Nono appuntamento con la Divina Commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi

 

 64 (canto n. 17) (Violenti contro Dio, cioè i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai) (Reginaldo degli Scrovegni)
Luogo – (Settimo Cerchio; Terzo Girone);
Custode- (Minosse);
Categorie – (I Violenti contro Dio, cioè i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai);

Pena – (I bestemmiatori sono immobili e vengono colpiti da una pioggia di fuoco e hanno il volto rivolto a Dio;I sodomiti camminano senza fermarsi sul sabbione ardente e sono colpiti da una pioggia di fuoco; Seduti sull’orlo del sabbione ecolpiti da una pioggia di fuoco, gli usurai);

Contrappasso – (I bestemmiatori in vita scagliarono bestemmie contro Dio: ora sono immobili, colpiti da una pioggia di fuoco e col volto rivolto a Dio; I sodomiti camminano senza fermarsi sul sabbione ardente, e sono colpiti da una pioggia di fuoco; Gli usurai in vita furono mossi dalla sete di denaro che li portò a compiere atti illeciti e di sottomissione di altri: ora sono seduti sull’orlo del sabbione e sono colpiti da una pioggia di fuoco);
Personaggio – (Gerione; Reginaldo degli Scrovegni).

“I violenti contro Dio, tra cui gli usurai,
Dimoravano qui, dove ora eravamo, nel Terzo Girone del Settimo Cerchio, dove presto li vedrai”,
Mi disse Virgilio, mentre io impaurito ero lì stante:
Che di questo particolare contesto ero ben poco competente.

Virgilio incontrò Gerione, il demonio alato ch’era dedito alla custodia del successivo Ottavo Cerchio

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Gerione stava assiso sul ciglio della cascata.
Il suo volto appariva quello di un giusto, però era quello di un demone con fare fraudolento, che solo all’apparenza sembrava offrire rassicurazione,
Nodoso e poco coordinato il suo corpo di serpente, la sua lunga coda terminava con una pinza avvelenata, che pareva uno scorpione.
Bada però mio lettore, io qui ti ho presentato il “mio” Gerione,
In modo difforme dalla mitologica descrizione.
Per motivi collegati alla mia narrazione che non ti starò qui a puntualizzare,
Ma che con la tradizione, un pò si sarebbe andata a scontrare.

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Il mio Gerione emanava un certo fetore dalla sua pelle,
Il suo volto appariva quello di un “umano”, però con il corpo di un serpente.
Le sue due zampe erano pelose, e dotate di un artiglio ben sporgente,
Che arrivava sino alle ascelle,
E con una coda appuntita che arrivava ovunque arrivasse la sua attenta osservazione.
Nella punta abbiamo detto, una pinza velenosa che lo faceva sembrar uno scorpione.

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Il Gerione di cui invece si parlava nella mitologia, e di cui ora diremo,
Era discendente di Medusa, figlio di Crisaore il lampo, e di Calliroe la nube, una ninfa Oceanina, a che nessuno dubiti.
Che aveva la propria dimora nell’isola Erizia, l’isola rossa posta
Nell’Oceano occidentale estremo,
Lì dove il sole, al volgere finale della giornata, va cheto verso il tramonto, lungo la costa.
Pur sempre ben inteso come un mostro anche lì era descritto: come un relitto della peste.
Le sue fattezze erano di tre corpi giganteschi tra loro insieme uniti,
Con il supporto di sei braccia, e di tre teste.

 

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Secondo la narrazione mitologica, che pur si deve ritenere la più ermetica,
Gerione possedeva armenti di giovenche a pelo fulvo, di rara bellezza,
A cui dava da mangiare cibo umano, con gran naturalezza.
E che Euristeo, il fratello di Ercole, l’eroe, a lui richiese di sottrargliele, qual risultato della sua decima fatica.

Tale fatica fu una dei motivi per cui Ercole fu colto da una pazzia voluta da Era,

La moglie di Zeus che mal sopportava i suoi successi,

E gli infuse un gene assai malevolo che si impossessò di lui proprio il primo giorno di primavera.

Le conseguenze di quel gene malevolo furono una serie di eccessi,

Che lo portarono ad uccider con la spada i suoi sei figli,

Da lui scambiati per errore in terribili nemici, durante uno dei suoi tanti abbagli.

Appena Ercole si destò da quel “sogno”, che sogno però non fu, chiese ausilio all’oracolo di Delfi, essendo suo intendimento dar fine alla sua vita, che gli aveva procurato tutti quei guai:

L’oracolo di Delfi dopo averlo ascoltato emise la sua sentenza: “Ercole, recati a Tirinto, a servire il re Euristeo, tuo fratello,

E per dodici anni ordini sol da lui prenderai:

Questo quale pena ti comporta il tuo fardello,

Poi l’immortalità ti verrà donata qual compenso eventuale della tua prolungata faticata”.

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Seguendo il suggerimento di Virgilio, da solo proseguii sull’orlo roccioso,
Dove c’erano gli usurai, che piangevano di rabbia,
E si riparavano con le mani dalle fiamme e dalla rovente sabbia.

Non riconobbi tra i dannati, però nessun di mia conoscenza.
Ognun di loro recava al collo una borsa con lo stemma di famiglia, in quella orribile parvenza,
Solo dalla borsa con una scrofa azzurra in campo bianco,
Riconobbi Reginaldo Degli Scrovegni, un nobile padovano, Guelfo, usuraio di gran vanto,
Il cui figlio Enrico però riabilitò la sua famiglia, facendo costruire in città, la cappella degli Scrovegni.
Mi chiese come altri avevano fatto, e come altri ancora avrebbero fatto successivamente, perché io fossi all’Inferno, pur essendo vivo, invitandomi a non restare lì, quanto piuttosto a curar miei altri impegni.
Quindi Virgilio mi sollecitò, pur essendo io molto timoroso, a salire sul groppone di Gerione,
Per scendere più giù, dove con attenzione quasi deplanò, come si trattasse di un falcone per poi fuggir veloce secondo una sua ragione.
La sensazione fu che ci trovammo nel buio sospesi, con la stessa emozione di Fetonte al comando del carro del Sole, che le frecce di Zeus dovettero incenerire;
O di Icaro, che al sole troppo si avvicinò, restandone bruciato, con le sue ali di cera che al sole si squagliarono, e che nel mare poi lo fecero morire.

 

70 (canto n. 18) (Ruffiani eViscidi seduttori, Adulatori)
Luoghi – (Ottavo Cerchio; Prima e Seconda Bolgia, Malebolge);
Custode – (Gerione);
Categorie – (I Peccatori di frode: Ruffiani per conto di altri e Seduttori per conto di sé stessi; Gli Adulatori);
Pena – (I Ruffiani e i Seduttori corrono nudi, frustati dai diavoli; Gli Adulatori sono sommersi nello sterco);

Contrappasso – (I Ruffiani e i Seduttori in vita hanno soddisfatto i propri piaceri carnali: ora il loro corpo è pieno di piaghe; Gli Adulatori in vita sporcarono la loro morale: ora sono sommersi dallo sterco);
Personaggi – (Venedico Caccianemico, Alessio Interminelli, Taide).
Ci trovammo nell’Ottavo Cerchio, ivi condotti da Gerione,
Nel territorio delle Malebolgie.
Uno sguardo che ricordo, ci spaventò e ci travolse
Apparve come una sgradevole situazione.
La Prima e la Seconda Bolgia era ciò che qui osservammo noi due poeti
Percorsi, a dire il vero, non consueti,
Dove vivevano la loro eterna condanna i fraudolenti verso chi non si fida, i ruffiani,i viscidi seduttori, i lusingatori,
Oltre che una folta schiera di adulatori.

 

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Tutto intorno il paesaggio si presentava in pietra del color del ferro,
Con un baratro a strapiombo, per il quale mi uscì dalla bocca, ritengo per sgomento, un pauroso sussurro.
Al centro del baratro, vedemmo un pozzo assai profondo,
E dieci concentrici fossati, sempre in pietra, che con la parete rocciosa andavano confinando
Sugli “scogli” dei ponti per attraversarli.
Dieci le Malebolge, quanti sono i diversi modi per ingannare il prossimo:
Comportamenti come vedrai caro lettore tutti negativi al massimo.

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Nella Prima Bolgia dell’Ottavo Cerchio, c’eran quei peccatori che nudi procedevano sul fondo, con i loro tremori,
In due file parallele tra loro suddivisi
In opposto tra esse in movimento, e tra loro stessi derisi.
Il margine esterno, era percorso dai ruffiani, che potevamo riconoscere dal viso, e l’altra lungo quello interno, in senso inverso, che andavano però nella nostra stessa direzione, percorsa dai seduttori.
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Procedemmo lungo l’argine, comunque entrambi malinconici.
Riconobbi l’anima dannata, pur se non ancora morta, di Venedico Caccianemico:
Un bolognese procacciator d’amori illeciti, che qui scontava la sua futura condanna
Per aver condotto, in vita, sua sorella Ghisolabella con fogge ben poco meste,
A soddisfar le spensierate voglie del Marchese Òbizzo II° d’Este,
Signore di Ferrara, di Modena e di Reggio: per lui caduta dal cielo come una vera manna.
Mentre il dannato mi parlava un diavolo cornuto, da dietro lo sferzava sulle natiche crudelmente,
E quasi cacciandolo gli ricordava che non era luogo quello in cui pensar a fare delle donne mercanzia, naturalmente.

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Da presso raggiungemmo il punto ove dalla roccia si diparte uno scoglio, cioè un ponte di pietra,
Che univa gli argini tra loro sormontando l’intera Bolgia che da lì sulla sommità meglio si riscontrava.
Ecco i seduttori, anch’essi scudisciati dai diavoli cornuti,
Dove Virgilio intravvide Giasone e alcuni Argonauti, lì spediti.

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Giasone, con astuzia e con coraggio si impossessò dell’aureo vello,
Il manto dorato dell’ariete Crisomallo.
L’eroe aveva sedotto ed ingannato Isifile, di quell’isola la Regina
Dove l’eroe si fermò con i suoi Argonauti, che erano all’incirca una cinquantina.
Per poi innamorarsi subito dopo di quella bella Regina,
Che abbandonò però lasciandola incinta e pur avendole giurato eterna fedeltà, magari mentre era ancora un pò assopito, forse in una tarda mattina.
Due gemelli nacquero successivamente, di nome Deipilo ed Euneo.
Quando Giasone partì, fuggendo quasi fosse per lei un estraneo,
Si manifestò viscido seduttore che non mantenne il proprio impegno.
La stessa cosa,pur se in diversa forma, avvenne tra Giasone e Medea.

Lì invece avvenne che Glauce,della figlia di Creonte il re di Corinto, si invaghì Giasone che fino ad un attimo prima si dichiarava innamorato di Medea:

Ma improvvisamente cambiò idea.

In realtà anche con Medea, Giasone si comportò da viscido seduttore, il che causò l’inevitabile vendetta dell’amata, una volta tradita e abbandonata,

Che attuò per giusta ira e qual sua legittima reazione, una magìa allo scopo ben mirata:

Un vestito alla nuova amante di Giasone ed un altro a suo padre di Glauce lei donò

Che appena vennero indossati una fiamma inestinguibile dalle loro vene furiosa si sprigionò,

Avvolgendoli in un flusso di sangue bollente,

Arsi, che resero sia il padre Creonte

Ma lei soprattutto Glauce, subito morente.

Suadente o seduttore, Giasone alla fine faceva sempre quel che gli parea.
Per questo entrò nel Cerchio dei seduttori, avendo in modo malevolo utilizzato, con Isifile, ed anche con Medea, il proprio perverso ingegno.

 

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Giungemmo lì dove il ponte roccioso si andava a congiungere all’argine della Seconda Bolgia, che si attribuiva
Alle anime dannate degli adulatori,
Che immersi nello sterco si lamentavano e sollevavano rumori,
Soffiando con le loro narici
L’un contro l’altro davvero poco pudichi, colpendosi tra loro anche con le mani,
Senza che ci fossero per loro prospettive di un miglior domani.
Io osservando quei dannati e ne vidi uno, come gli altri  coperto di escrementi:
Lo individuai esser Alessio Interminelli da Lucca, che trovavasi lì per il suo passato di adulatore, che forse più degli altri emetteva lamenti.
Un po’ più avanti ancora, su invito di Virgilio,
Vidi una donna, di nome Taide, sporca e scompigliata,
Che si graffiava con le unghie “merdose” e si chinava sulle sue cosce, tutta in sé stessa raggomitolata.
In vita era stata una donna di facili costumi, altolocata ed adulatrice – cortigiana nell’Eunuchus di Terenzio – che qui si ritrovava non per l’esser stata di facili costumi e quindi peccatrice,
Ma perché di troppo adulatrice.
Quindi sia io che Virgilio impressionati da quella brutta vista, passammo nella Bolgia successiva.