Decimo appuntamento con la Divina Commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi

77 (canto n. 19) (Simoniaci) (I tre Papi)
Luoghi – (Ottavo Cerchio; Terza Bolgia, Malebolge);
Custode – (Gerione);
Categoria – (I Simoniaci);

Pena – (La testa dei Simoniaci è conficcata in una buca di pietra, con le gambe fuori fino al polpaccio ed una fiammella sulle piante dei piedi);

Contrappasso – (I Simoniaci in vita fecero un uso indegno del denaro capovolgendo la legge di Cristo: ora sono capovolti e la loro testa è conficcata in una buca di pietra, con le gambe fuori fino al polpaccio ed una fiammella sulle piante dei piedi);
Personaggi – (Papa Niccolò III°, Papa Bonifacio VIII°, Papa Clemente V°, Simon Mago).
Nella Terza Bolgia dell’Ottavo Cerchio,
Lo spazio per le anime dannate, era tutto per i simoniaci
Cioè coloro che avevano praticato in vita il commercio dei beni spirituali,
Quali le indulgenze e le assoluzioni dai peccati materiali,
Oppur dei beni temporali,
Cioè le cariche, gli arricchimenti, e gli altri benefici ecclesiali.

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La Bolgia era piena di buche circolari tutte di pari dimensione.
Ogni anima dannata stava con la testa in giù, dentro ogni buca a scontar la sua pena ben sapendone la ragione,
E restando fuori solo con le gambe, fino al polpaccio, che scalciavano con forza, sì da apparir per nulla tranquille.
Alle piante dei piedi di ognun di loro ardevano vive rosse fiammelle.
Le anime dei Simoniaci si trovavano in quella posizione,
Perché in vita avevano agito in modo contrario rispetto alla ragione.
Ecco perché ora come contrappasso stavano a testa in giù,
Ognun di loro per non dimenticarselo mai più.

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C’era un’anima dannata dalla fiammella rossa, degli altri ancor più viva,
Che per me l’occasione di un incontro apparve meritoria.
Virgilio mi fece presente che occorreva raggiungere il fondo della Bolgia, per vedere quel dannato, che era il Pontefice Niccolò III°, che rivestì l’incarico papale dal 1277 al 1280.

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Il dannato che per Bonifacio VIII° erroneamente mi scambiò, mi fece rimanere ammutolito,
E Virgilio saggiamente mi invitò a rispondergli che io non ero chi lui credea ch’io fossi, anch’egli rimanendone stupito.

Niccolò III° mi scambiò per il Papa Bonifacio VIII° – che fu Papa dal 1294 al 1303 –perché la sua anima dannata era destinata a prendere il suo posto all’imbocco del foro riservato ai Papi simoniaci,

Quindi Niccolò III° si meravigliò del fatto che Bonifacio VIII° fosse arrivato lì prima del tempo, ad occupare il suo posto:

In effetti Papa Bonifacio VIII° morirà nel 1303, mentre il mio viaggio qui all’Inferno avvenne nel 1300.

Ogni Papa simoniaco successivo, faceva sprofondare giù negli inferi il Papa simoniaco precedente che aveva occupato prima di allora e prima di lui quella postazione: così sarebbe avvenuto anche successivamente,

Papa Clemente V°, il Papa “francese” di Filippo il Bello – che resse il potere della Chiesa dal 1305 al 1314 – sostituirà Bonifacio VIII° in quella particolare postazione.
A questo punto l’anima dannata per suo conto si presentò: “Sono Niccolò III°
In terra fui Pontefice, della famiglia degli Orsi.
Così avido fui nell’arricchire i miei familiari, da finire all’Inferno: solitario però non sono perché
Con me ci sarà anche Papa Clemente V°, anch’egli simoniaco nell’azione;
Che soppresse l’Ordine dei Templari, e che avendo ricevuto da Filippo il Bello il potere papale, trasferì la sua sede in Francia, ad Avignone,
E che godette dei favori del Re di Francia, Filippo il Bello, in tutti i modi e per ogni verso”.
Così concluse il suo discorso Papa Niccolò III°.

 

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Ci recammo verso laQuarta Bolgia noi due poeti.
Dopo di che manifestai le mie durissime invettive contro Simon Mago,
Che in vita si presentava come incarnazione della “potenza” di Dio, e quindi si trattava di un eretico: nessun di lui però ne restò pago.
Simon Mago, da cui “simoniaco” deve il suo nome,
Fu colui che chiese a Pietro di poter ricevere, tutto avendo un costo, la capacità a guarire le persone.
Ebbene inveii a maggior ragione contro i Papi simoniaci di cui i tre che abbiamo visto nel presente Canto,
Ne sono campioni negativi di comportamento.
Poi entrambi proseguimmo il nostro percorso, restando a cagion di quelle narrazioni, alquanto inquieti.

 

82 (canto n. 20) (Indovini)
Luoghi – (Ottavo Cerchio; Quarta Bolgia, Malebolge);
Custode – (Gerione);
Categoria – (Gli Indovini);
Pena – (La testa degli Indovini è girata e quindi camminano guardando indietro);

Contrappasso – (Gli Indovini, in vita vollero vedere troppo in avanti: ora la loro testa è girata e quindi camminano guardando indietro);
Personaggi – (Anfiarao, Tiresia, Manto, Arante, Euripilo, Michele Scoto, Guido Bonatti, Asdente).
Qui nella Quarta Bolgia dell’Ottavio Cerchio, incontrammo gli indovini,
Che mai desiderai di aver vicini.
Ognun di loro qui, aveva un proprio spazio.

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Bagnavano il fondo della fossa, i loro pianti angosciosi,
Le anime dannate degli indovini, dall’andar sinistro,
Con il viso rivolto all’indietro,
Sì che eran costretti a camminar ritrosi,
A contrappasso del loro agire in vita, dove il voler ipotizzare in avanti gli altrui destini furono i loro limiti precisi.
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Io per queste anime dannate provai sincera compassione,
A cagion di questa situazione,
Anch’io proruppi, come loro, inaspettatamente in un pianto angoscioso.
Nel mentre anche le anime dannate, disperate piangevano; il loro modo di camminare,
Peraltro era davvero assai curioso:
Le loro spalle ed i loro glutei restavano ognor bagnati, come quando in estate si resta tanto tempo dentro al mare.

 

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Virgilio, perentorio, mi invitò ad osservare quegli indovini.
Vidi Anfiarao Re di Argo, protetto di Apollo, che volle per lui divinatorie capacità.
Prevedendo l’esito infausto della guerra contro Tebe,
Anfiarao a tale guerra non voleva parteciparvi, a dir la verità;
Ma dalla moglie Erifile, a ciò fu obbligato, senza poter formular recrimini.

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Poi c’era Tiresia, che visse un’esperienza assai particolare.
Nel veder due serpenti nell’atto di far l’amore,
Forse impaurito, ebbe la disgraziata idea di uccidere la femmina.
Gli dèi per questo gesto lo punirono, e questo fatto immediato gli determinò
Il ritrovarsi femmina anche lui.
Dopo sette anni, passando casualmente per lo stesso posto,
Tiresia vide altri due serpenti nell’atto di far l’amore, tra loro, viso a viso,
Ed impaurito, questa volta nella colluttazione uccise il maschio.
Gli dei per questo ulteriore gesto, nuovamente lo punirono, quindi tornando maschio, all’improvviso.

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Sin qui i fatti: Tiresia, però, non era ancora un indovino.
Ma sentite bene: nel corso di una discussione tra Era e Zeus sul godimento nel momento dell’atto fisico coniugale,
Non trovando tra loro un accordo divino,
In merito alla risposta da dare,
I due di comune intesa decisero di interpellar Tiresia,
Diciamo l’esperto in materia.
In merito al quesito postogli sentenziò Tiresia: “Vi dico che se un prisma avesse dieci colori, nove apparterrebbero alla donna
E solo uno all’uomo”.
Era, andò su tutte le furie, per questa verità da Tiresia appena svelata,
Avendo lei scommesso con Zeus nella direzione opposta: ed in ragione di ciò, lo rese cieco per tutta la sua vita.
Zeus, non potette non reagire a simil affronto,
Donandogli l’alternativa di esser preveggente, e di viver sette generazioni, a suo parziale tornaconto.

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E ancora incontrai Manto, la figlia di Tiresia, che arte mantica esercitava, che era anche oracolo, e quant’altro, alla bisogna,
A beneficio di chi quelle arti non disdegna.
Una dannata con le trecce lunghe che le coprono il petto”,
Così io la descrissi in un mio sonetto.

 

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E quando Manto col dio Tiberino partorì Ocno, ancora non sapeva
Che quel figlio, per suo conto, la città di Mantova avrebbe fondato;
Nominando in quel modo la nuova città, proprio ad onore di sua madre.
Manto nella sua vita, dopo un gran girovagare, naturalmente a Mantova, si fermò.

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Arunte fu il successivo indovino che incontrai; mentre parecchio arrancava.
La sua vita era stata sulle Alpi Apuane, prossimo a Carrara; lì in una spelonca alla vita si adattava,
Essendosi specializzato nella divinazione tramite il volo degli uccelli, e le viscere degli animali,
Ed altri fenomeni ritenuti naturali.

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E ancora vidi Euripilo che in mitologia venne narrato in modo multiforme.
Si trattava comunque del figlio di Poseidone, il dio del mare e di Anfitrite, una Nereide dalle belle forme.
Tritone, questo il suo nome, era però una divinità, che recava sempre con sé un corno di conchiglia,
Per avvertire quando arrivava il padre,
E per calmare le tempeste durante il parapiglia.
Tritone aiutò gli Argonauti nelle loro asperità,
Durante il passaggio del lago Tritonio, almen così si crede.
In quella circostanza donò ad Eufemo, un altro figlio di Poseidone, un pugno di terra in segno di ospitalità,
Che da quel giorno in poi, assicurò a lui e ai suoi discendenti, sulla terra di Libia, la sovranità.
Fu in quel contesto che Tritone,
Che era un uomo con la parte inferiore color del verde, come se fosse un pesce;
Una specie di sirenetto, assunse le sembianze di Euripilo, e per lui fu forse una liberazione.
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Scorsi poi più lontano Michele Scoto, che alla corte siciliana di Federico II° di Svezia, fu un astrologo osservatore.
Del pensiero aristotelico, e della filosofia araba fu un attento divulgatore.
Io lo considerai però un impostore, che ingannava il prossimo, con le sue magie.

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Ormai quasi alla fine, incontrai un altro astrologo:
Era Guido Bonatti, un forlivese Ghibellino, che pur mi fece un lungo monologo,
Che parve coerente, pur se non ne eravamo proprio certi,
Che con la sua arte seppe orientare nel 1260, la battaglia di Montaperti.
E per ultimo Asdente, un astrologo di Parma,

In realtà un Mastro calzolaio, che narrano non sapesse lavorar con calma.