Oggi terzo appuntamento con i canti del Paradiso della Divina Commedia “rivisitata” dal poeta Piero Strocchi
(CANTO N. 06 DEL PARADISO – PARTE 2)
(GIUSTINIANO)
32(Cincinnato)
Nato nel 520 a.C. Lucio Quinzio Cincinnato
Fu un esempio di «dittatore illuminato», umile e concreto.
Chiamato a guidar l’esercito romano nel 458 a.C. essendo stato nominato appunto Dittatore,
I Senatori lo dovettero cercare mentre stava coltivando le sue terre con il suo abituale amore.
Questa volta il pericolo veniva dagli Equi, un popolo che viveva ad est della città: Lucio Quinzio Cincinnato accettò la nomina, ed ordinò agli uomini valevoli alla battaglia, di avere in quel frangente l’opportuno sostegno,
Cioè di presentarsi oltre che ben armati, anche con dei lunghi pali di legno.
Nella notte l’esercito così formato, marciando arrivò sotto il monte Algido, antica denominazione dei Colli Albani
Dove stazionavano gli Equi; e scavarono una larga fossa dove quei pali una volta a terra ben piantati, formarono una grande palizzata, nella quale gli Equi si trovarono rinchiusi, prigionieri nei loro stessi territori tuscolani.
Al nascere del giorno successivo, gli Equi così rinchiusi,
Furono oggetto di lanci di frecce tale che alla fine dovettero arrendersi.
Lucio Quinzio Cincinnato portò a Roma, ormai prigionieri
Il loro comandante Gracco Clelio e molti altri soldati avversari.
Cincinnato non volle onori, né trionfi ed ovazioni,
Ed il giorno successivo tornò alle sue terre senza pretendere adulazioni.
33 (I Deci ed i Fabi)
I Deci ed i Fabi furono gli eroi delle guerre sociali.
Publio Decio Mure, padre e figlio, vinsero i Sanniti ed i Latini, morendo entrambi in battaglia, mentre gli uomini della famiglia Fabia si distinsero nelle guerre contro i Veienti.
Nel caso dei Deci, furono tre componenti della stessa famiglia – padre, figlio e nipote – che in qualità di comandanti dell’esercito immolarono sé stessi agli dèi per ottenere, qual contropartita la vittoria dei propri uomini: era la così detta «devotio».
Il console Publio Decio Mure con il proprio sacrificio risollevò le sorti della battaglia combattuta e vinta dai Romani contro i Latini nella zona limitrofa al Vesuvio nel 340 a.C.
Esempio che fu seguito anche da suo figlio – omonimo – nella battaglia di Sentino – antica città dell’Umbria – contro i Sanniti nel 295 a.C.
La battaglia fu detta «battaglia delle nazioni dell’antichità», combattuta nel corso della terza guerra sannitica, che oppose ai Romani un’alleanza di popoli costituita da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri.
I Romani invece ebbero come alleati soltanto i Piceni.
E che fu vinta dai Romani.
Esempio seguito ancora una volta da suo nipote – omonimo anch’esso agli altri due suoi antenati – nella battaglia di Ascoli di Puglia contro Pirro nel 279 a.C., che pur la vinse, anche se si trattò di una di quelle «vittorie di Pirro» su cui la storia si è tanto dilungata.
Poiché gli eserciti di Roma erano spesso impegnati in vari fronti, i Fabii chiesero una sorta di appalto della guerra contro Veio.
La notorietà della battaglia del Cremera del 477 a.C., contro i Veiensi – che fu una delle tante guerre tra le due città, che erano iniziate nel 750 a.C. per concludersi nel 396 a.C. a seguito della caduta di Veio – fu dovuta al fatto che l’esercito romano era composto solo da combattenti della “gens fabia”.
Fra Veio e Roma c’erano continuamente guerre sia per il controllo del territorio, che per l’accesso al mare e ai relativi commerci, soprattutto quello del sale.
34 (Didone Regina di Cartagine)
Era l’826 a.C. quandoElissa, detta «la gioconda» – figlia del re di Tiro – si autoproclamò «regina di Cartagine» ovvero la Nuova Città di Tiro che avrebbe fondato
In Tunisia, su un terreno prossimo al mare, dove Iarba – il principe venditore – Le aveva imposto un limite alla costruzione che aveva immaginato
Esser pari all’estensione della pelle di un bue a terra appoggiata.
Ma Elissa, che col nome di Didone meglio sarà in seguito conosciuta
Donna furba e intelligente, che più del diavolo di ogni cosa ne sapeva:
Ebbene quella pelle di bue tagliò a listelli assai sottili che quando se ne misurò la superficie effettiva
Di tanto estesa essa risultò: era così sorta Cartagine, che muro dopo muro Didone si accingeva a costruire.
Cartagine molto importante sia come città sia una potenza navale era destinata a diventare.
Ma l’aquila romana incrociò il destino di Cartagine, che era convinta di avere il predominio indiscusso nel Mediterraneo.
I Romani ben presto si armarono e sulle loro quinqueremi munite dei «corvi», i ganci resistenti, strumento allo scopo idoneo.
Ma al dì là della potenza marinara, Roma e Cartagine in tre guerre puniche nel tempo si misurarono:
La prima fu combattuta tra il 264 a.C. e il 241 a.C.;
La seconda tra il 241 a.C. e il 218 a.C.;
La terza tra il 149 a.C. e il 146 a.C.
Ebbene Cartagine non ne vinse neanche una, se non qualche scaramuccia intermedia, di cui c’è appena traccia nella storia.
I Romani furono i trionfatori, ma non bastarono le vittorie.
A conclusione della terza guerra punica, Scipione Emiliano decise che Cartagine doveva essere distrutta al grido: «Delenda Carthago», così si diede seguito, senza indugio, alla distruzione della città, e con gli aratri si tracciarono solchi profondi che vennero col sale interamente ricolmati, per evitare a quel terreno di rinascere.
35 (Caio Giulio Cesare; Cleopatra regina egizia del periodo Tolemaico)
Per mano di Giulio Cesare il grande Impero romano stava nascendo dalla vecchia Repubblica, che era ormai già decaduta, anche se fu Augusto – che gli succedette alla sua morte – a modificare la struttura costituzionale dello Stato.
A dire il vero, al tempo di Giulio Cesare c’era già stata una guerra civile, ma non si trattò di una rivoluzione.
Giulio Cesare proveniva dalla «Gens Iulia», era nato nel 100 a.C.: sebbene fosse di famiglia illustre e benestante, crebbe alla Suburra, una zona malfamata della città, il quartiere Monti, maturando sulla strada un’incontenibile ambizione.
Di intelligenza vivissima, aveva una caratteristica: capiva bene ciò che avveniva intorno a lui e sapeva interpretar gli eventi in relazione ai propri tornaconti particolari.
Già nel 78 a.C. quando Silla morì, Giulio Cesare rientrò dall’Asia per dedicarsi alla carriera di avvocato dei Popolari.
Ma ormai stava crescendo: fu Tribuno militare nel 72 a.C. e ripristinò i tribuni della plebe che Silla aveva eliminato, poi nel 69 a.C. venne nominato Questore in Spagna, e par che allora decise di dedicarsi alla politica attiva.
Nel 62 a.C. fu nominato «Pontefice Massimo», ovvero protettore del diritto e del culto di Roma, con priorità esclusiva.
Nel 61 a.C. divenne Governatore della Provincia di Spagna Ulteriore;
Nel 60 a.C. realizzò un sodalizio chiamato «Primo Triumvirato», cioè un’alleanza politica e funzionale con Crasso, l’uomo più ricco di Roma, e con Pompeo detto il «Generale Vincitore».
Divenne Console ed istituì apposite leggi agrarie per assegnare ai Popolari terre di proprietà pubblica, governò la Gallia Cisalpina – cioè la Liguria e la Val Padana – e la Gallia Narbonense – cioè il sud della Francia – da dove iniziò l’espansione della Città Eterna.
Tra il 58 ed il 60 a.C. condusse una campagna militare contro le tribù galliche, germaniche e britanniche: la sua figura a Roma era diventata ingombrante.
Il Senato cercò di tenerlo distante da Roma, ma lui si riprese la città e l’intero dominio sfrontatamente,
Varcando l’insuperabile fiume Rubicone nel 49 a.C. dopo aver sconfitto gli Elvezi, i Belgi e gli Aveni di Vercingetorige con facilità alterna.
Venuto meno il Triumvirato, nel 53 a.C. a causa della morte di Crasso, Pompeo con l’appoggio del Senato di Roma ambiva a diventarne il dittatore.
Sebbene in precedenza, nel 50 a.C. Giulio Cesare avesse ricevuto dal Senato l’ordine di rientrare a Roma, lui mirava ad assumere il comando di ogni cosa, ed ecco perché si mosse verso la Città Eterna al comando di un proprio «esercito abusivo», rientrando in poche ore.
L’inevitabile scontro tra i due ex sodali fu duro e drammatico allo stesso tempo, e quindi presto fu guerra civile: Pompeo fuggi in Puglia e poi in Grecia per riorganizzare un suo esercito, mentre Giulio Cesare si recò prima in Spagna dove sconfisse le legioni di Pompeo, per poi inseguirlo direttamente verso Oriente dove si era riorganizzato, battendolo definitivamente nel 48 a.C. nella battaglia di Farsalo in Grecia centrale, sebbene lì le forze di Pompeo fossero numericamente superiori.
Pompeo sconfitto sul campo fuggì, ma in Egitto venne catturato e poi decapitato dal giovane re Tolomeo XIII° alleato di Giulio Cesare, che subito dopo dovette assegnare però il trono egiziano a Cleopatra, l’amante neanche tanto segreta di Giulio Cesare: a priori.
Nelle battaglie di Tapso in Tunisia nel 46 a.C. e di Munda del 45 a.C. nel sud della Spagna, Giulio Cesare annientò gli ultimi rimasugli pompeiani: ormai aveva campo libero, e nello stesso anno si garantì un proprio legittimo erede adottando Ottaviano; finché nel 44 a.C. fu nominato «dittatore a vita»: ma poco durò quella nomina: alle idi di marzo di quello stesso anno subì una congiura mortale ad opera di 60 Senatori alla quale partecipò anche Bruto, persona a lui molto vicina, come fosse un figlio, e proprio in quell’occasione Giulio Cesare cadde morto, dopo ben 23 pugnalate.
Era stata una carriera splendida la sua, pur se dispendiosa: ma alla fine tutte la sue ambizioni vennero in mille pezzi frantumate …
36 (L’Imperatore Ottaviano Augusto)
Dal 27 a.C. al 14 d.C., per oltre quarant’anni, Ottaviano fu il primo Imperatore dell’Impero Romano, che raccolse l’eredità di Giulio Cesare, ma ancor di più riuscì a migliorare ogni preesistente situazione.
Nel corso dei 17 anni precedenti si trovò l’ostacolo di Marco Antonio, già Console al tempo di Giulio Cesare, colui che ambiva alla sua successione.
In una guerra di nervi che si era scatenata tra i due, Ottaviano fin da subito sopravanzò il suo avversario, con una manovra a sorpresa: restituì al Popolo la somma che Giulio Cesare gli aveva destinato,
Sì da conquistarsi l’appoggio popolare ed anche di una parte del Senato.
Altrettanto rapidamente il Senato ratificò la condizione di erede al giovane Ottaviano, forse ritenendo di poterlo meglio manipolare.
Il dissidio tra Marco Antonio ed Ottaviano divenne col tempo insanabile, e i due si affrontarono in battaglia più volte, fin quando a Modena – nell’aprile del 43 a.C. – Ottaviano ebbe la meglio sul suo avversario.
Nello stesso anno Ottaviano fiutando un’insurrezione dei veterani di Giulio Cesare, strinse un accordo tattico, sia con Marco Antonio che con Marco Emilio Lèpido, un personaggio molto influente, un Cesariano, già Pontefice Massimo nominato, e di comune intesa, tra di loro crearono il «Secondo Triumvirato», che durò 10 anni, e che venne prolungato per un quinquennio nel 38 a.C.
I Triumviri sconfissero a Filippi nell’ottobre del 42 a.C. Bruto e Cassio, ovvero due degli assassini di Giulio Cesare.
Tra i Triumviri però i dissapori erano emersi rapidamente: già a Perugia, nel 40 a.C. dove Ottaviano sconfisse Lucio Antonio, il fratello di Marco Antonio, e poi ancora Ottaviano in Sicilia sconfisse nel 36 a.C. la flotta di Sesto Pompeo, il figlio di Pompeo Magno, a Milazzo ed a Nauloco.
Ottaviano vinse la battaglia navale di Azio in Grecia, nel 31 a.C. contro Cleopatra e quindi contro Marco Antonio che ripudiando la sua bellissima moglie Ottavia minore, sorella di Ottaviano Augusto, ne era diventato a tutti gli effetti l’amante.
Marco Antonio fuggì ad Alessandria d’Egitto, dove fu di nuovo sconfitto da Ottaviano e si suicidò, così come fece Cleopatra che si avvelenò con il morso di un velenoso serpente.
Nel frattempo, la figura di Marco Emilio Lèpido era andata scemando, Marco Antonio si era suicidato, e ormai Ottaviano non aveva più avversari: aveva campo libero, e ancor di più lo ebbe quando dal Senato ottenne i titoli di «Princeps», di «Imperator» e nel 27 a.C. di «Augusto, degno di venerazione in eterno».
A questo punto Ottaviano Augusto in modo indolore creò un «Principato» all’interno della Repubblica, perché formalmente a Roma tale era ancor il sistema di governo.
Secoli dopo l’avrebbero definita una «rivoluzione silenziosa», ma c’è da dire che Ottaviano «Augusto» migliorò lo Stato per davvero,
Cambiandogli il volto e rendendolo meno austero.
Più di quarant’anni durò l’Impero di Ottaviano Augusto e più che narrarti le sue gesta militari, pur di rilievo, ti narrerò piuttosto le numerose riforme che realizzò all’interno del nuovo Stato,
Che lui intuitivamente realizzò con far determinato,
E che lo porterà ad attuare riforme ben mirate, che trasformeranno per davvero Roma da una Repubblica ad un Impero.
Anzitutto pose un freno agli ingressi nell’Impero, così riducendo sin quasi ad eliminarlo, il brigantaggio.
Ridusse i Senatori del 40%, da 1000 a 600, aumentando del 50% il loro appannaggio
Portandolo da 800.000 a 1.200.000 di sesterzi.
Le province erano ricche e potevano pagare i loro tributi in oro, materie prime e monete ed anche grazie ai lori sforzi
Evitò di perseguire i debitori dello Stato
Lasciando loro le terre di cui in precedenza si erano appropriati, magari con criteri riferibili al passato.
Per riformar lo Stato gli servì il consenso popolare,
Che ottenne grazie a questo suo modo di fare.
Il territorio che poi era quello italiano, fu diviso in 11 regioni,
Ventotto erano invece le Colonie con diritti equivalenti ai diritti dei Romani,
Gli abitanti delle Colonie non erano solo plebei, ma cittadini dell’Impero, con diritto eventuale al grado equestre, quasi un riconoscimento di nobiltà, e l’ulteriore riconoscimento di un compenso straordinario per le famiglie numerose, che recavano utilità all’intera collettività,
Ed anche per questo la popolazione dell’area italica dell’Impero nel periodo di Ottaviano Augusto era cresciuta a 10 milioni di unità.
L’Imperatore visitò tutte le Province, salvo l’Africa e la Sicilia, come ci riferisce puntualmente Svetonio.
Le province peraltro erano di due tipi: quelle imperiali in cui erano di stanza le legioni e quindi restavano sotto la giurisdizione di Ottaviano Augusto, e le altre chiamate «province del popolo romano», dove le legioni non erano di stanza, ed erano governate da Consoli o da Pretori locali.
I tributi provinciali confluivano nel «fiscus», la nuova cassa personale dell’Imperatore.
Ottaviano Augusto migliorò la rete stradale interna, ed il collegamento delle province con Roma.
Dotò Roma e le altre città di fori, templi, anfiteatri, teatri, terme ed altre infrastrutture, uffici e delegazioni provinciali:
A Roma in particolare istituì i Curatori agli edifici pubblici, ed il corpo dei vigili del fuoco, che curava la sicurezza, oltre ad un Prefetto dell’Urbe al fine di mantenere l’ordine pubblico a Roma, ed un Corpo Pretoriano.
Costruì tre nuovi acquedotti per l’approvvigionamento dell’acqua Iulia dalla Tuscolana al Quirinale, dell’acqua Virgo dalla Collatina a Campo Marzio e dell’acqua Alsietina dal lago di Martignano a Trastevere dove c’era un lago artificiale per i combattimenti navali; nonché l’Annona per l’approvvigionamento e la dispensa del grano e delle altre derrate alimentari, che lì si andavano a conservare.
Diede impulso all’edilizia privata, fece ristrutturare il tempio di Giove e la Curia cioè la sede del Senato, che riportò all’originaria bellezza;
Fece pulire il letto del Tevere per evitare le inondazioni in città, e ridusse l’altezza delle costruzioni a non più di 70 piedi romani, pari a circa 21 metri, per motivi di sicurezza.
Fece costruire un nuovo ponte sul Tevere, la basilica Giulia e diversi portici, il tempio di Giove tonante, il Pantheon, il Teatro di Marcello, le Terme di Agrippa, l’Ara Pacis e il Mausoleo a Piazza Augusto Imperatore, dove ancora oggi riposano le sue spoglie mortali.
Ripristinò alcune tradizioni religiose romane, quali: l’augurio della salute durante il brindisi; la dignità del “flamendialis” la figura sacerdotale dei flamini maggiori legati ai riti sacri a Giove, Marte e Quirino, e dei flamini minori legati al culto degli altri dèi minori, Volturno, Vulcano, Cerere, Pomona ecc.; la cerimonia dei “Lupercali”, la festa della purificazione del gregge prima e della città palatina poi, celebrata il 15 febbraio in onore di Luperco, antico dio latino collegato con il lupo sacro a Marte; i “Ludi Saeculares”, una festività romana con sacrifici e spettacoli teatrali, che durava tre giorni e tre notti tra la fine di un secolo e l’inizio di quello successivo; e i “Ludi Compitali” cioè una festività romana in onore dei “Lares” divinità protettrici della famiglia e non si sa in ragione di quale logica, anche gli incroci stradali.
Ottaviano riformò la giustizia che con lui ebbe tempi più celeri, con la nomina di giudici più giovani e con percorsi più semplici anche per la procedura.
Regolamentò la misura delle spese giudiziarie, degli adulteri e della sodomia, pose un freno al celibato e regolò i divorzi ed i matrimoni tra i diversi ordini sociali, offrendo lavoro e benefici particolari ai padri di famiglie numerose.
Riconobbe un salario ed il congedo ai legionari ed agli ausiliari, oltre che un ulteriore beneficio per chi compiva gesta valorose.
Fu riconosciuto un compenso o un indennizzo cibario ai funzionari pubblici ed alla magistratura.
Per spese di qualsiasi tipo istituì il «fiscus» che era, come detto, la cassa personale dell’Imperatore, per qualche particolare copertura;
Oltre all’«aerarium» che era la cassa militare per i compensi ai veterani quale riconoscimento ulteriore e doveroso.
Creò porti commerciali, canali, fari ed altre opere finalizzate al convogliamento delle acque nel porto più vicino.
Concesse libere erogazioni di denaro al Popolo, a seconda dei bottini di guerra, e spesso era distribuito il frumento, oppure venivano distribuiti i «congiarium», cioè appositi contenitori per l’olio o il vino.
Ed infine Ottaviano Augusto diede grande impulso alla cultura, alla letteratura e ad altre arti che furono ravvivate.
Virgilio, Orazio, Ovidio, Tito Livio, Properzio e tanti altri parteciparono al «Circolo di Mecenate».
Altri come Tibullo e la poetessa Sulpicia parteciparono invece al «Circolo di Messalla» che fu un valoroso generale.
Anche lui indirizzato verso più di un interesse culturale.
Insomma, fu un periodo floridissimo di crescita, di sviluppo e di benessere.
Crebbe la consapevolezza della forza di un grande Impero, senza che lo Stato applicasse le limitazioni dell’opprimere.
In realtà il governo di Roma si poteva immaginare ancor più bello di quanto non appaia,
Come la benedizione di un Imperatore illuminato, e non piuttosto considerato una malefica mannaia.
Ottaviano Augusto concluse la sua esperienza terrena a Nola, il 19.08.14 d.C. per un grave malessere intestinale.
Gli succedette Tiberio, che Ottaviano aveva in precedenza adottato, e qualcuno sostiene che fu proprio Tiberio a dar conclusione al suo ciclo temporale.
37 (L’Imperatore Tiberio)
Ad Ottaviano Augusto, alla sua morte nel 14 d.C. succedette quindi Tiberio,
Che aveva 56 anni, e che per 23 anni ancora avrebbe governato su Roma ed sui suoi domini,
Con alterne fortune, talvolta però tradito dagli uomini a lui più vicini.
Nell’Africa, nel Nord e nell’Est Europa consolidò l’Impero.
Con lui il potere imperiale mirava a dominare la politica del Senato
L’aristocrazia di certo non lo gradiva e si può dir che non l’abbia mai davvero sopportato.
Non mirò tanto all’espansione dell’Impero quanto al suo consolidamento:
Non che gli mancasse la capacità o l’ardimento,
Però mantenne la linea già impostate da Ottaviano Augusto a cui peraltro rimase sempre grato
Per quell’adozione da lui voluta, che un luminoso futuro gli avrebbe garantito.
Il comandante delle corti pretorie Elio Seiano,
Suo consigliere personale, fu il personaggio più oscuro di cui si circondò, e che mosse ogni pedina per convincere Tiberio a restar lontano
Da Roma, ed infine a ritirarsi a Capri nel 27 d.C., in un «buenretiro», dopo soli 13 anni, dall’inizio del suo imperio,
Per trascorrere lì, comunque da Imperatore, gli ultimi 8 anni della sua vita: proprio l’Imperatore Tiberio,
Che nel frattempo aveva adottato Caio Giulio Caligola qual suo successore.
Mandato a morte Seiano, che tramava alle sue spalle, Macrone fu l’uomo ombra dei suoi ultimi anni di vita,
E secondo alcuni fu proprio Macrone a farlo soffocare con un cuscino, quando la sua salute ormai era venuta a mancare.
Secondo altri invece fu Caligola, il suo successore, che lo fece pian piano morire
Con una dose progressiva di veleno che qualche suo sodale giornalmente, insieme al cibo, gli somministrava.
38 (L’Imperatore Vespasiano; Il figlio Tito e la distruzione del Tempio di Gerusalemme)
L’imperatore Tiberio ebbe la gloria di punire il peccato originale,
Con la crocifissione di Cristo che si era fatto uomo per poter quel male risanare.
Con Vespasiano – ma per esser più preciso con il figlio Tito – l’aquila imperiale con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, vendicò anche quella punizione,
Quando il Tempio di Gerusalemme andò in distruzione.
Era settembre del 70 d.C., ma già tre anni prima Vespasiano – che non era ancora stato nominato Imperatore e lo diventerà nel 68 d.C. – aveva iniziato la Campagna militare contro i Giudei.
Nel 70 d.C., essendo già stato nominato Imperatore Vespasiano,
Dovette mandare suo figlio Tito a conquistare Gerusalemme, e a distruggere il Tempio.
In quella guerra, i prigionieri catturati furono circa centomila, ed i morti superarono il milione .
Questa fu la vendetta dell’aquila, per la Crocifissione di Gesù, ed i Giudei dovettero subire quella reazione
39 (Carlo Magno)
Anche quando i Longobardi si rivoltarono contro la Santa Chiesa,
Carlo Magno, con l’ausilio della sua aquila, si recò prontamente in sua difesa.
Sia i Guelfi che i Ghibellini fecero cattivo uso del simbolo imperiale dell’aquila: un simbolo divino,
Che il buon Dio certo non cambierà né col giglio francese, né con quello fiorentino.
Quanto all’altra tua domanda, sappi che il Cielo di Mercurio ospita gli Spiriti Operanti per la gloria terrena,
Quindi coloro che in terra han badato più agli onori ed alla fama,
Ricercando l’amor divino con minor perseveranza,
Ora vivono come Spiriti Beati, che godono della loro condizione, con piena gioia, e senza alcuna lagnanza.
I diversi gradi della beatitudine,
Concedono ad ognun di loro la corrispondente misura della gratitudine.
40 (Romeo di Villanova)
Quale ultima sua considerazione, Giustiniano si soffermò sull’anima di Romeo di Villanova,
Uno Spirito Beato del Cielo di Mercurio, che tanta energia profuse nel suo agir straordinario,
Qual ministro del conte di Provenza Raimondo Berengario
Che si trovò costretto ad abbandonare quella «ambasceria»
Per le calunnie degli altri cortigiani e per una diffusa diceria
Che gli attribuì illeciti ritorni, senza recare a ciò nessuna prova,
Costringendolo ormai vecchio e povero ad elemosinar l’altrui aiuto
Come più d’una volta mi ritrovai nel narrar di storie simili, avendo io in passato provveduto.
Ciò che ancor più colpisce, della storia di Romeo è che «sistemò» che meglio non poteva, le quattro figlie di Raimondo Berengario
Promuovendo il matrimonio della figlia Margherita con Luigi IX° il santo re di Francia; della figlia Eleonora con Enrico III° d’Inghilterra; della figlia Sancia con Riccardo conte di Cornovaglia e re dei Romani nel 1257; ed infine di Beatrice moglie di Carlo I° d’Angiò; ma fu solo l’ultimo agir di un uomo lasciato solitario”.