Oggi undicesimo appuntamento con i canti del Purgatorio della Divina Commedia ‘rivisitata’ dal poeta Piero Strocchi

 

97 (canto n. 23 del Purgatorio) (Golosi nel bere e nel mangiare) (Publio Papirio Stazio, Forese Donati)
Luogo – (Purgatorio, Sesta Cornice);
Custode – (Angelo dell’Astinenza);
Peccatori – (Golosi nel bere e nel mangiare);
Pena – (Le anime pativano la fame e la sete, orribilmente smagrite);

Peccato – (Eccessivo amore per i beni terreni);
Personaggi – (Publio Papirio Stazio, Forese Donati).
“Il tempo è tiranno, dobbiamo procedere nella nostra direzione”,
Mi disse il Maestro allontanandomi dalla mia visione:
Le fronde di quell’albero contrario, ancora stavo osservando con una certa attenzione.
Mentre Virgilio e Stazio erano tra loro dialoganti,
Quando sentii all’intorno, il pietoso sonoro intercalare delle anime penitenti.
Il contrasto tra il loro canto di lode, e l’uso smodato al cibo a cui avevano abituato la loro bocca in vita, con manifesta sfrontatezza,
Trovava il contrappasso nel loro attuale aspetto, consumato da un’inimmaginabile magrezza.
Pallido il loro volto, e aderente alle ossa la loro pelle,
Che tal tra loro quelle anime penitenti parean tutte uguali, sia queste che quelle.
Credo che neanche Erisìttone si ridusse a quel livello dopo l’esemplare punizione infertagli da Cerere,
Quando la miglior quercia nel suo giardino sacro, ebbe l’ardir di abbattere.
E neanche gli Ebrei di Gerusalemme, quando per quattro anni vennero assediati da Tito, il figlio di Vespasiano – poco più di cinquant’anni dopo Cristo – a quel limite arrivarono,
Che pur spinti dalla fame, l’un dell’altro alla fine si cibarono.
Erano così magre, quelle anime penitenti,
In ragione dei frutti profumati, di certo troppo invadenti,

Proprio a causa dei frutti profumati, di certo troppo invadenti,

Dell’albero contrario, e delle sue acque ascendenti:
Con un far del tutto misterioso, ma dagli esiti alquanto stravaganti.
Restai comunque perplesso nell’osservar quelle scavate magrezze,
Verso le quali non mi sentivo ben disposto,
Infatti, solo dalla voce riconobbi
Il mio amico Forese Donati, la cui anima mi si era avvicinata, irriconoscibile per me dalle sue fattezze.
“Non curarti del mio aspetto,
Dimmi piuttosto perché sei qui proprio adesso,
Mi chiese Forese, ed inoltre: chi sono le due anime che ti accompagnano,
E che tra loro parlano?”
“Ti risponderò, gli dissi, ma tu dimmi piuttosto
Perché siete così tutti smagriti?”
Forese ancora mi rispose: “È per volontà divina che la pianta contraria ed i suoi frutti profumati,
Insieme all’ascendente acqua, celano misteriose qualità per le quali tutti qui andiamo rapidamente a dimagrire, come tu ben vedi, e si può dir che siamo ormai del tutto consumati.
È questo il nostro scontar la pena
Del nostro ripetuto peccato di gola”.

 

98
“Forese – gli chiesi ancora incuriosito – dimmi piuttosto com’è possibile che tu morto da meno di cinque anni fa,
Ti trovi già in questa Sesta Cornice, e non piuttosto  nell’Anti Purgatorio, prima di iniziar la penitenza che ti redimerà?”
Lui mi rispose: “Devo ringraziar mia moglie Nella, che tanto si adoperò in mio favore, con il tributo della preghiera,
Dandomi modo e maniera
Di trovarmi direttamente quassù,
Senza esser obbligato a far lunga tappa invece più giù”.
A questo punto della mia conversazione con Forese, feci qualche considerazione sulle donne fiorentine:
A volte licenziose, neanche poco, ma pur ce n’è qualcuna come ad esempio Nella, proprio la moglie di Forese, virtuosa, di gran cuore, e ricca di mansuetudine,
Addirittura capace a “purificare” l’anima del marito
Dalle sue terrene debolezze, con la forza della preghiera, e “riabilitandolo”, come si fa con un fallito.

99
“Noi siamo stati in terra molto amici, come tu ben sai,  caro Forese,
Pur se da giovani contrapposti nelle nostre «poetiche tenzoni», con singolari scambi di sonetti sui vizi e sulle turpitudini reciproche, con esclusivo intento letterario, su tutto il territorio del nostro paese.
Ahimè avvenne che tu, abbandonando la vita, m’abbandonasti anche meno di un lustro fa,
Con mio grande dolore, perché insieme in quell’arte elevata che andavamo professando, entrambi eravam cresciuti, ed entrambi, pur se ognuno a modo proprio, o con maggiore o minor fortuna, forse lascerà traccia indelebile a chi ci seguirà”.

100
Forese mi invitò a spiegare le ragioni della mia presenza, io vivo, lì in Purgatorio: ma anche tutte le altre anime che stavano lì intorno, desideravano saperlo:
“La mia missione è voluta da Dio: Virgilio che ora ti presento mi ha accompagnato lungo il tragitto dell’Inferno, e mi sta accompagnando ad attraversare anche il Purgatorio: poi sarà Beatrice invece a condurmi una volta che sarò arrivato in Paradiso.
Quell’anima prossima a Virgilio è Stazio, ed è a cagion della sua redenzione, che s’è manifestato
Quel terremoto che tutti noi poco fa, abbiamo qui sentito”.
E poi continuammo a parlare …

101 (canto n. 24 del Purgatorio) (Golosi nel bere e nel mangiare) (Publio Papirio Stazio, Bonagiunta degli Orbecciani) (Esempi di gola puniti da miseri castighi)
Luogo – (Purgatorio, Sesta Cornice);
Custode – (Angelo dell’Astinenza e della Temperanza);
Peccatori – (Golosi nel bere e nel mangiare);

Peccato – (Eccessivo amore per i beni terreni);
Pena – (Le anime pativano la fame e la sete, orribilmente smagrite);
Personaggio – (Publio Papirio Stazio, Bonagiunta degli Orbicciani, Martino IV°, Bonifacio Fieschi, Marchese degli Argugliosi).
Notevole fu lo stupore delle altre anime
Mentre parlavo con Forese,
Nel vedermi vivo, perché restarono sorprese,
Come spesso era avvenuto anche in altre circostanze essendo identico lo sconcerto che ogni volta verso di me si esprime.
“Stazio sta procedendo lentamente col Maestro – dissi a Forese – perché con lui gradisce intrattenersi in un parlare condiviso.
Piuttosto dimmi sai dove si trovi Piccarda, tua sorella?”
Forese così mi rispose: “Piccarda, che già tanto buona è stata in vita, ora è tra i beati in Paradiso”.
E poi aggiunse ancora: “Qui le anime, vista la loro gran magrezza, tra loro nemmen più si distinguono, questa da quella;
E quindi occorre nominarne alcune, essendo tutte tra loro irriconoscibili:
Guarda quello sicuramente ti conosce: è un rimatore della scuola siculo-toscana, poi detta: Guittoniana, tal Bonagiunta degli Orbecciani da Lucca,
E l’altro a lui vicino è l’anima di Papa Martino IV°, che qui espia col digiuno, il suo abuso del nettare dionisiaco di Vernazza nelle Cinque Terre ed il suo riempir di anguille la propria bocca”.
E tra gli altri ancora mi nominò Ubaldino della Pila, più volte Podestà del Borgo di San Lorenzo e di Lucca, nonché Bonifacio Fieschi, del ramo parmense della famiglia dei Conti di Lavagna, ed il Marchese degli Argugliosi di Forlì, di cui altro non so se non ch’era avvezzo ad un bere smodato.

102
Bonagiunta più degli altri, si mostrò desideroso di parlar con me,
Mormorandomi un nome che mi parea “Gentucca”, mi precisò di ricordarmi, più in là, di questa sua profezia, però io non sapendone il perché.
Questa tal “Gentucca” era una giovinetta dalla chioma leggermente scompigliata,
Perché – vigente la norma comunale – ancor non indossava la nera benda a copertura della donna maritata, e per questo poteva esser riconosciuta.
Successivamente ebbi però occasione di ricollegar quella profezia riferita a “Gentucca” riferita al nome di una donna lucchese della famiglia Malaspina,
Che mi avrebbe ospitato nel corso del mio esilio, intorno al 1306, durante la mia permanenza tra le province di La Spezia e di Massa Carrara, borghi e città sorte all’epoca romana, avanti Cristo, cioè in quella zona che conobbi con il nome di “Lunigiana”.
Ancor mi chiese Bonagiunta, se fossi proprio io il poeta delle nuove rime con la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”,
E con altre di pari nobiltà di sentimento, che furono l’innovazione ed il punto di forza del nascente «Dolce Stil Novo», come lui stesso lo definì; dove la celebrazione delle doti spirituali dell’amata raggiungeva vette più elevate che in precedenza come si trattasse di un quadro arricchito di maggiori particolari, opera di un più capace pintore.
Si trattava di una fase letteraria di minor rilievo sotto l’aspetto formale, ma di più elevata ispirazione,
Un diverso ed innovativo intendimento dell’amorosa narrazione.

103
Tutte le altre anime da noi si allontanarono senza titubanze,
Mentre continuavo a dialogare con Forese che ancora mi chiese quando avrebbe potuto rivedermi: io manifestandogli
Il mio desiderio di abbandonar comunque Firenze,
Città nella quale non volevo più rientrare, visto il degrado nel quale essa già si trovava.
“Mai nessuno però, nella città del giglio, supererà l’agir sdegnoso di mio fratello Corso, il Gran Barone, che ognun temeva
– Mi rispose Forese – un Guelfo Nero che ahimè per lui morì trascinato sull’impervio terreno più volte calpestato dal suo cavallo al galoppo che creò grande scompiglio,
Dopo la ferita a morte – subita dal suo cavaliere, per un «chiarimento a furor di spade e di armi bianche» – tra i Cerchi ed i Donati, all’epoca le due fazioni prevalenti della città del giglio,
Corso terminò la sua sfrenata corsa nella valle dell’Inferno,
Dove poi sarebbe rimasto come noto, per l’eterno”.
Poi Forese da me s’allontanò con far veloce …

104
Io rimasi con Stazio e col Maestro ad osservare il mio amico Forese allontanarsi:
Dopo aver svoltato la curva del monte, il mio occhio scorse più lontano un secondo albero carico di frutti al di sotto del quale sostava una massa di anime penitenti di golosi, che inutilmente, ad esso parevano attaccarsi,
Protendendo le loro mani nell’inutile speranza di coglierne qualche frutto.
Anche noi tre ci avvicinammo a quell’albero “ambito”
Quando una voce ci riferì trattarsi di una pianta nata dall’albero dell’Eden, quello che “produsse il frutto morso da Eva” che in quel momento impegnò il nostro udito.
Altresì la stessa voce ci consigliò di allontanarci quanto prima: e dopo quest’ultimo discorso,
Così facemmo rapidamente stringendoci sulla parete del monte per meglio proseguire il nostro percorso.
Intanto una voce stava narrando degli esempi di gola puniti da miseri castighi.
Come gli ibridi Centauri,
Che alle nozze tra Piritoo, eroe della Tessaglia, ed Ippodamia, la “domatrice dei cavalli”, non essendo abituati a bere vino
Per i fumi dell’alcool persero la testa compiendo gesti oscuri
E di aggressione nei confronti della sposa, delle fanciulle e dei fanciulli presenti alla festa e lì vicino.
Scoppiò la rissa inevitabile dove il re di Atene, Teseo – amico di Piritoo – insieme agli ateniesi – riuscì ad allontanare i violenti Centauri da quei luoghi.
E parimenti quegli Ebrei, che in occasione della guerra contro i Medianiti, per liberare il territorio dalle loro scorrerie,
Rimasero esclusi dal gruppo dei prodi di Gedeone, perché la sua scelta sarebbe ricaduta su coloro che nell’attraversare un torrente,
Non si fossero piegati sulle acque per bere più comodamente,
Ma si fossero dissetati velocemente, utilizzando con l’incavo della mano, per poter subito procedere oltre le praterie.

105
Oltrepassato quell’albero fruttuoso, tutti e tre restammo fermi meditando
Su quel che avea narrato quella voce,
Quando udimmo un’altra voce che ci chiese a cosa stessimo pensando:
Mi scossi alzai lo sguardo e m’imbattei nell’Angelo dell’Astinenza e della Temperanza che abbagliandomi con la luce rosseggiante che promanava dal suo viso, ci invitò ad imboccare quelle scale sovrastanti, per poter salire di Cornice con fare più veloce.
In quell’istante percepii un dolce vento, che parea una primaverile brezza:
Era l’Angelo dell’Astinenza e della Temperanza che aveva cancellato la sesta “p” dalla mia fronte, con una sua morbida carezza …