Oggi quindicesimo appuntamento con i canti del Purgatorio della Divina Commedia “rivisitata” dal poeta Piero Strocchi

137 (canto n. 30 del Purgatorio) (Paradiso Terrestre) (Rimprovero di Beatrice a Dante)
Luogo – (Paradiso Terrestre);
Personaggio – (Beatrice).

Alla sosta della processione, i ventiquattro vecchi si girarono ad osservare il carro che stava ormai fermo dopo di loro
Uno dei seniori cantò per ben tre volte: “Vieni o sposa del Libano” e poi tutti gli altri appresso a lui proseguirono in coro.
All’ascolto di quel canto più di cento angeli si fermarono in volo sul carro, anch’essi cantando, in risposta: “Benedetto tu che vieni” e nel frattempo gettavano dall’alto bianchi fiori.
Ad oriente il cielo mi apparve rosa, mentre tutto intorno era così terso, come l’avrebbero dipinto rari pintori.
Il sole pur luminoso, parea fosse velato,
Sì da poter mantener verso di esso lo sguardo ben sostenuto.
Con una ghirlanda d’ulivo ed ammantata da un bianco velo, mi apparve una donna di rosso vestita, coperta da un verde manto
Immagine paradisiaca, appunto, ma io di quella donna non avevo ancora letto, bene il volto
Che già s’era mosso dentro di me uno stupore ed un turbamento che mi ricordai esser la traccia dell’antico amore:
Cercai Virgilio per narrargli tutto il tremore del mio sangue, ma più non lo trovai, a me stesso sentendomi abbandonato in quella mia “rivoluzione di stupore”.
E poi mi persi in un pianto dirotto …

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“Ehi Dante, non piangere per la dipartita di Virgilio, così doveva essere, e tu già lo sapevi che non ti avrebbe potuto seguire oltre il Purgatorio: avrai altri motivi per versare le tue lacrime”.
Che musica soave per le mie orecchie: poi mi girai … e vidi Beatrice !!!
Un velo bianco le cingeva la fronte, recava una corona d’ulivo sulla testa:
La sua dolce visione per me fu una grande emozione, una gioiosa festa
Dolce e altera mia benefattrice …
E ancora Beatrice: “Guardami, sì sono proprio io, la tua Beatrice: ma come puoi pensare di poter accedere a quel monte senza che tu sia un uomo felice?”
Un pò mi sentivo come un bimbo dalla mamma rimproverato,
E nel mio arrossire mi specchiai nelle acque del Lete, ma dal loro riflesso subito m’allontai rivolgendo il mio sguardo più in là, sopra al prato.
Ero dispiaciuto ed emozionato, ebbi una stretta al cuore e trattenni le mie lacrime come quando l’Appennino ghiaccia al soffiar dei venti gelidi, che lì quel clima rigido impone.
Ma quando gli angeli cantando parean mossi a mia compassione, il gelo del mio cuore subito si sciolse proprio per il loro interceder a mio beneficio verso Beatrice.
E poi mi persi, per la seconda volta in breve tempo, in un pianto dirotto …

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Ancora assunse la parola Beatrice, però rivolta agli angeli che mi avevano mostrato comprensione,

Quasi per dar loro migliore spiegazione:

“Dante in gioventù mostrò molte potenziali capacità, che potevano portare ad eccellenti risultati.
Il che però non fu, perché quando io mi trovai a «dover» cambiare vita, venendo nell’al di là, egli tradì la mia memoria e si concesse ad altre donne, sì che i miei desideri da lui vennero del tutto abbandonati …
Eppure Dante aveva ricevuto sin dalla nascita anche un beneficio astrale
Essendo nato sotto il segno dei Gemelli e quindi ben disposto alla scienza ed all’arte letterale.
Il terreno quindi era fertile, ma venne coltivato con cattive sementi, e quindi con l’andar del tempo divenne selvatico ed infruttuoso:
Il buon lavoro fatto era andato tutto perso, e quel tempo era stato inutilmente dispendioso.
Nulla poi potetti fare, pur talvolta gli apparvi in sogno:
Ma lui ormai era lontano: persa avea la retta via, di me in quel momento non aveva più bisogno.
Ma non solo cadde nei bassi desideri della vita terrena, ma abbracciò anche la filosofia, cedendo facilmente a quei peccati intellettuali,
Che per certi aspetti, essendo traviamenti e peccati di superbia, possono condurre alla dannazione, non meno degli amori disordinati e sensuali.
Tanto cadde così in basso, che non ebbi più strumenti per salvarlo.
E allora disperata presi coraggio e scesi sin giù al Limbo, e piangente chiesi soccorso a Virgilio, l’unico che poteva – per carisma e per capacità – mostrargli le viscere della terra, e «le perdute genti», ovvero il dominio delle anime dannate, ed i luoghi di sosta più o meno lunga delle anime penitenti, nella speranza di ridonargli la giusta misura delle cose, e tornare nuovamente a persuaderlo …
Se da Dante «tal vivanda fosse gustata sanza alcuno scotto» la volontà divina ne resterebbe gravemente infranta:

Occorre por rimedio con il necessario pentimento, anche nel caso versando le giuste lacrime, prima che Dante abbia a gustare l’acqua del fiume Lete, e che la sua mente venga dapprima ripulita, perché affranta …”

140 (canto n. 31 del Purgatorio) (Paradiso Terrestre) (Incontro tra Beatrice e Dante)
Luogo – (Paradiso Terrestre);
Personaggi – (Beatrice, Matelda).
E poi Beatrice si rivolse a me: “Corrisponde a verità ciò che ho appena narrato agli angeli? Dimmelo tu, Dante
Tu ora sei al di là del Lete, e ancora non hai bevuto quelle acque che la memoria dei tuoi peccati cancellerà all’istante.
Adesso occorre però una tua confessione,
Per completare il rito della purificazione”.
Io restai li allibito, riuscendo a profferire un debole “si”, nel contempo ammettendo di aver tradito la sua memoria, perché verso altri lidi mi ero fatto incautamente trasportare.
Dalla mia bocca ancora non riuscivo a far sortire altre parole sul mio pentimento, verso cui comunque mi andavo ad orientare.
Il mio fu un peccato di natura morale ed intellettuale, ed ora subivo quel peso, con tutto il conseguente “traviamento”.
In quel momento non capii come fosse stato possibile al mio animo prestar cura ad altre donne mortali, di certo mai altrettanto belle di quanto Beatrice non lo fosse stata in vita, però.
Percepii solo in quel momento che era scattato in me un più profondo pentimento.
Ero nuovamente a capo chino quasi fossi un fanciullo che rimproverato si pente, quando Beatrice mi chiese di alzare il mio sguardo e mi invitò
A sopportare una maggior pena nell’osservarla.

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Pur con un pò di resistenza, vista la mia condizione contrita, alzai lo sguardo e vidi Beatrice che stava osservando il grifone, e mi apparve ancor più graziosa di quando da bambina l’avevo conosciuta.
Lì per lì provai una profonda avversione verso quel il mio comportamento,
Quando all’improvviso nuovamente svenni, forse per la tensione di quel momento.
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Quando mi risvegliai ero già dentro quell’acqua che cancella la memoria del peccato,

Con me c’era Matelda che mi abbracciava e mi esortava ad aggrapparmi a lei, che nel frattempo mi tirava nell’acqua, finché spinse la mia testa sotto l’acqua, e ne bevvi quanta per me ne fosse stata sufficiente, ritrovandomi dopo un pò accasciato.

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Matelda poi mi tirò fuori dall’acqua e mi affidò alle quattro donne alla sinistra del carro, che mi abbracciarono e che mi avrebbero condotto a Beatrice assai vicino.
Ma anche le altre tre donne a me si avvicinarono
E di osservare gli occhi di Beatrice mi consentirono:
Queste ultime, simboleggiando le tre virtù teologali, in realtà si riferivano ad una volontà divina proprio dimostrata dalla presenza di quelle tre ancelle.
Quell’incipit era primario quanto al rilievo, ma successivo quanto al tempo, rispetto alle virtù cardinali, raffigurate invece dal gruppo delle quattro fanciulle,
Delle quali virtù, già mi ero riappropriato con l’espiazione dei miei peccati terreni.

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Quelle ninfe mi condussero prossimo al grifone,
E mi invitarono a concentrarmi sugli occhi di Beatrice con grande attenzione:
I suoi occhi erano di color verde smeraldo, e li guardai così profondamente,
Che mi parvero specchi riflettenti l’immagine di quel grifone, che quella “bellissima donna” stava osservando intensamente.
Il grifone rappresentava Cristo nella sua duplice natura: quella divina e quella umana, e proprio quelle due nature contestualmente ritrovai negli specchi verdi di Beatrice.

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Quando le tre ancelle le chiesero di svelarsi alla mia vista, sollevando il bianco velo che le faceva da cornice,
Rivelò la sua bellezza di beata
Che io avrei fatto fatica a descrivere, non sovvenendomi all’istante parola adeguata …

146 (canto n. 32 del Purgatorio) (Paradiso Terrestre)
Luogo – (Paradiso Terrestre);
Personaggi – (Beatrice, Matelda, Publio Papirio Stazio).
Anche qui il simbolismo la faceva da padrone:
L’allegoria governava l’intera nostra immaginazione,
Dando ad ogni evento della Chiesa la più giusta rappresentazione,
Alla fine non ponendo dubbi neanche sulla sua interpretazione.

 

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Stavo osservando ormai da tempo il volto ancor più bello della mia amata,
Per poter ricever giusta soddisfazione, essendo già trascorsi dieci anni.
Nulla notai di quel che avveniva nei dintorni,
E quando volsi il mio sguardo in altra direzione ne restai così abbagliato che la mia vista mi parve alterata.

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Dopo un pò, tornando la mia vista alla normalità,
Mi resi conto che la mistica processione
Si era orientata verso destra dopo aver fatto una laboriosa conversione.
Le sette donne rientrarono nella loro originaria posizione
Alla destra oppur alla sinistra del carro, le cui penne non avevano subito alcuna alterazione.
Io, Stazio e Matelda eravamo prossimi alla ruota destra di quel carro,
Ed in quella foresta ascoltavamo una musica celestiale, se non erro …

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Nuovamente in processione
Arrivammo fino all’albero del bene e del male dove tutti mormoravano un sol nome:
Adamo: era l’albero del frutto del peccato, dal quale occorreva mantener giusto distacco.
Il grifone non lacerò quel legno col suo becco,
Ma lì si avvicinò, legando, proprio a quell’albero il timone del suo carro: con questo gesto andando a simboleggiare la Redenzione e la Crocifissione di Cristo, che la divina giustizia andava a restaurare:
Subito dopo l’albero da solo riprese a rifiorire …

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Mi addormentai come s’addormentò Argo alla dolce melodia di Mercurio,
Che qui vi narro per mostrarvi quanto il controllo della nostra mente in alcune circostanze, sia sommario.
Gli occhi del Gigante Argo erano così tanti
Per meglio vegliare sulla ninfa Io, che di Zeus fu una delle tante amanti.
Il dio dell’Olimpo, per sfuggire al controllo di sua moglie, tramutò la bella ninfa, con cui ebbe una storia, in una giovenca.
Era, che ben poco si fidava del marito, che per tale aspetto era un poco di buono,
Subito gli chiese quella giovenca in dono,
Per poterla meglio controllare, nascondendola in una spelonca,
Con l’ausilio di Argo, che la poteva vigilare attentamente
Perché avendo cento occhi, mai s’assopiva interamente.
Zeus alla questione non sapeva più come rimediare
Ed allora si rivolse a suo figlio Mercurio, pregandolo di andare lì sul posto, presso la spelonca, per trovare la più giusta soluzione da adottare,

Mercurio memore dell’esperienza che suo figlio Pan aveva avuto tempo addietro,
Quando s’era invaghito di Siringa, una delle ninfe di Diana
Che quando lei scappò, lui gli era corso per così tanto tempo dietro
Che ormai era prossima a raggiungerla, quando Siringa, presso una palude, all’improvviso si tramutò in una canna palustre, ed a quel punto ogni ricerca divenne vana.
Ma di canne palustri nella palude ce n’eran tante,
E tutte eran smosse da un vento travolgente,
Emettendo nel contempo una musica armoniosa.
La storia terminò con Pan che per consolarsi costruì “la siringa” ovvero uno strumento musicale che gli ricordava quella melodia meravigliosa.
Mercurio memore di ciò,
Prese la siringa e suonandola a dovere subito Argo addormentò,
E poi con la sua spada la testa del Gigante tagliò, tanto che Era rimase molto addolorata da quella situazione,
Che morto Argo i suoi cento occhi li distribuì sulle piume del pavone,
L’animale che a Lei sacro diventò …

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Quando mi risvegliai
La voce di Matelda ritrovai,
Che mi esortò ad alzarmi: ero caduto tramortito, come Pietro, Giovanni e Giacomo all’atto della trasfigurazione di Gesù.
“Dov’è Beatrice?”

Chiesi a Matelda, perché dove mi trovavo quasi non lo capivo più.
E lei mi rispose: “Lì ai piedi dell’albero, la vedi?

E vedi anche che intorno ha le sette donne con sette lampade in mano?

E che il resto della processione sta rientrando in cielo?”
Mi girai, e vidi tutto quel che m’era stato narrato …

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“Resterai poco tempo qui nell’Eden, perché molto presto sarai un cittadino del Paradiso, e insieme a me lo verrai a visitare;
Tu quello che stai vedendo e che vedrai, te lo dovrai ricordare, perché quando tornerai sulla terra, a chi vive nel peccato, lo dovrai scrivere e narrare”.
Mi disse Beatrice con un tono soave:
Ed il carro tornai ad osservare …

 

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Vidi che l’uccello sacro a Zeus, l’aquila, che è più veloce del fulmine, calò dall’alto,
Danneggiando il carro che oscillava quasi fosse una nave in mare aperto,
Attaccata dal vento di tempesta.
Era l’allegoria dell’Impero Romano che attaccò la Chiesa, ma ancor di più i Cristiani
Con le sue dure persecuzioni.
Poi vidi una volpe assalire il carro, ma Beatrice la mise in fuga, rimproverandola, con qualche semplice parola, proprio lei che raffigurava la teologia:
Quell’animale invece rappresentava il diffondersi dell’eresia.

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L’aquila scese una seconda volta sul carro per lasciar alcune sue penne,
Ma tal regalo non risultò gradito all’autorità celeste
Che tramite una voce espresse
Per quel dono le proprie condanne.
Era l’allegoria della donazione di Costantino,
A mio parere l’inizio della corruzione della Chiesa, che in essa si manifestò in modo repentino.

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Poi vidi dalla terra aprirsi un varco sotto al carro, dal quale un drago ne uscì prepotente:
Questo demone rappresentava i tanti scismi all’interno della Chiesa, oltre alla nascita di nuove religioni, quale l’islamismo, che finirono per convincere tanta gente.

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Poi avvenne ancora un fatto strano: quel carro si trasformò, e vidi sette teste: sembrava diventato una carretta:
Tre teste con due corni in capo sul timone; e quattro con un solo corno in capo, agli angoli del carro,
Che simboleggiavano i sette peccati capitali.
Il carro era sormontato da una meretrice che raffigurava la Curia Papale corrotta,
Che ben s’intendeva con un Gigante che la proteggeva;
Quest’immagine simboleggiava
La Chiesa che si era posta sotto l’ala protettrice di Filippo il Bello, durante la “cattività avignonese” iniziata con il Papa francese Clemente V°.
Quella meretrice mi guardò con un certo desiderio, ed il Gigante
Che subito capì, la frustò dalla testa ai piedi all’istante
Poi staccò il carro dall’albero e se lo trascinò via per la foresta
Così com’era, ormai discinto
Fino a scomparir dalla mia vista.
Poi non vidi più né la donna né il carro, che nel frattempo si era trasformato in un brutto mostro.