Siena: consiglio comunale dedicato al ‘Giorno della Memoria’; relazione del prof. Massimo Bianchi dell’Università di Siena con ” una riflessione sulla Shoah. Uno sguardo sull’Italia e al caso senese”.

Ecco una sintesi della relazione del prof. Massimo Bianchi
“La memoria, per chi fa il mestiere di studiare e interpretare il passato, è un imperativo morale prima ancora che storico: si dice infatti, a proposito dell’Olocausto, di “ricordare, perché ciò non accada mai più”. Affermazione quanto mai vera, specialmente quando si parla di antisemitismo che è alla base dell’Olocausto o della Shoah e ogni tempo, a ben vedere, ha avuto il suo antisemitismo: prima segnato dall’antigiudaismo cristiano, poi cospiratorio e complottista nei momenti di crisi e infine scellerato nella sua forma pseudo-scientifica durante il nazifascismo. Ma anche le ultime grandi crisi, come la pandemia da Covid 19 e l’invasione russa dell’Ucraina, pur non avendo legami diretti con gli Ebrei sono state l’occasione ancora una volta per diffondere discorsi antisemiti. Come ogni anno, alla vigilia della Giornata della Memoria si riaccende il dibattito sull’utilità del 27 gennaio e come sempre occorre ribadire l’importanza storica di evitare la distorsione della Shoah che è una delle manifestazioni dell’antisemitismo contemporaneo. Gli ultimi anni, fra le diverse e varie stagioni della memoria, sono infatti il tempo della minimalizzazione e banalizzazione della Shoah, un atteggiamento ancora più pericoloso – perché subdolo – della negazione. Viceversa, occorre ribadire la centralità e l’importanza di studiare, approfondire e scoprire nuovi frammenti della deportazione e del genocidio nazifascista: un comportamento fondamentale che fa parte della nostra cultura civica e che motiva le ragioni del nostro proiettarci verso il futuro. Quella di oggi è una ricorrenza, ma anche e soprattutto l’occasione per alcune considerazioni, che vorrei in questa sede sinteticamente avanzare. Attualmente uno dei temi dominanti la nostra società è quello delle migrazioni e della conseguente integrazione. Ebbene, a ben guardare, proprio la presenza ebraica in Italia e in Europa costituisce un modello ottimale di integrazione: in particolare in Italia essi giunsero in gran parte provenienti dalla Spagna da cui erano stati espulsi nel 1492 e si stabilirono un po’ dovunque, soprattutto nella “tollerante” Toscana; in particolare essi si inserirono nel mondo del lavoro, ricercando – pur tra ricorrenti episodi di intolleranza e di persecuzione – parità come leali cittadini. Quindi, alla data fatidica del 1938, essi erano da secoli inseriti nella società e nella storia del nostro Paese, contribuendo positivamente, come tanti altri, a creare e a far progredire l’Italia. Purtroppo, le leggi antiebraiche del 1938 (appena venti anni dopo la fine del primo conflitto mondiale) distrussero quel comune cammino, pacifico e proficuo al tempo stesso, con l’iniqua discriminazione rivolta contro cittadini che, come abbiamo visto, da secoli – in termini sia di diritti che di doveri – erano inseriti nella società e nella storia del nostro Paese. Alla data del 22 agosto 1938, i 235 ebrei censiti a Siena e provincia risultavano perfettamente integrati nella vita sociale: le famiglie ebree appartenevano in particolare alla media e piccola borghesia, alcune si erano guadagnate un certo prestigio per l’impegno in talune professioni. Proprio la totale integrazione degli ebrei senesi nella realtà locale rese ancora più assurda ai loro occhi la promulgazione delle leggi razziali e i vari provvedimenti amministrativi che seguiranno per escluderli dalla vita civile. Le leggi razziali provocarono nella comunità ebraica reazioni di vario tipo tra chi si chiuse in sé stesso cercando di adattarsi alle nuove difficoltà, chi invece trovò in questa nuova situazione ragioni per un antifascismo che andava maturando, chi si piegò con la speranza di salvare la propria famiglia. Al riguardo c’è da dire che a Siena come nel resto d’Italia numerosi furono i casi di solidarietà verso gli ebrei; in fondo bastava continuare a frequentarli per rendere esplicito il dissenso verso le leggi razziali. Molti ebrei senesi, per fortuna la maggioranza, riuscirono a evitare la cattura e trovarono rifugio presso conoscenti, religiosi o cittadini che, pur rischiando di persona, accettarono di aiutare i perseguitati. Tutto questo induce a riflettere che le discriminazioni originate dalla legislazione del 1938 – da cui tutto ebbe inizio – non solo erano deprecabili e degne di indignazione, come giustamente affermato ed espresso in molte e diverse sedi e occasioni, ma ebbero anche l’effetto pratico e negativo di depauperare l’Italia di valide energie, ereditate da Paesi che ne beneficiarono praticando invece apertura e tolleranza. Possiamo forse trovare una analogia storica nel provvedimento di espulsione del 1492 dalla Spagna che – in nome di una identità nazionalistica basata sulla “purezza del sangue” – distrusse con violenza quella culla di altissima civiltà creata molti anni prima dalla pacifica convivenza culturale tra ebrei, cristiani e islamici. Ma vorrei avviarmi a concludere questo intervento con una nota di positività. Infatti, anche in quei momenti oscuri e di prevalenza della malvagità si verificarono atti di generosità, di aiuto e salvataggio da parte di molti, anche a rischio della loro vita. Erano non ebrei, spesso persone qualsiasi, che ritenevano quasi ovvio compiere atti di solidarietà; non eroi epici, ma eroi “normali” animati da spirito di solidarietà. Era quindi giusto e doveroso che i salvati esprimessero, anche in forma ufficiale, la loro gratitudine. Per questo, come molti sanno, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme ha istituito, fin dal 1962, un riconoscimento a favore di coloro (non ebrei) che hanno agito in modo eroico, anche a personale rischio e senza interesse personale, per salvare molte vite umane dal genocidio nazifascista in Europa, anche di un solo ebreo (secondo il motto del Talmud che “chi salva una vita, salva il mondo intero”).L’ onorificenza consiste nella attribuzione del titolo di “Giusto tra le Nazioni” e il conio di una medaglia personalizzata con inciso il nome del salvatore; lo stesso nome è poi scolpito in un monumento eretto accanto al Museo della Shoah. “