acheronte, il fiume del trasbordo che quelle anime al trasporto sfianca.
Caronte era pronto qual nocchiero al trapassar delle anime dannate
Come fossero foglie morte, lui dagli occhi fiammeggianti e dalla barba bianca,
Che urlava loro sino a renderle sfinite.
Caronte vedendo che io ero vivo, non intendeva traghettarmi al di là della banchina,
Ma Virgilio in tono fermo gli precisò che doveva per forza farlo, essendo io una “persona viva” e quindi uno strumento della volontà divina.
E poi … all’improvviso, sopraggiunse un forte terremoto,
Che ogni cosa scosse,
Anche in quelle anime vuote.
Restai alquanto stordito, mi accasciai a terra, e svenni: intorno a me c’era soltanto il vuoto.

07 (canto n. 4) (Limbo) (Antichi poeti, Magni spiriti)
Luogo – (Primo Cerchio, Limbo);
Categoria – (I Non Battezzati);
Pena – (I Non Battezzati non subiscono pena perché in vita non conobbero Dio);

Contrappasso – (I Non Battezzati in vita non conobbero Dio; i Non Battezzati ora sono impossibilitati a vedere Dio, che pur tanto desiderano);
Personaggi – (Antichi poeti, Magni spiriti).
Con un gran tuono mi risvegliai,
E mi ritrovai nel primo dei Nove Cerchi dell’Inferno, chiamato Limbo, oltre l’Acheronte.
Da un frastuono venne avvolta la mia mente,
E dai sospiri delle anime lì residenti, i non battezzati; per le quali il sospirar continuamente era cosa consueta.

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Gradevole fu l’incontro mio e di Virgilio, con le anime dannate dei quattro antichi poeti,
Che gioirono nel riveder Virgilio, che risiedeva insieme a loro proprio lì nel Limbo.
Tra loro vidi l’anima di Omero forse di tutti il più grande, e dei quattro il re colui che in mano recava una spada;
Ed ancora l’anima di Orazio elegante nel suo scrivere, con le sue Satire di salotto che l’aristocrazia aggrada;
Quindi l’anima di Ovidio il gigante, con le sue immaginarie Metamorfosi;
Ed infine l’anima di colui che scrisse il “Bellum civile”, lo spagnolo Lucano, che proprio in quell’opera da giovane si era cimentato.

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Poi da una luce tutti e sei fummo ugualmente attratti,
Lì dove c’era un castello con diverse mura di cinta, ed avvolto esternamente dalle acque.
Lo superammo e poi vi entrammo, perché a vederlo molto ci piacque.
In un prato dimoravano gli spiriti autorevoli, i “magni spiriti”; personaggi di rilievo che stavano lì apparentemente a bighellonar distratti.
Tra di essi ne riconobbi più di una trentina, tra personalità e figure mitologiche, e nell’osservarli, tra me e me, ebbi per ognun di loro un veloce pensiero che mi attraversò la mente, e che qui ora vi narro.
Riconobbi l’anima di Elettra, la figlia di Agamennone, il re di Micene e di Clitennestra.
Riconobbi l’anima di Ettore, il figlio di Priamo il re di Troia e di Ecuba, fratello di Paride e comandante dell’esercito troiano.
Un pò più in là intravvidi Enea, progenitore di Roma, sposo di Creusa, di Didone e di Lavinia.
Poi riconobbi l’anima di Caio Giulio Cesare, il Generale romano, triumviro dal 60 a.C. con Pompeo e Crasso, e per un quinquennio dittatore, fino al suo omicidio per mano di Bruto, Cassio ed altri ancora, il giorno delle idi di marzo del 44 a.C..
E poi l’anima di Camilla, la mitica regina dei Volsci, che nell’Eneide del mio Maestro combatté contro Enea e cadde in battaglia.
Ancora l’anima di Pentesilea, oppur che dir si voglia, Pantesilea, la regina delle amazzoni.
Lì vicino c’era anche l’anima di Re Latino, il re dei Volsci, figlio di Fauno e della ninfa Marica, che diede in sposa sua figlia Lavinia ad Enea, il capostipite della “gens romana”.
E a lui prossima l’anima di sua figlia Lavinia, la terza sposa di Enea.
Poi ancora l’anima di Lucio Giunio Bruto, la cui storia terrena è collegata alla cacciata di Tarquinio il superbo, l’ultimo re etrusco di Roma, peraltro suo zio,tanto da far cadere la monarchia, fondando nei fatti la Repubblica romana di cui ne fu uno dei due primi Consoli nel 509 a.C.
Quindi riconobbi l’anima di Lucrezia, la moglie di Lucio Tarquinio Collatino – che fu anche primo Console di Roma insieme a Lucio Giunio Bruto –oltre che esser Lucrezia pronipote di Tarquinio Prisco,la quale si suicidò trafiggendosi il petto per l’oltraggio fisico ricevuto da Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il superbo.
Non lontana dal gruppo precedente c’era anche l’anima di Giulia Minore, la figlia di Cesare e di Cornelia Cinna Minor,che fu moglie di Pompeo Magno,e che si distinse per la sua moralità.
Quindi appresso l’anima di Marzia, la moglie di Catone Uticense, che poi incontreremo nel mio tragitto al Purgatorio con Virgilio.
Riconobbi l’anima di Cornelia, la figlia di Scipione l’Africano, madre dei Gracchi Tiberio e Caio.
Scorsi più distanziata l’anima di Saladino, il Sultano dell’Egitto, condottiero islamico che riconquistò Gerusalemme nel Sec. XII°; nella terza Crociata ebbe come suo avversario Riccardo “Cuor di leone” figlio di Enrico II° d’Inghilterra e di Eleonora d’Aquitania, di cui vi narrerò in un passaggio del Purgatorio.
Vidi ancora le anime di un gruppo di filosofi, e nell’osservarli, ebbi per ognuno di loro un veloce pensiero che mi attraversò la mente, per farmi ricordar i loro scritti e quindi anche il loro pensiero,ed estrassi dalla mia memoria una frase, per ognun di loro identificativa.
Ne riconobbi una decina, più un botanico.
Riconobbi l’anima di Aristotele, filosofo greco nato a Stagira nel Sec. IV° a.C., figlio di un medico, che si formò alla scuola di Platone,che fu educatore di Alessandro Magno e tornato ad Atene, fondò una sua scuola chiamata “il Liceo”, con gli studenti che sotto i porticati tra loro si confrontavano.Scrisse anche di logica, di fisica, di filosofia, di morale e di politica, nonché di poetica.
Una tra le sue frasi più celebri fu: “il saggio impari dai suoi nemici”.
Con a fianco l’anima di Socrate, filosofo greco, nato ad Atene nel Sec. V° a.C.; figlio di uno scultore e di una levatrice, che fu uomo di una rettitudine rigorosa; però non scrisse nulla.Egli non creò la verità, ma aiutò gli altri a trovarla, con l’esercizio dialettico della domanda e della risposta. Fu condannato a morte con motivazioni non vere, con l’obbligo alla fine, di bere la cicuta. L’ultimo giorno della sua vita – nel 399 a.C. – lo trascorse dialogando con i suoi scolari sull’immortalità dell’anima: poi lentamente morì, trangugiando la cicuta velenosa. Fine ingiusta di un uomo giusto.
Io so di non sapere” è la sintesi estrema della sua filosofia, dove il sapere è in realtà figlio dell’esperienza.
Sempre in quello stesso gruppo vidi l’anima di Platone, filosofo greco, nato ad Atene nel Sec. V° a.C. da una famiglia nobile, che restò influenzato da Eraclito e da Socrate,che visitò la Magna Grecia e la Sicilia, e che fu a Siracusa alla corte di Dionisio il Vecchio. Tornò in modo fortunosa ad Atene, dove fondò nel 387 a.C. la sua “Accademia”, una comunità religiosa dedicata al culto delle Muse: un centro di discussione e di studi, che traeva il nome dal mitico eroe greco Academo; nel 367 a.C. successe a Dionisio il Vecchio, sul trono di Siracusa. Il pensiero che forse più lo rappresenta è: “la morte è la separazione dell’anima dal corpo”.
Poi vidi l’anima di Democrito, filosofo greco del Sec. V° a.C. che visse all’epoca di Socrate forse fino all’età di 109 anni. Fu discepolo di Leucippo, e la sua frase più significativa rimane questa: “saggio è colui che apprezza ciò che ha”: che tra l’altro è buona regola per tutti.
E ancora l’anima di Diogene, filosofo greco del Sec. V° a.C.; che affermò la necessità dell’indifferenza di fronte a qualsiasi realtà esteriore, ed il conseguente affrancamento dello spirito dalla necessità dell’agire:era detto “il cinico”. Il pensiero che meglio lo identifica è: “chi tace sa ascoltare, chi ascolta sa parlare, chi parla sa stare zitto” che appare un pensiero profondo e adatto ad ognuno di noi.
L’anima di Diogene mi pareva stesse sotto braccio all’anima di Anassagora, filosofo greco del Sec. V° a.C., amico e maestro di Pericle. Accusato di empietà dovette fuggire da Atene:“la molteplicità infinita delle cose, è dovuta ad una molteplicità infinita di elementi tra loro diversi” e“dall’aggregazione di particelle omogenee ebbe origine il mondo” sono il segno dell’essenza e del riconoscimento della sua filosofia.Una sua considerazione di praticità fu: “l’essere più intelligente è l’uomo, perché è dotato delle mani”.
E ancora più in là l’anima di Talete di Mileto, filosofo e sapiente greco tra il Sec. VII° a.C. ed il Sec. VI° a.C. studioso di geometria e di astronomia, chea proposito di sapienza disse: “molte parole non sono mai indizio di sapienza”.
Insieme all’anima di Empedocle, filosofo di Agrigento, del Sec. V° a.C., profeta,  poeta e oratore, medico, taumaturgo che scoprì il labirinto dell’orecchio. Mi è rimasta impressa una sua particolare osservazione: “il mare è il sudore della terra”.
L’anima di Empedocle accompagnava l’anima di Eraclito, filosofo greco – solitario, sdegnoso, spregiatore delle ricchezze e del sapere comune – nato ad Efeso e vissuto tra la fine del Sec. VI° a.C. e la prima metà del Sec. V° a.C.; “la realtà è un divenire di un incessante nascere e morire” ritengo sia una definizione che meglio lo rappresenta: per l’uso del suo particolare linguaggio, oscuro e al tempo stesso profondo si meritò l’appellativo di “tenebroso”.
Mi vengono in mente due frasi da lui pronunciate: “tutto scorre”, e “gli occhi sono testimoni più precisi delle orecchie”.
Infine riconobbi l’anima di Zenone di Sidone, filosofo greco vissuto tra il Sec. II° a.C. ed il Sec. I° a.C. che fondò la scuola epicurea ad Atene ed ebbe come uditore Cicerone.
Ho in mente questa sua frase: “la perdita più grave è il tempo, perché è irreparabile”.
A lato, più distante, riconobbi l’anima di Dioscoride, che fu un medico e botanico greco del Sec. I° a.C., vissuto a Roma all’epoca di Nerone, che definisco in questo canto, “buon accoglitor delle qualità delle erbe”; scrisse di veleni e di farmaci.
Intravvidi ancora l’anima di due figure mitologiche:
Un pò in là, dall’altra parte, riconobbi l’anima di Orfeo, figlio della musa Calliope che era un musico che suonava la lira – ricevuta in dono da Apollo, suo padre – in modo così soave che i torrenti, gli uccelli e le belve si fermavano per ascoltarlo, ed i boschi si muovevano verso di lui. Nello stesso tempo raffigurava la diffidenza: quando Euridice – la sua amata – morsa da un serpente velenoso morì, Orfeo chiese ad Ade di farla tornare in vita: Ade glielo concesse, ma Orfeo non avrebbe dovuto mai voltarsi per vederla dietro di lui. La sua diffidenza lo portò però a voltarsi, ed Euridice ripiombò nell’al di là senza possibilità di ritorno.
L’anima dannata di Orfeo stava insieme all’anima di Lino, altro figlio di Apollo e concepito dalla musa Urania; era quindi il fratello di Orfeo a cui insegnò la melodia. Musico di gran livello, inventore del ritmo e appunto della melodia, pretese inopportunamente di rivaleggiare con Apollo che a cagion di ciò lo uccise. Fu anche maestro di Ercole e di Tamiri, un cantore che pretendeva di saper cantare meglio delle muse.
Riconobbi ancora, tra quelle anime quella di Marco Tullio Cicerone, eminente figura dell’antichità romana, che morì nel 43 a.C.; il “De amicitia” e il “De re publica”, furono le sua opere più importanti.
Insieme all’anima di Seneca, filosofo e figura di rilievo a Roma.Nato nel 4 a.C. e morto nel 65 d.C. terminati gli studi, entrò nella corte di Caligola e fu educatore di Nerone.
A parte, separato da quel gruppetto, riconobbi l’anima di Euclide, matematico greco, autore di numerosi trattati, che intorno al 300 a.C. nella colonia di Alessandria, allora di recente fondazione usufruì degli insegnamenti da Platone: solo otto dei sui tredici libri ricompresi nella sua opera “Assioma”sono giunti sino a noi, mentre gli altri sono andati distrutti negli incendi della biblioteca di Alessandria d’Egitto che fu distrutta in parte o completamente più volte tra l’anno 48 a.C. e l’anno 642 d.C.
Insieme a quella di Tolomeo Claudio, astronomo, matematico e geografo morto dopo il 170 d.C., vissuto ad Alessandria; la sua opera principale che si intitola “Almagesto”, è un trattato astronomico che si rifà al principio tolemaico in cui la Terra di forma sferica resta immobile al centro del sistema: sono il Sole, la Luna e gli altri pianeti a ruotare intorno a essa secondo orbite circolari.
A quella di Ippocrate, di nazionalità greca, vissuto tra il IV° ed il III° Sec a.C.; fu medico e maestro di medicina in Atene e in Tessaglia, e secondo la testimonianza di Platone e quella di Aristotele, fu il medico più famoso della sua epoca.
L’anima di Ippocrate stava insieme all’anima di Avicenna, filosofo e medico musulmano vissuto tra il sec X° e l’XI° d.C.; la sua opera più importante è “Il canone di medicina”, stampato in arabo per la prima volta a Roma nel 1593, e studiato nel Medioevo.
Insieme a loro anche l’anima dannata di Galeno, medico e filosofo greco, nato a Pergamo intorno all’anno 129 d.C.; divenne medico personale di Marco Aurelio e del figlio Commodo e fu il fondatore della medicina scientifica. Per lui il corpo è costituito da quattro elementi – sangue, flegma, bile gialla o nera – che danno  luogo a temperamenti diversi: un temperamento caldo e umido sarà “sanguigno” uno freddo e umido “flemmatico”; uno caldo e secco “collerico”; uno freddo e secco “melancolico”; dove ogni temperamento ha il suo quadro patologico.
Ed infine riconobbi l’anima di Averroè, filosofo, giurista, medico e astronomo arabo di Spagna, morto alla fine del Sec. XII°; ha commentato le opere di Aristotele, ed ha rivisitato quelle di Platone.
Occorse tempo per fissar nella mia mente queste riflessioni, ma ho ritenuto necessario che tu lettore, ne fossi a conoscenza.
A dire il vero rimasi stupito nell’incontrare quelle anime dannate, che nella loro vita, con il loro agire o con il loro pensiero, tante altre persone avevano stupito.