Maria Salviati, l’“artefice” del primo Granduca di Toscana

di Gilda Faleri

Donna di sani principi e moglie devota di un capitano di ventura, Maria Salviati è riuscita a entrare nella storia senza esserne mai protagonista. Maria partorisce un unico figlio che riunisce i due rami della famiglia Medici – Cafaggiolo e Popolano -e che diventerà la sua unica ragione di vita.Figlia del banchiere Jacopo Salviati e di Lucrezia de’ Medici (primogenita del Magnifico), quando ha solo dieci anni, Maria si innamora perdutamente di Giovanni, figlio di Caterina Sforza. La tigre di Forlì – così viene definita Caterina Sforza – lo affida ai genitori di Maria, che lo crescono come un figlio e progettano per i due giovani il matrimonio. Per lei è un colpo di fulmine, lui è riluttante all’idea di sposarsi e ha un carattere irrequieto ed eccessivo, sempre protagonista di scorribande e risse. Il matrimonio viene celebrato quando Maria ha diciassette anni e Giovanni diciotto, e nonostante le grandi differenze caratteriali e di vita tra i due ,l’unione durerà 10 anni, fino alla morte in battaglia di Giovanni. Durante quel periodo, Maria cresce il figlio Cosimo, nome scelto dallo zio, Papa Leone X, al cui servizio si batte il valoroso capitano di ventura Giovanni con il suo esercito. Alla morte del pontefice, in segno di lutto, Giovanni cambia le bande bianche delle insegne e delle divise dei suoi uomini con delle bande nere, da qui l’appellativo Giovanni dalle Bande Nere. La nascita di Cosimo, avvenuta nel 1519, non cambia le abitudini e la vita fatta di eccessi condotta da Giovanni e Maria continua ad aspettarlo e a scrivergli. In una lettera fa presente al marito, senza lamentarsi, che ha mandato 50 lettere senza aver mai ricevuto risposta. Maria rimane vedova a soli 27 anni e, grazie alle sue capacità, al suo carattere fermo e agli appoggi che si crea, riesce, non solo a non risposarsi nonostante le tante pressioni ricevute, ma a vincere la causa contro Lorenzo e Giuliano, figli di Pierfrancesco de’ Medici, per la divisione del patrimonio familiare, che fa assegnare totalmente al figlio. In tutti i dipinti giunti fino ai giorni nostri, Maria è ritratta con abiti tradizionalmente indossati dalle vedove: in nero con un ampio velo bianco. Non vuole risposarsi soprattutto per l’adorato figlio, per evitare le eventuali ingerenze da parte di un patrigno e per poter seguire personalmente la sua educazione. Cosimo viene educato  “alla spada ma anche alla cultura”- soprattutto latino e grandi classici – dalla madre e dal precettore Pierfrancesco Riccio. Maria e Cosimo vivono al Castello del Trebbio, in Mugello, e nonostante i pochi mezzi di sostentamento, conducono una vita di grande dignità. Da Venezia, dove madre e figlio fuggono all’arrivo dei Lanzichenecchi in Mugello, si recano a Roma da un altro Papa Medici: Clemente VII. Maria vuole far presente al pontefice di non dimenticarsi di suo figlio Cosimo.  Per lo stesso motivo, nel 1530, Maria decide di mandare il figlio all’incoronazione di Carlo V, a Bologna, proprio per far sapere all’imperatore del giovane. Dopo l’uccisione del Duca Alessandro ,il Consiglio della Signoria chiede di avere Cosimo come capo, pensando di poterlo manipolare, visti i suoi 17 anni. Cosimo, però, stupisce tutti e in pochi mesi riesce ad assicurarsi il potere assoluto a Firenze. Si sposa con Eleonora di Toledo e Maria, diventata nonna, si occupa dei nipoti, in modo particolare di Bia, nata da una precedente relazione del figlio, che morirà a soli cinque anni, procurando un grande dolore a tutta la famiglia. Maria, donna indipendente e fiera, decide di non usufruire dell’appartamento preparato dal figlio a Palazzo Vecchio e preferisce stare alla Villa di Castello, fuori Firenze, rifiutando persino la provvigione stabilita per lei da Cosimo. Negli anni a venire, sarà sempre amata dai fiorentini e per tutti sarà, non solo la Duchessa Madre, ma la Signora, data la sua grande dignità. Una brutta eredità, che il marito le lascia, è la sifilide che la rende cagionevole negli ultimi anni di vita, portandola alla morte nel 1543.  Un mese dopo la scomparsa, probabilmente su suggerimento di Cosimo, Benedetto Varchi legge un’orazione funebre in memoria di Maria Salviati, all’Accademia Fiorentina: un omaggio inconsueto per una donna, che con dignità e perseveranza è riuscita nel suo obiettivo: costruire la strada al primo Granduca di Firenze.