La scatola dei ricordi: “Una moglie per forza” di Patrizia Patrizi

Da questa domenica pubblichiamo una serie di racconti scritti da  Patrizia Patrizi , cetonese doc, che è andata a pescare  appunto dei “ricordi” nella sua scatola della memoria di bambina e di ragazza. Ricordi , spesso personali ,a volte anche molto divertenti se letti con gli occhi di oggi ma interessanti  e importanti per mantenere viva la memoria di quegli anni che è anche la memoria della comunità   e del territorio. Pennellate di ricordi che non vanno dispersi. Il primo racconto si intitola:

 

Una moglie “per forza”.

Di Patrizia Patrizi

 

Lo “zio”, cosi lo chiamavo, anche se in realtà era solo un lontano parente, abitava con la moglie e la nuora, in un grande podere a 5 km dal paese. Lo ricordo come un uomo altero, burbero ma sapevo che voleva tanto bene al mio babbo. La nuora era mia zia vera, perché sorella di mia nonna paterna. Il podere era costituito da una grande casa in pietra e mattoni, al piano di sopra c’erano quattro camere, di cui una adibita a dispensa, un piccolissimo bagno solo con il water e il lavandino e una grande cucina con un grande camino dove ci si poteva sedere dentro perché ai lati c’erano due grosse panche; al piano di sotto c’erano la cantina, una rimessa per gli attrezzi agricoli, un grande garage dove sostava un calesse, una stalla per il cavallo, gli stallini per le galline, per i conigli, per i maiali. Nel cortile c’erano un fienile e una casetta con il lavatoio per i panni. A pochi passi dal portone di casa, l’orto e la vigna. Tutt’intorno c’erano i terreni coltivati a granturco, grano, girasole e un piccolo appezzamento di bosco. Da ragazzina prendevo spesso la bici e andavo al podere; adoravo passare le giornate d’estate in quel luogo, stare seduta sotto una grande querce, mentre la zia rammendava o puliva qualche verdura colta dall’orto, poi preparava il pranzo sempre accendendo il fuoco nel camino e  faceva un sughino con i pomodori, il sedano e la cipolla. Io ci andavo matta da quanto era buono!D’inverno mi facevo portare al podere dal babbo, durante le vacanze natalizie, perché mi piaceva stare seduta sulla panca dentro il camino e riscaldarmi con le mani protese al fuoco mentre il babbo e lo zio parlavano di semine e le donne sistemavano la cucina in silenzio. In effetti nuora e suocera parlavano poco ma stavano sempre insieme. Come se il comune destino di vivere con un uomo dispotico sotto lo stesso tetto, le rendesse amiche che si capivano al volo.Un giorno mio “zio” con la moglie andarono al funerale di un vecchio parente. Mia zia era fuori a governare le galline. Io e il babbo ci sedemmo dentro il camino in attesa del rientro dei padroni di casa. Fu allora che babbo mi raccontò la storia del matrimonio dello “zio”. “Mica la voleva sposare” mi disse, alludendo alla moglie, “era più vecchia di cinque anni e l’aveva messa incinta ma non aveva nessuna intenzione di fare il matrimonio. Lei abitava a 3 km di distanza con i suoi genitori e il suo babbo era venuto giù più volte a parlarci, ma lo “zio” non gli apriva mai la porta di casa. Un giorno babbo e figlia vennero giù insieme e quando lo zio dalla finestra li vide arrivare, minacciò addirittura di prendere il fucile!”“Lo “zio” è stato sempre tremendo” mi disse il babbo. “Aveva un’amante a San Casciano dei Bagni e andava spesso là con il calesse fermandosi anche più giorni. Faceva anche il sensale di maiali e andava a venderli vicino Roma; concluso l’affare si dava ai divertimenti: donne e vino a volontà! Un giorno il babbo della ragazza incinta prese una decisione: condusse per mano la figlia fin davanti alla strada che portava al podere e la lasciò là. Lo “zio”, a sera inoltrata, si decise a farla entrare in casa. E così dopo poco tempo la sposò, più per insistenza dei suoi parenti che per sua volontà”.Io rimasi un po’ sconcertata ma anche divertita, in verità, perché, da ragazzina, ero più propensa a cogliere il lato anticonformista e ribelle della vita che il buon senso e il rispetto. Solo dopo, verso i diciotto anni, mi resi conto delle condizioni difficili, tristi, sofferenti di molte donne di quei tempi.