Siena : ‘Giorno del Ricordo’;  intervento del prof. Marcello Flores D’Arcais  in consiglio comunale ,”il fatto di non parlarne, appena vi era la possibilità di nuove conoscenze, ha costituito un errore imperdonabile, che ha alimentato la prosecuzione di polemiche a volte strumentali, e ha soprattutto ritardato che la conoscenza e la consapevolezza collettiva su quegli eventi potesse essere costruita e approfondita”

Il consiglio comunale di Siena, riunitosi oggi in seduta straordinaria  in occasione del “Giorno del Ricordo”, in memoria delle vittime delle Foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, ha ascoltato l’intervento del professor Marcello Flores D’Arcais, docente di Storia comparata e Storia dei diritti umani all’Università di Siena. “Tutte le leggi memoriali – forse perché istituite a oltre mezzo secolo di distanza dai fatti che richiamavano – sono state a volte oggetto di polemiche- ha ricordato -, oltre che dell’ovvio dibattito storiografico che inevitabilmente, e fortunatamente, continua offrire nuovi spunti interpretativi, nuova documentazione, narrazioni più incisive. L’oggetto storico alla base del Giorno del Ricordo – le foibe e l’esodo istriano-dalmata – ha avuto un tasso polemico probabilmente maggiore perché si è trattato di un evento che, per la stragrande maggioranza degli italiani, è stato conosciuto e approfondito solo abbastanza di recente. Anche la Shoah, del resto, che è stata alla base della legge memoriale che ha preceduto di quasi quattro anni quella che celebriamo oggi, ha avuto la possibilità di essere conosciuta a livello di massa soltanto alla fine degli anni ’70, grazie al fiorire di memorie, diari, racconti, studi storici ma soprattutto di un serial televisivo, Holocaust, mandato in onda negli Stati Uniti nel 1978 e subito dopo anche in Italia e Germania. Ancora oggi io sono convinto – come lo sono per ogni evento storico, grandioso o tragico esso sia – che proprio il fatto di non parlarne, appena vi era la possibilità di nuove conoscenze, ha costituito – ha sottolineato – un errore imperdonabile, che ha alimentato la prosecuzione di polemiche a volte strumentali, e ha soprattutto ritardato che la conoscenza e la consapevolezza collettiva su quegli eventi potesse essere costruita e approfondita”. Il professore ha poi riassunto il ‘retroterra’ di questa tragedia: “il contesto è quello della seconda guerra mondiale, e in modo particolare di territori  che l’Italia possiede dagli anni successivi alla prima guerra mondiale: territori che hanno visto, durante il fascismo, un’opera forzata di snazionalizzazione delle minoranze slovene e croate, di violenza contro di loro, a partire dall’incendio del Narodni Dom nel luglio 1920 e fino alle condanne a morte da parte del Tribunale special fascista (delle 31 condanne a morte eseguite ben 26 riguardavano cittadini italiani di lingua slovena o croata). Nella guerra l’Italia fascista partecipò da subito, nell’aprile 1941, all’invasione del Regno di Jugoslavia, annettendosi la provincia di Lubiana e ampliando le provincie di Fiume e della Dalmazia e operando con forme di violenza che colpirono spesso i civili tra il 1941 e il 1943, come indicava la circolare 3C del generale Roatta del 1° marzo 1942, secondo cui “tutti devono essere considerati nemici”, “non si devono fare prigionieri”, il trattamento “non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente, ma bensì da quella ‘testa per dente’.Questo è il retroterra, di guerra e violenza, che costituisce un contesto che non va dimenticato, ancora poco conosciuto, che il Presidente Mattarella ha sempre voluto ricordare, ma che non può in ogni modo essere considerato come giustificazione per le violenze che hanno luogo in Istria nel settembre 1943, nei giorni immediatamente successivi alla firma dell’armistizio dell’8 settembre”. Quanto alle «foibe istriane» che riguardano un massacro che ha luogo mentre si combatte la prima grande battaglia partigiana, quella di Gorizia, e che riguarda l’intera penisola istriana”,il relatore ha rammentato che “le vittime di queste prime foibe sono gerarchi e funzionari civili e militari dell’amministrazione fascista, ma anche possidenti e notabili, chiunque rappresenti agli occhi degli insorti la minoranza italiana che ha dominato sulla maggioranza slovena e croata dell’Istria. L’insurrezione è, inizialmente, largamente spontanea, accanto a reparti di partigiani jugoslavi vi è la violenza dei contadini contro i proprietari terrieri italiani. Diverso il caso delle foibe triestine, che sono il luogo di uccisioni e massacri compiuti dall’esercito di liberazione jugoslavo nel maggio 1945, che è giunto per prima a liberare Trieste e dintorni dalle truppe nazifasciste e che pratica un’intensa violenza prima che gli accordi con le truppe alleate firmati a Belgrado il 9 giugno congelino la situazione in attesa del trattato del settembre 1947”.La scelta della repressione è politica, anche se inevitabilmente colpisce esclusivamente gli italiani, verso cui sono in molti, nell’esercito di liberazione jugoslavo, a nutrire un’ostilità che non è soltanto politica ma anche nazionale. La discriminante di fondo, però, è l’accettazione o il rifiuto del nuovo potere che i partigiani di Tito vogliono imporre. Tra le vittime delle foibe troviamo non soltanto aguzzini fascisti che hanno collaborato con le autorità naziste di occupazione ma membri della Guardia di Finanza che hanno partecipato all’insurrezione antitedesca e addirittura membri del Corpo volontari della libertà e membri del Comitati di liberazione nazionale triestino.Il simbolo indiscusso delle stragi del maggio 1945, delle foibe giuliane, è la foiba di Basovizza, che si trova vicino al poligono militare dove nel 1930 erano stati giustiziati quattro sloveni condannati a morte dal Tribunale speciale fascista. Qui, dove già erano stati gettati i cadaveri dei tedeschi durante l’insurrezione, il tribunale militare della IV armata jugoslava condanna circa 500 persone, che verranno fucilate e gettate nella vecchia miniera di carbone abbandonata. I tentativi di recuperare i corpi nel dopoguerra falliranno, per la grande mole di detriti presenti, di carcasse di animali, di munizioni inesplose. Supposizioni basate sulla profondità fanno salire il numero dei possibili infoibati di Basovizza a 1500 e poi addirittura a 2500, in una guerra di numeri che soltanto gli studi successivi proverà a sciogliere: e che individuerà in circa 3000-35000 vittime gli uccisi nelle foibe giuliane nel maggio 1945”. Secondo il professore “la violenza delle foibe non va confusa con una violenza diversa, che ha luogo due-tre anni dopo e che riguarda l’esodo cui furono spinti e spesso costretti centinaia di migliaia di abitanti dell’Istria e della Dalmazia, in gran parte italiani ma spesso che si autodefinivano soltanto come istriani e che parlavano soltanto il dialetto istro-veneto. Chi fugge lo fa perché non vuole vivere in un regime totalitario che si mostra sempre più dittatoriale, che discrimina le minoranze linguistiche e nazionali malgrado una parità formale sul terreno legislativo e le considera non affidabili e inclini a divenire «nemiche del popolo». Nel censimento del 1947, fatto in seguito al trattato di pace, l’opzione per la cittadinanza italiana diventa più numerosa del numero degli italiani, segno di una volontà di fuggire dal paese, che le autorità jugoslave cercheranno di impedire con complicazioni burocratiche e a volte con la violenza. Il dramma dell’esodo non fu solo dover abbandonare terre e averi dove si era vissuti per generazioni, ma anche quello – ha concluso -di un’accoglienza ambigua e spesso ostile nell’Italia che cercava di ricostruirsi dalle distruzioni della guerra”.