Il libro del mese di settembre 2022: “La morte di Ivan Il’ic” di Lev N. Tolstoj. Un libro che , incredibile , è in effetti un inno alla vita e che ci fa riflettere sulla parola ‘Consapevolezza’

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 Di Francesca Andruzzi

 Non lasciatevi ingannare dal titolo. La morte di Ivan Il’ic, capolavoro di Tolstoj, è un inno alla vita.Chi segue questa rubrica, sa che non sta leggendo una recensione, ma la condivisione di un messaggio. Un inno alla vita, un titolo che contiene la parola morte: potrebbe sembrare una contraddizione, ma si tratta di vita consapevole. Potrebbe sembrare incredibile, tuttavia stiamo parlando di Tolstoj e dell’immenso patrimonio che – a dire il vero, tutta la letteratura russa – ha lasciato al mondo.La storia qui narrata è certamente nota agli appassionati di questo immenso e discusso Autore. Il nostro consiglio, per coloro i quali temano di trovarsi in difficoltà davanti alla sua immensità, è di accostarsi a questo capolavoro con estrema serenità. Si tratta di un racconto, la cui brevità stupisce se paragonata all’altrettanto nota corposità delle ulteriori opere di Tolstoj. La parola che vogliamo condividere con voi e che ci è stata suggerita dal libro di questo mese è: CONSAPEVOLEZZA. Il protagonista, il cui nome è riportato nel titolo dell’Opera, è un uomo importante, un giudice. Ha un lavoro prestigioso, una bella famiglia e gode di ottima salute. Un bel giorno, cade da uno sgabello. Il livido, che si forma sulla gamba, segnerà l’inizio di una malattia (dal sapore di metafora), che lo renderà inviso a colleghi e familiari. Solo un domestico gli sarà accanto, con pazienza e devozione disinteressata. Una malattia che lo condurrà alla morte, ma non prima di avergli svelato il vero significato della vita. Ma non è sempre così? Non è, forse, così per tutti, ancora oggi? Proprio nel momento in cui si perde qualcosa, la si apprezza, la si vede per quello che realmente è. Per quello che avrebbe potuto essere, se avessimo apprezzato e goduto maggiormente e consapevolmente di quel grande dono che è, appunto, la vita consapevole. Presi dai nostri lavori, dagli impegni pubblici e privati, assorbiti dalla routine, anche familiare, concentrati solo a nutrire il nostro ego di soddisfazioni – che tali solo appaiono, ma che, in realtà, non sono – possiamo contare su una visione distorta della realtà che ci circonda. La morte crea tormento, il suo pensiero affligge e fa paura. Mai come in questi ultimi anni, poi, l’abbiamo avuta al nostro fianco, anche da sani, anche se non in apparente pericolo. Ed è cresciuto quel sentimento di paura, trasformatosi in terrore, per un evento che, comunque, è inevitabile. Se questa – a dir poco, spiacevole – vicenda pandemica avesse incrociato una umanità più preparata a considerare la morte corporale come un aspetto della vita e, dunque, vita anch’essa, la stessa umanità avrebbe reagito diversamente a quella che oggi possiamo bonariamente definire, senza tema di smentita, una gestione opinabile da parte degli organismi statali? Non c’è cura per la malattia che affligge Ivan nel racconto di Tolstoj, ma, quando è confortato dall’affetto sincero di Gerasim, egli si sente meglio. Divenuto un peso, quasi un fastidio per colleghi e familiari, a cagione della propria infermità, Ivan scopre che nella vita ciò che conta veramente è proprio l’affetto sincero, anche di un estraneo. L’affetto di chi ci vede come persone e non come numeri.Ivan morirà, lo annuncia il titolo; la sorpresa per il lettore sarà ‘come’. E se oggi dovessimo immergerci nuovamente in uno stile di vita identico a quello del periodo precedente il mese di marzo 2020, oggi che sappiamo esistere una cura farmacologica che ci tranquillizza in relazione all’odioso virus SARS COV2 e alla più odiosa malattia dal medesimo spesso causata, la Covid19, avremmo perduto l’occasione di cogliere una grande opportunità che è stata di insegnamento: affrontare con coraggio e serenità ogni evento della nostra esistenza, poiché ogni evento è comunque vita. Anche la morte. Ma esiste anche una morte, sembra dirci Tolstoj, che significa cambiamento di visuale, abbandono di ciò che credevamo essere normale, essere felice, essere adatto. Rapporti familiari nei quali ci siamo ostinati a creare piccole isolette di conforto nel mare dell’ipocrisia; rapporti lavorativi nei quali ci siamo immersi per sfuggire a quelli familiari, ritrovando, però, lo stesso ambiente inquinato; rapporti sociali sotto l’egida di una politica non più al servizio del bene della comunità, ma dell’interesse di pochi, un interesse finanziario. La crisi energetica conseguenza della crisi economica conseguenza della crisi sanitaria. Ma quante isolette di conforto abbiamo cercato o costruito prima che l’era moderna si aprisse allo scenario dell’emergenza costante? Non era, anche prima del 2020, presente una emergenza non dichiarata che ci costringeva a vivere nella illusione che tutto andasse bene, prima di passare al tormentone “andrà tutto bene”? Tutti i problemi nei quali e con i quali abbiamo sempre vissuto e convissuto, oggi si manifestano nella loro vera essenza; è caduto il velo che offuscava i nostri occhi in una vita che era sopravvivenza. Giustizia, Sanità, Istruzione, i tre pilastri della società civile, erano già in dissesto da anni. Oggi è tutto più chiaro. Mancano, però, le soluzioni ai numerosi problemi (vetusti, ma presentati come nuovi) che ogni giorno vengono riversati sui comuni cittadini da chi avrebbe dovuto, in primis, evitare che si presentassero. Molti problemi, nessuna soluzione. Eppure, nel patrimonio letterario mondiale abbiamo sempre avuto a disposizione le soluzioni. E questo racconto, che scuote l’anima, offriva e offre una soluzione che potrebbe essere adottata per una vera rinascita. Quando il male si fa incalzante e opprimente, morire è l’unica soluzione per non offrire cibo al male stesso. Morire alle vecchie abitudini, morire alle ipocrisie, morire alle vacue illusioni, morire alla vita che è sopravvivenza per rinascere a una vita consapevole. Anche Tolstoj lo ha detto al mondo. Ed era il 1886.