I ‘Grandi’ dell’Amiata: Ferruccio dell’Alvineta

di Antonio Pacini. Foto di Silvia Pacini

La storia è quella cosa dove si scrivono i fatti eclatanti che, apparentemente, sembra che abbiano cambiato il mondo. In realtà il mondo viene continuamente costruito e riparato in una dimensione silenziosa, dove pochi individui sani garantiscono la sopravvivenza dell’organismo collettivo umano. Nei libri di storia si legge perlopiù di personaggi famosi come Re, Imperatori, Papi e così via, ma ben poco si sa di quelli ai margini della storia, eppure al centro del processo evolutivo umano. Gesta eclatanti, guerre, rivoluzioni sono dovute a certi impulsi, spesso irrazionali, che hanno influenzato le civiltà, ma che le hanno anche danneggiate. Per fortuna mentre si guastava con tanto fervore c’era sempre qualcuno da qualche parte che riparava, nell’indifferenza generale. Anche i fatti clamorosi, comunque, iniziano da un’azione semplice, da un “minimo stimolo” destinato a crescere fino a sfociare in grandi eventi lungo il tempo; mai nell’immediato. Prima della modernità certe zone rurali hanno avuto poche influenze esterne e così la gente ha potuto creare una cultura inestimabile, fatta di saperi, di capacità, di intuito e di arte. E’ stata una cultura tramandatasi attraverso la pratica e non attraverso i libri, che ha visto nascere grandi personaggi. Ma cosa c’entra tutto ciò con Ferruccio dell’Alvineta? Ferruccio è stato uno dei “riparatori”, un simbolo della cultura antica e della sagacia naturale di chi è scampato agli indottrinamenti delle varie epoche. Classe millenovecentoquattordici egli ha dimostrato di saper fare di tutto senza che nessun istruito gli avesse insegnato qualcosa, per fortuna. Con maestria ha costruito case perfette, mobili bellissimi, si intendeva di meccanica, di idraulica, era un abile fabbro e possedeva i segreti di quella sconfinata materia che è la campagna , oggi sconosciuta. Va detto che come ‘Ferro’ in ogni epoca ce ne sono stati pochi. Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere alcuni personaggi di una volta nell’ultima parte della loro vita, depositari dell’antica cultura. Ciò che più rimane tra i ricordi è l’ armonia che emanavano. Sono loro i Maestri e le Maestre. Personaggi dal carattere forte come le loro mani che si aiutavano senza tante smancerie, in uno spirito comunitario. Non c’erano i segni di declino della malattia umana che, oggi, ha raggiunto una fase più distruttiva che mai. Non esisteva in quel piccolo, marginale mondo il bisogno di riempire vuoti interiori, con la mania di dimostrare a tutti della propria esistenza, di farsi dire “bravi” o di credersi padroni del Creato. Le cose le facevano e basta, con spirito di amore e di sacrificio, per questo avevano una vita piena ed i loro vecchi occhi brillavano come quelli di un bambino. C’era quasi da provare invidia nel vederli divertirsi a lavorare con quell’energia, oppure nel vederli così sereni in una completa accettazione della vita. Torna alla mente l’immagine di Ferruccio con l’amico Settimio davanti al focolare: i due stavano in silenzio per gran parte del tempo, solo lo scoppiettio del fuoco faceva da sottofondo ad una delle più alte forme di comunicazione. Infatti l’intesa si ha quando con poco si riesce a dire tanto. Se adesso siamo globali ma non riusciamo a capirci prima eravamo universali e ci intendevamo anche con chi stava lontano. Purtroppo la pratica del silenzio è un’altra cosa che abbiamo disimparato, anche per questo le cose vanno male. L’essere moderno rifugge il silenzio, ne è inquietato, deve riempire i silenzi che chiama “vuoti”, parla tanto e ascolta poco, ride sgraziatamente pur di non prestare orecchie alla voce interiore. Ma il mondo moderno sta già declinando lasciando intravedere un grande vuoto al di là di esso. La storia, quella cosa che ci istruisce senza ravvivarci, prosegue ed oggi c’è qualche “grande” mondiale che verrà menzionato sui libri il quale ci vuole digitalizzati fin nel genoma, alienati mangiatori di pasticche proteiche dentro a scatolette in squallide metropoli. Ma c’è anche chi in disparte prepara il ritorno dell’antica cultura. E’ l’eterna relazione tra la parte malata e la parte sana dell’umanità, ma la posta in gioco è sempre più alta. Chi avrà la meglio? I distruttori globali o i riparatori universali? Siccome niente di ciò che è stato può andare perduto dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che possiamo ritrovare i saperi antichi e che il futuro dell’uomo non sta nei grandi ammassamenti urbani, perché essi hanno fallito. Il futuro è nel villaggio. I nostri riferimenti veri hanno poco a che fare con Papi, Imperatori o Presidenti ma ci aspettano nelle campagne, tra quegli uomini che custodivano il senso della vita senza saperlo. Possiamo farci ispirare da ciò che sono stati capaci di fare e provare a realizzare anche noi qualcosa, magari di “simbolico” per avvicinarci alla loro dimensione. Basta iniziare con la costruzione di un piccolo muretto a secco o disossare un campo , azione dura ma necessaria. Ci accorgeremo che la memoria ritornerà donando forza alle nostre deboli mani e luce alle nostre offuscate menti. Sarà una “rivoluzione silenziosa”, una voce antica che ritrova il linguaggio per esprimersi. Il futuro dell’umanità non ha bisogno delle grandi gesta da scrivere sui libri se prima ognuno di noi non si farà vivificare da quelle meno eclatanti, ma davvero potenti, dei suoi antenati. Senza certi anonimi riparatori non saremmo ancora qui. Anche a questo serve conoscere l’antica cultura attraverso i suoi simboli, come Ferruccio dell’Alvineta. Tutto il resto è storia.