Oggi settimo appuntamento con la Divina commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi
39 (canto n. 12) (Violenti contro il prossimo)
Luogo – (Settimo Cerchio, Primo Girone);
Custodi – (Minotauro aiutato dai Centauri: Chirone, Nesso e Folo);
Categorie – (I Violenti contro il prossimo);
Pena – (I Violenti contro il prossimo, sono immersi nel sangue bollente del Flegetonte, e sono colpiti dalle frecce dei Centauri);
Contrappasso – (I violenti contro il prossimo – che sono di tre tipi: i tiranni, coloro che hanno commesso omicidi meno efferati e i predoni o i guastatori – in vita si macchiarono con il sangue: ora si trovano immersi nel sangue bollente del Flegetonte e sono colpiti dalle frecce dei Centauri: i “tiranni” sono completamente sommersi nel sangue bollente,” coloro che hanno commesso omicidi meno efferati” emergono con il mento dal sangue bollente, i “predoni e i guastatori” emergono sino al torace dal sangue bollente);
Evento – (Morte di Cristo);
Personaggi – (Attila, Pirro, Sesto Pompeo, Riniero da Corneto e Rinieri dei Pazzi).
Scendemmo dal Sesto al Settimo Cerchio dove le anime dannate e disperate si lamentavano in coro.
Quando ci imbattemmo in una rupe fatta di mura cadute perché da un terremoto scosse.
Quella del Settimo Cerchio, era la zona sotto il controllo del Minotauro, che stava sulla sommità di quei ruderi, e tutto controllava col suo corpo di uomo e la testa di toro.
Anche il Minotauro tentò di sbarrarci il passo, altrimenti,
Ma anche in questo caso Virgilio seppe usar parole convincenti.
Il Minotauro nacque per voler del dio marino Poseidone, al fine di punire il re di Creta, Minosse.
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Si narra infatti che Minosse il Re di Creta, promise a Poseidone in dono gli animali usciti dalle acque.
Il dio del mare prendendolo in parola, fece sortir da quelle acque un toro che al re assai piacque:
Questo toro soffiava fuoco dalle narici: di rara bellezza e di grande forza era munito.
Che Minosse al vederlo, ne rimase assai stupito,
E per questo non mantenne l’impegno prima preso:
Così Minosse si tenne quell’esemplare,
Al dio sacrificando un toro diverso, un toro normale.
Il dio percepì immediatamente l’inganno che gli era stato teso,
E reagì davvero bruscamente,
Inducendo in Pasifae, la consorte di Minosse, proprio nei confronti di quel toro, una passione dirompente.
Ella poco dopo, peraltro con quell’esemplare si congiunse,
E da quell’unione innaturale nacque il Minotauro.
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Chiesi a Virgilio il perché di quella rupe di cui il terremoto era stato artefice.
Al che Virgilio mi rispose che quel rudere era sorto di recente,
Non essendo ancora presente
Tempo addietro quando lì si recò con Beatrice.
Il terremoto a cui Virgilio fece riferimento,
Era la morte di Cristo e la sua discesa agli inferi, che diede origine a quell’infernale smottamento.
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Poi Virgilio mi invitò a prestare attenzione innanzi a noi, lì nelle fecce,
Dove scorreva il Flegetonte un fiume di sangue ricolmo di anime violente, e del loro ciarpume.
Tra le pareti del cerchio ed il fiume,
Correvano i Centauri armati di arco e di frecce, avendo tra loro questi elementi in comune.
Il loro compito era colpire le anime dannate che debordavano dal sangue bollente di quelle rubine e tumultuose acque.
Nel contempo si staccarono dal gruppo Chirone, Nesso e Folo.
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Chirone, il più famoso e sapiente dei Centauri, era il figlio di Fillira e di Crono:
Dedito alla caccia, apprese di medicina e di erbe, che i suoi istinti ben domarono.
Fu maestro di Achille e di Asclepio,
Di Bacco, di Cefalo, di Diomede, di Ercole e di Giasone,
Di Tèseo, di Càstore e Polluce,
Di Enea, di Ippolito, di Ulisse e di Nestore.
Zeus fino all’immortalità lo condusse.
Chirone fra le tante cose di cui si occupò, insegnò agli uomini a venerar gli dèi, a rispettar le leggi, ed a seguir la giusta ragione.
Morì perché Ercole nella guerra contro i Centauri, per errore,
Con una freccia avvelenata dal sangue dell’Idra, lo colpì al ginocchio, facendone scempio.
Chirone come detto però era immortale, e quell’inguaribile ferita lo fece soffrire atrocemente.
Zeus nel vederlo così addolorato ebbe pietà di lui, e lo tramutò nella costellazione del Sagittario, direi opportunamente …
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Anche Nesso era un Centauro, figlio di Issione e di Nefele, particolarmente violento, che traghettava i viaggiatori oltre il fiume dell’Etolia, detto Eveno.
Quando traghettò Ercole con Deianira essendo l’Eveno in piena,
Nesso si caricò la donna in groppa, mentre Ercole andò a nuoto: nell’aria c’era ancora l’arcobaleno.
Avendo la percezione di un brutto sentore, Ercole gettò la clava e l’arco oltre il fiume, e si tuffò nella corrente, nuotando a velocità estrema.
Nesso galoppava in opposta direzione, con Deianira tra le braccia:
All’improvviso Nesso a terra la gettò per usarle violenza, con l’intenzione di non voler lasciarne traccia.
Ma gridò a squarciagola Deianira, ed Ercole, recuperato l’arco sferrò verso Nesso una freccia,
Infusa con il sangue dell’idra, e quindi avvelenata, che il petto del Centauro squarciò brutalmente.
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Folo, il terzo Centauro, ritenuto il più mite e il più sapiente,
Era figlio di Sileno e di una Ninfa dei boschi, per lo più silente.
Durante la caccia del cinghiale di Erimanto, Folo ospitò
Ercole e gli offrì un’abbondante quantità di carne arrosto, oltre ad una giara di vino che era di tutti i Centauri, però;
Era un vino di molto profumato,
Che Dionisio lì aveva lasciato
Cent’anni prima, appunto perché fosse aperta proprio in quell’occasione.
Chiara era l’indicazione,
Ma l’intenso profumo del vino,
Come facilmente prevedibile, attrasse i Centauri, che temerari si avvicinarono tutti lì vicino.
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Chirone il capo dei Centauri, ordinò a Nesso di condurre oltre il Flegetonte sia me che Virgilio.
Quella del Flegetonte, non era un’acqua cheta,
Ma era ricca di sangue ribollente.
Le anime dannate erano immerse fino alle loro ciglia: si trattava di tiranni, quindi con un gran difetto.
Nesso che nel frattempo ci aveva fatto salire in groppa, mi narrò che lì si trovava l’anima dannata di Alessandro Magno, che ottenne la sua fama con la violenza e con l’inganno,
E che ai miei tempi da tutti era considerato un gran tiranno.
Successiva fu la visione delle anime dei dannati, immersi invece sino alla gola: altre anime ancora, emergevano fino al petto.
Altre ancora soltanto fino ai piedi, a comparazione degli altri, quasi un niente.
Nesso ci informò che nel punto di maggior profondità,
Tra le altre, c’erano le anime dannate di Attila, il condottiero Unno, dalle brusche maniere:
C’era Pirro, il Re dell’Epiro:
C’era Sesto Pompeo, un figlio di Pompeo Magno, quindi un romano condottiero:
C’era Riniero da Corneto, un predone maremmano, vicino a Rinieri dei Pazzi, brigante di mestiere.
E così attraversammo il fiume,
Ancor più ribollente di tutte le sue spume.
47 (canto n. 13) (Suicidi e sperperatori) (Pier Della Vigna)
Luogo – (Settimo Cerchio, Secondo Girone);
Custode – (Minosse);
Categorie – (Suicidi e sperperatori);
Pene – (I Suicidi vengono trasformati ed imprigionati in alberi e sterpi,e sono tormentati dalle Arpie; Gli Sperperatori sono sbranati da cagne nere fameliche);
Contrappasso – (I suicidi in vita si macchiarono con il sangue, disprezzando il loro corpo: ora si trovano costretti in alberi e sterpi, e immersi nel sangue straziati dalle Arpie; Gli sperperatori in vita dilapidarono le loro sostanze: ora sono sbranati da cagne nere fameliche).
Personaggio – (Pier Della Vigna).
Vagavamo nel Secondo Girone del Settimo Cerchio,
Dove rovi di spine facevano eco alle retrostanti piante,
Che pareva emettessero un lamento
Ripetitivo e costante,
Si potrebbe dir soverchio:
Io non potetti esimermi da un commento.
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Virgilio per risposta, mi spiegò, che quella era l’area dedicata a chi nella vita si era suicidato, oppure tutti i propri beni aveva sperperato.
Restai perplesso perché non vidi anime sofferenti come invece mi sarei immaginato.
Per darmi convincimento, Virgilio ruppe un ramoscello: da lì s’udì una voce, ed uscì del sangue nero:
“Narra la tua storia – disse Virgilio rivolto a quell’arbusto – sì che Dante, al suo ritorno sulla terra, possa per te narrare il vero”.
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“Fui gran collaboratore ed anche amico poi nel tempo, di Federico II di Svevia, Imperatore di Sicilia, e fui il depositario di ogni suo segreto.
Il mio nome è Pier Della Vigna, ed il mio zelo nel lavoro accese l’invidia degli altri cortigiani, che per questo motivo andarono d’aceto,
Sobillando il Sovrano, ed accusandomi falsamente di alto tradimento.
È di queste falsità che ora mi lamento:
Federico II° diede retta solo a quelle male lingue e mi fece imprigionare
Per poi farmi, per punizione anche accecare.
Avendo avuto su di me, quelle male lingue, un brutto effetto,
Ebbi il desiderio di togliermi la vita, e fui suicida tagliandomi le vene per la perdita di quell’amicizia e della fiducia dell’Imperatore, sentendomi nel mio animo distrutto”.
E terminò quell’anima dannata la sua narrazione: “Nel giorno del Giudizio Universale riavremo i nostri corpi,
Che però mai più potranno ricongiungersi alle nostre anime perché suicidi, e ciò proprio per questi torti.
I nostri corpi resteranno invece appesi a questi alberi come degli impiccati,
E rimarranno lì in eterno tragicamente ostentati”,
Concluso il suo discorso, il nostro interlocutore sparì dalla nostra vista.
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In questo Secondo Girone le Arpie non svolgevano alcuna funzione di guardiane: però esse vivevano e nidificavano proprio in questa selva dei suicidi:
Per questo, mio lettore, ora nuovamente te le descrivo rispetto a quanto io abbia già fatto nel precedente Canto numero nove.
Affamate, le Arpie si nutrivano delle foglie delle piante qui presenti, tanto più che nessuna delle anime dannate si sarebbe potuta salvare in questi infernali lidi.
Le Arpie producevano dolore alle anime dei suicidi che erano imprigionate lì nel bosco, dentro quegli alberi.
Con il loro aspetto ripugnante, erano brutti uccelli con la testa di donna, ed erano loro a governare quei cimiteri a Dite poco prima visti:
Erano rapitrici, mostri che strappavano la vita con far feroce.
Secondo una seconda pur accreditata tradizione, difforme però dalla precedente da me riportata nel Canto Nono, le Arpie invece si sarebbero chiamate:
- Aello: che rappresentava l’urlo o la burrasca;
- Ocipete: quella che volava veloce;
- Celèno: perché tutto intorno a lei oscurava, come il temporale quando il cielo offusca;
- Podarge:una quarta Arpia, quella che di tutte le altre arrivava prima.
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Ci stavamo preparando a scendere ancor più giù, sempre nel Settimo Cerchio, tra il Secondo ed il Terzo Girone,
Dove alloggiavano i violenti contro Dio: questa della loro presenza era la motivazione:
Quando scorgemmo due anime dannate che correvano veloci davanti al nostro sguardo,
Erano le anime di due scialacquatori di beni e patrimoni, inseguiti da un branco di lupe nere, alla loro caccia senza alcun riguardo.
La seconda, delle due anime fuggiasche, in un cespuglio però inciampò,
E le lupe nere la sbranarono proprio lì, dove restò.
Era l’anima di un fiorentino, che non ci dichiarò il suo nome, ma che ci narrò che Firenze era anticamente sotto la tutela del dio Marte,
E quando divenne devota al Battista, Marte flagellò la città con guerre e guerriglie che arrecarono solo morte.
Tanto è vero, disse quell’anima sconosciuta
Che nella tensione di quel clima non trovai migliore soluzione della mia impiccagione, morte ormai per me desiderata.
Così si conclude questo Canto,
Con tutto il suo intenso patimento.