Amiata: Asea, “prezzi dei terreni boscati  azzerati, da novembre stop alla produzione e tutti a casa”

Da ASEA (Associazione per lo Sviluppo Economico dell’Amiata)riceviamo e pubblichiamo

“Un vero e proprio tsunami si sta abbattendo sul mondo forestale Amiatino e Toscano in questo autunno. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha evidenziato come nei boschi vincolati paesaggisticamente per Decreto Ministeriale le utilizzazioni debbano essere assoggettate a parere vincolante della Soprintendenza. Fin qui un adempimento burocratico in più che si aggiunge agli altri tre permessi necessari (vincolo idrogeologico-forestale, vincolo naturalistico e vincolo idraulico). Il problema è che la Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo nel rilasciare il primo parere dopo la sentenza, è entrata pesantemente nel merito della gestione forestale, indicando quelle tipologie di tagli che secondo i suoi funzionari sono compatibili con il mantenimento del paesaggio: alto fusto o ceduo composto. In questo modo si renderebbe di fatto impossibile la produzione di paleria di castagno, su cui si basa gran parte dell’economia forestale amiatina. Questo perchè secondo il parere della soprintendenza, che è vincolante per gli uffici forestali locali, il ceduo semplice matricinato, l’unica forma di gestione del castagneto idonea alla produzione della paleria, deve scomparire dall’Amiata. Dopo la crisi del 2008, il settore aveva incominciato a risollevarsi negli ultimi anni, grazie anche alla richiesta di questo prodotto, particolarmente apprezzato per l’arredo urbano e l’agricoltura, e certamente più ecosostenibile rispetto al pino di Svezia o al cemento. Dopo questo pronunciamento sarà impossibile continuare nella produzione, con tante ditte boschive, che negli anni si erano specializzate in questo settore, che saranno costrette a ridimensionarsi o addirittura a chiudere. Il ceduo di castagno per paleria è una forma di gestione tradizionale dei boschi amiatini, da sempre praticata ed ulteriormente ampliata negli anni ‘50 per cercare di salvare il castagno dal cancro corticale che stava decimando soprattutto il castagneto da frutto. Proprio grazie alle ceduazioni i boschi di castagno si sono ripresi e oggi gli attacchi, assai gravi in altre parti del nostro paese, sono sporadici e del tutto ininfluenti sulla sopravvivenza della specie. Quindi, la tanto deprecata ceduazione ha contribuito in maniere determinante a salvare migliaia di ettari di castagneti, proprio quelli stessi soprassuoli che oggi la soprintendenza, verosimilmente ignara della storia selvicolturale e dei principi della fitopatologia forestale, vorrebbe tutelare impedendone il taglio a ceduo. Adesso, quindi, si vorrebbe inventare un altro modo di coltivare il bosco di castagno, imponendo addirittura il ceduo composto, una forma di governo del bosco del tutto inapplicabile al castagno, oppure l’alto fusto, per ottenere il quale occorre però un sostegno finanziario per il proprietario, essendo l’intervento non economico. In entrambi i casi, quindi, il destino di questi splendidi boschi, fra i più produttivi e pregevoli d’Italia, sarà quello dell’abbandono e con esso il degrado ed il venir meno, oltre al legno, anche di un altro dei prodotti per i quali l’Amiata è famoso, ovvero il fungo amiatino, che ha bisogno della luce per nascere e crescere, trovando nelle giovani e luminose palaie di castagno il suo habitat ideale. Giocoforza, se le regole di utilizzazione saranno queste, non solo le ditte boschive saranno destinate a chiudere ma tutta l’economia che ruota attorno al bosco di castagno (segherie, impianti per la produzione di tannino, impianti a biomassa, commercianti, ristoratori…) e che sull’Amiata produce un giro d’affari di vari milioni di Euro all’anno, entrerà in sofferenza, innescando un effetto domino dagli imprevedibili effetti socio-economici, non essendovi al momento alternative reddituali. Appare chiaro che siamo parlando di un provvedimento completamente svincolato dalla razionalità e dalla realtà, che porterebbe a conseguenze catastrofiche per il territorio, dal punto di vista naturale ed economico: abbandono dei boschi, spopolamento della montagna, depressione economica. Gli effetti di questo provvedimento sono destinati a ripercuotersi anche molto più a distanza del cono amiatino, coinvolgendo le aziende vitivinicole toscane che saranno costrette a rifornirsi di paleria da altri territori, o addirittura dall’estero con immancabili aggravi di costo, e con buona pace della sostenibilità ambientale delle produzioni. È chiaro che questa decisione prende le mosse dal documento prodotto dall’Associazione “Italia Nostra” in merito, poiché nel parere è letteralmente riportato (copia e incolla) ciò che è scritto nel documento. Tutto questo senza mai consultare il nostro settore come sarebbe consono fare in un normale processo di concertazione. Questo è inaccettabile.  Tutto ciò perché qualche “illuminato” crede che con questa norma le chiome degli alberi saranno più uniformi e non si vedranno più i boschi di castagno tagliati che arrecano disarmonie visuali, essendo il neonato bosco “più basso”, del verde circostante. Roba da matti!! Non possiamo accettare che qualcuno possa decidere il nostro modo di vivere e di lavorare, il nostro destino.  Nel 1959, con l’entrata in vigore del vincolo paesaggistico, l’obiettivo del legislatore fu quello di conservare quel paesaggio forestale, in un’epoca in cui le attività silvane erano molto più sviluppate di adesso e l’Amiata era davvero un mosaico di appezzamenti boscati di varia forma ed età producendo uno scenario molto più “mosso” paesisticamente dell’attuale. Appare quindi logico chiedersi qual è la ratio del provvedimento: si vuol tutelare davvero quel paesaggio che fu oggetto del vincolo o si vuole far valere un diritto impositivo, che la legge purtroppo riconosce alle soprintendenze, e che ha però altri fini che non c’entrano niente con la tutela paesaggistica e che hanno invece l’obiettivo della sospensione dell’attività forestale, cavalcando il più becero integralismo ambientalista? I boschi del Monte Amiata da secoli sono fonte di approvvigionamento della sua gente, che li ha sempre rispettati e trattati con rispetto, sempre consci della necessità di creare una simbiosi tra uomo e natura. Se la montagna nel 1959 era così bella da essere vincolata paesaggisticamente, questo accadeva per merito di chi, con il sudore della sua fronte, contribuiva a custodirla, tramandando poi il proprio mestiere a chi oggi continua ad operare su questa montagna. Se oggi ci si può permettere di passeggiare tra i boschi di castagno e faggio, ci si può concedere di raccogliere i frutti del bosco, questo è per merito di chi ci ha vissuto e lavorato, dei nostri nonni dei nostri padri e di noi che ci viviamo e lavoriamo oggi, e che abbiamo contribuito a mantenerla nell’ottimo stato in cui si trova. I nostri avi tagliavano faggi e castagni ben più intensamente di quanto si fa adesso e non si può pensare di cambiare completamente una pratica che aiuta la natura a rigenerarsi, evitando di fare dell’Amiata l’ennesima montagna, l’ennesima area interna, lasciata senza cura e destinata a diventare un ginepraio nel vero senso della parola. Siamo basiti di come per l’ennesima volta si voglia “istruire il selvaggio” ossia dire a chi vive e lavora su un territorio come viverlo e conservarlo. Se c’è l’Amiata e ci sono i suoi boschi, i suoi castagneti, non è per merito delle soprintendenze o di qualche associazione ambientalista, ma di chi da generazioni e generazioni si è spaccato la schiena tagliando la legna, raccogliendo castagne, funghi e vivendo qui, creando lavoro e rispettando l’ambiente. Questo è un concetto che non ci stancheremo mai di sottolineare. Non vogliamo sentirci dire ”Vivete in montagna e ci fa piacere, soprattutto ci interessa trovare qualche bar o ristorante aperto quando veniamo su a fare qualche foto. Ma fatelo a modo nostro: non toccate niente, lasciate tutto com’è, perchè potreste sciupare le nostre inquadrature!” .Per questo chiediamo alle istituzioni, locali e non, di darsi una svegliata. In questo periodo di crisi appare profondamente senza senso trasformare la già presente preoccupazione in disperazione, con centinaia di famiglie che sarebbero costrette a ridisegnare la propria vita per motivi che non hanno nulla a che vedere con il rispetto dell’ambiente, ma sono piuttosto legate a concezioni egoiste che non tengono conto della vita delle comunità che da secoli abitano questo territorio e vivono in simbiosi con la sua splendida natura.”