Da questa domenica cominciamo a pubblicare a puntate settimanali una “rivisitazione” personale di Piero Strocchi, poeta romano contemporaneo a tempo perso ma neanche tanto, della Divina Commedia di Dante in occasione dei 700 anni dalla sua morte (1321). Cominciamo dall’Inferno dove ha aggiunto un canto, il 35°, per mettere in evidenza alcuni difetti della società attuale

COMOEDIA VITAE –  NARRAZIONE POETICA CHE SI RIFA’ ALLA DIVINA COMMEDIA

PREMESSA DELL’AUTORE


Senza aver la pretesa di far al sommo poeta il pelo o il contro pelo,
Con il massimo rispetto, ardito mi presento,
Al semplice compimento
Di una narrazione poetica di molto articolata,
Avendola a modo mio per altro anche trattata.
Da Dante venne intitolata “La Commedia”, che poi il Boccaccio opportunamente nominò “Divina” prima della metà del 1300.
L’Autore quest’opera rivista l’ha intitolata “Comoedia vitae”, trattando di comportamenti tenuti dall’uomo, nel corso della vita, e l’ha narrata come un insieme di scene teatrali.
In tre parti anche l’Autore l’ha suddivisa, così come già aveva fatto il sommo poeta.
Più leggera quest’ode narrata ai nostri tempi forse meglio s’adatta, con qualche chiarimento in più, con qualche rivisitazione e qualche personale interpretazione.

Pur rifacendosi al testo originario non deve però considerarsi di ogni dettaglio una completa rievocazione.
I personaggi danteschi in modo più esteso vengono talvolta narrati, facendo riferimento al contesto storico, alle caratteristiche comportamentali ed alleprevalenti occupazioni.
Nella Cantica dell’Inferno dall’Autore rivisitata, ma anche nelle successive, Dante si esprime in prima persona e talvolta dall’Autore vien detto: “il sommo”.
Virgilio, la sua “guida spirituale” all’Inferno ed al Purgatorio, indifferentemente vien citato come “Maestro”, “guida”, oppur come “poeta”.
In qualche circostanza, entrambi vengono indicati genericamente “poeti”.
Virgilio è un’anima del Limbo, luogo che troveremo all’inizio dell’Inferno.
L’anima di Virgilio presenta un’importante caratteristica: quella di poter leggere nella mente di Dante,
Di leggere i suoi pensieri, di interpretare i suoi desideri e le sue volontà in maniera si può dir costante.
Dante invece è una persona viva, quindi con un’anima ed un corpo, e ciò crea molto interesse nelle anime dannate dell’Inferno, e poi nel Purgatorio anche alle anime penitenti.
Nella Cantica dell’Inferno, finale ed aggiuntivo è il Canto n. 35 – inesistente nella stesura dantesca – in cui l’Autore, che lo ha formulato, in esso traspone alcune attuali realtà,
Mettendo in evidenza alcuni difetti della società.
Le anime dannate dell’Inferno, presentano qualche caratteristica rilevante:
Ad esempio quella di saper leggere, almeno talvolta, il futuro più lontano, e di ciò farne menzione a Dante.
Altra loro caratteristica è il rimpianto del passato,
Ed il cercare di convincere Dante, al suo ritorno tra i vivi, di trovar parole giuste per il loro colpevole operato, che all’Inferno hanno quasi sempre rinnegato.
Doverosa qualche parola a motivar l’origine, e l’ubicazione dell’Inferno,
Ove le anime dannate dei peggiori peccatori, lì dimoreranno per l’eterno.
Presso la città di Gerusalemme, trovasi l’ingresso dell’Inferno,
Luogo equidistante tra le foci del fiume Gange e le colonne d’Ercole.
È una voragine sorta dalla caduta di Lucifero, l’angelo superbo, l’espressione del male irragionevole, che per il suo agire ricevette quella dura punizione per l’eterno.
Dell’Inferno ne è il re, Lucifero, l’angelo che era tra tutti il più splendente,
Ma che ebbe l’ardire di voler usurpare il dominio del Dio onnipotente.
Trentaquattro abbiamo detto, sono i Canti originari dell’Inferno.
Della Commedia non si ha traccia della sua stesura originale, ma è noto che è stata ideata e probabilmente scritta da Dante in due periodi: tra il 1300 ed il 1302 il primo, per i primi sette canti; e dal 1307 al 1318 il secondo, per tutto il resto.
Nel 1321, a Ravenna Dante morì di malaria all’età di 55 anni.
I personaggi dell’Inferno vengono descritti talvolta in modo più diffuso,
Dando a volte spazio agli aspetti storici, politici o comportamentali, chiave di lettura di un’epoca, affinché al lettore nessun approfondimento venga precluso.

 


INIZIO DELLA NARRAZIONE POETICA

 

01 (canto n. 1) (Premessa di Dante; Incontro con Virgilio)
Io son Dante Alighieri, e son nato in Firenze nel 1265, almen che la memoria non mi tradisca.
Fui sempre dedito alla scrittura, e dal successo che ricevetti dopo aver abbandonato la mia vita terrena, credo ancor meglio si capisca.
Ho iniziato la mia opera più famosa, “La Commedia”, nel 1300 all’età di trentacinque anni.
I primi sette canti da me furono composti ch’ero ancora nella mia città, a Firenze,
Mentre tutti gli altri li scrissi ch’ero ormai esule, girovagando per corti ed altre mie personali conoscenze.
Per completar la mia “Commedia”, ho impiegato circa undici anni ancora: anni di spostamenti, di solitudine e di affanni,
Essendo stato, appunto – dopo due anni dal 1300 –  esiliato dalla mia città.

Di baratteria, di frode, di falsità, di dolo, di malizia, per inique pratiche estortive, per proventi illeciti, per pederastia ed affarismo venni accusato ingiustamente,
Non potendo quindi più metter piede lì dove la mia terra mi aveva visto nascere precedentemente.
So anche quando, il 14 settembre 1321- ma non chiedetemi come mai già io già lo sappia – attraversando le paludose Valli di Comacchio, contrassi la malaria, e la sua conseguente tosse irruenta,
Che mi troncherà la vita, al rientro da una “Serenissima ambasciata”,
Mentre ero ormai da tre anni a Ravenna presso Guido Novello da Polenta:
Dopo Firenze per me Ravenna fu la città più amata.
Nel mentre l’opera la cui stesura nel 1307 avevo ripresa,l’avevo ormai terminata.
Ora finalmente, ecco la Commedia che dopo queste mie precisazioni, vi verrò a narrare,
Cercando, tra le tante cose che vi voglio dire, di non dimenticare alcun particolare.
M’ero appena sopito,
Che poco dopo mi risvegliai parecchio impaurito.
In quel mio cammino nell’oscura selva,

Rimasi confuso, perché avevo perso la retta via

Non sapendo com’ero lì finito.
In realtà stavo scalando il monte della speranza,
Che la felicità terrena rappresenta,
E nel corso di questa scalata feci l’incontro con più di una belva:
Il leopardo, cioè la lonza, il leone, ed infine la lupa,
Di cui peraltro un pò mi lamento:
Che mi impedirono di compiere il mio desiderato percorso in quella giornata davvero cupa.
Le tre belve narrate, altro non erano che allegorie della vita, che ora vi presento.
Il leopardo la lussuria del mondo rappresentava;
Il leone era il potere, cioè l’ambizione che sempre più l’uomo va cercando;
La lupa invece l’avarizia e la voglia smisurata dell’avere, cioè la cupidigia,
Forse tra le vanità dell’uomo la più malvagia.
Tutti questi animali mi sbarrarono il percorso

Ma soprattutto la lupa che mi appariva così famelica che temevo mi potesse all’improvviso attaccare,  

Tanto che impaurito a ritroso finii rotolando.