Diciassettesimo e ultimo appuntamento con la divina Commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi

174 (canto n. 35) (Nuovi miti e tendenze di comportamenti negativi)
(Considerazioni conclusive dell’Autore)

Dante in quest’opera poderosa,
A volte divertente e a volte spaventosa,
Ha narrato le peggiori storie dei suoi tempi:
Di malviventi, di persone negative, di fatti e malefatte, con i conseguenti travagli, ed i loro successivi lamenti.
Nella nostra Società molte cose, rispetto ad allora non son cambiate,
Semmai si sono aggiunte figure ancor più negative, oppure atteggiamenti ancor più violenti: ma talvolta anche figure un pò più scanzonate.
Il modesto Autore di quest’opera rivista, ne farà cenno in questo canto aggiuntivo,
Previsto proprio per questa specifica esigenza,
In cui si parlerà degli odierni miti, e degli attuali negativi comportamenti, però senza
Dimenticare che la storia e le attuali tradizioni provengono comunque da lontano,
E farne la miglior sintesi, dovrebbe essere il nostro obiettivo quotidiano …
Abbiamo sin qui visto come Dante, nell’Inferno abbia trovato, per ogni peccatore meritevole dell’Inferno, la sua collocazione,
Meditando sui singoli comportamenti e sulle relative conseguenze.
Utilizzando talvolta l’istinto, e più spesso la ragione,
Alloggiando ogni dannato nel Cerchio o nella Bolgia o nei Gironi, lì dove gli appare meglio destinato.
Dante ha scritto il suo capolavoro senza il timore d’essere ripreso dalla Sacra Inquisizione, dalla censura, o dalla pubblica opinione, o da qualche giudice contrario, oppur dal dubbio sentendosi tormentato,
Da solo esaminando tutte le istanze ed abbracciando tutte le competenze.

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L’Autore ahimè non ha tra le sue mani una serie di peccatori da mandar negli Inferi, qui o là,
E allora ha scelto – in questo aggiuntivo Canto – di concedere al lettore una diversa opportunità:
Ha ritenuto di dover fare qualche riflessione sui principali difetti della nostra Società,
Che ognuno potrebbe già da solo migliorare: ma chissà se ciò mai avverrà …

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Se ci guardiamo attorno,
Certamente non ci sfugge,
Che l’epoca in cui viviamo, dai miti antichi ormai rifugge,
Non riconoscendoli più né propri, né tanto meno adatti,
Considerandoli piuttosto misteriosi nella loro comprensione, e superati anche nei fatti.
Per questo sono stati scelti nuovi valori, o per meglio dire “dis-valori”, nuove tendenza di comportamenti negativi, nuovi punti di riferimento, che l’Autore ha chiamato, forse non dando loro neanche la giusta definizione: “nuovi Miti”.
Vista la loro capacità,
Di ispirare i comportamenti, soprattutto quelli negativi, di tutta o di una parte dell’umanità.

 

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(Ricchezza)
Il primo mito, nel nostro tempo, anche di troppo riverito, è la Ricchezza:
Primario obiettivo ed assoluta comune certezza,
Figlia di Re Mida e di Opulenza,
Della quale tutti noi sembra che non possiamo farne più senza.
A proposito del re Mida, per meglio comprendere gli effetti devastanti del nostro smodato desiderio di ricchezza,

E della sua conseguente pericolosa ebbrezza,

Dedichiamo un po’ di tempo a questa narrazione,

E da essa almeno traiamone la conseguente ammonizione.

Il re Mida, era il re della Frigia, ed era ingordo non poco di ricchezza,

E a cagion della sua richiesta di poter tramutare in oro tutto ciò che intorno a lui esista,

Fatta al dio Bacco, e da lui ritenuta una gran conquista,

Si ritrovò anche col cibo tramutato in oro, oltre a tutto il resto:

Che nulla poteva più mangiare o bere,

E che quindi non poteva più goder di quel piacere e di quell’ebbrezza.

Sbagliato in realtà s’era di grosso,

In quanto il re Mida nulla di tutto ciò aveva previsto

E soprattutto sulle negative conseguenze che quella sua richiesta si sarebbe portata appresso,

Oltre ai materiali benefici quelli sì, evidenti piuttosto.

Rischiava seriamente di morir di fame oppur di sete, il nostro Mida,

Che per poter risolvere questo suo gran problema, solo nel buon cuore di Bacco or confida,

Chiedendogli deferente di tornare a ritroso nei suoi passi,

A che quegli effetti negativi addosso gli fossero subito rimossi.

Fornisce lezione assai importante

Questa storia che la mitologia spesso ci pone evidente:

Non occorre esagerar nelle richieste

Quanto invece mantener giusto profilo sempre dovreste …
Se al tempo di Dante ora ci trovassimo, dovendo sceglier giusta punizione

Per i desiderosi smodati di ricchezza, o come allora si diceva, trovar per loro il giusto contrappasso,

Minosse o il re degli Inferi questa sentenza avrebbe certamente espresso,

Senza neanche aver timore di riceverne disapprovazione.

Quelle anime dannate si sarebbero trovate a camminare una per volta, sul “Ripiano” a loro assegnato,

Dove il pavimento e le pareti apparivano in oro massiccio e luccicante:

Pur se all’improvviso, senza alcun avvertimento, quell’oro si andava rapidamente sgretolando, trasformandosi in un liquido bollente.

E quelle anime dannate di conseguenza cadevano giù nelle grotte degli inferi più profondi, come cadrebbe un sacco dall’alto lì gettato,

Dalle quali quelle anime dannate non sarebbero più potute risalire,

Restando naturalmente in eterno, lì a soffrire !!!

 

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(Furbizia)
La Furbizia è il secondo mito che si è infiltrato,
Insieme all’inganno al posto dell’intelligenza,
Peraltro a ciò non certo autorizzato.
Inconsapevole dell’enorme differenza che intercorre,
Tra lei la Furbizia, figlia di un Venditore scaltro e di una Mente ben programmata,
E l’altra – l’Intelligenza – invece di ben più elevato lignaggio,
Tanto da restar di molto ammirati al suo passaggio,
Perché di origine divina, e di foggia assai leggiadra.
Se avessimo la necessità di portare un esempio per spiegare la furbizia,

Ci potremmo riferire ad una narrazione su Cleopatra, che ci ha tramandato Plinio il Vecchio, con dovizia di particolari ed anche con un pizzico di malizia.

La perla nell’aceto in quel bicchiere, ci finì per via di una scommessa,

Ma fu Cleopatra ad avercela messa.

Marco Antonio quella volta fu il perdente,

Vincendo la furbizia e la conoscenza della bella pitonessa dal linguaggio avvolgente.

Fu solo una gradevole novella, oppure si trattò di un fatto vero?

Plinio il Vecchio ci narrò quella storia nel dettaglio,

Ed almeno che non fosse uno storico sbaglio,

Saremmo orientati a dargli credito davvero.

Milioni di sesterzi era il valore della perla di Cleopatra, dentro al bicchiere ormai squagliata

Nell’aceto, e da lei sorseggiata con aromi e con sapori ritenuti controversi.

La scommessa venne fatta per quel dire di Cleopatra, indiscussa maestra di persuasione oratoria,

Di voler organizzare proprio quella sera, il “banchetto della storia”,

Il più originale e il più costoso,

Come mai era stato fatto neanche guardandosi a ritroso.

Alla regina solamente un brodo in tazza, con l’aceto poco concentrato,

Quella sera a quel convivio le venne riservato.

L’orecchino con la perla Cleopatra si sfilò dal proprio orecchio,

Nella tazza poi sciogliendosi di subito parecchio.

Cleopatra peraltro agì con molta eleganza

Senza mettere in quel gesto stravagante nessuna tracotanza.

Quella tazza lentamente bevendola trangugiò,

Che quanto fosse buona, questo certo io di certo non lo so.

Milioni di sesterzi abbiamo detto, il valore di quella perla

Un insulto alla ricchezza sarebbe più che giusto definirla,

Fu il costo esorbitante della cena.

Quel suo desiderio era stato pienamente realizzato

A dire il vero … pur con poca pena …

Ma cerchiamo di capire se potesse esser veritiero, il realizzar quella scommessa,

Oppure se per intero storia inventata fosse.

L’effetto chimico in questo caso non può di certo esser trascurato:

L’acido acetico, ove poco concentrato,

Oppone reazione in modo netto al carbonato,

Realizzando una mistura a base d’acqua, anidride, e calcio acetato.

Nei fatti venne quindi neutralizzato

L’acido acetico dal carbonato di calcio.

Quel particolare “brodo” ad arte sistemato risultò bevibile, forse anche di buon gusto, forse leggermente acido,

E quindi il suo sapore al gusto fu di scarso intralcio.

L’evento apparve quindi veritiero,

Al giudizio prolungato della storia.

Di regine così ricche e assai sapienti,

Non abbiamo certamente la memoria.

La perla altresì essendo stata in precedenza,

Con furbizia e con sapienza dalle mani esperte di Cleopatra opportunamente “ammorbidita”,

Si squagliò docilmente, in breve tempo.

Forse già da quando la regina, astutamente,

La manteneva ancor tra le sue dita.

La furbizia di una donna si suol dir che non si batta:

Cleopatra tossicologa provetta,

Ben sapendo quel che faceva

Propose la scommessa, e Marco Antonio

Impropriamente le ribatte, lui parlando di qualcosa

Che in realtà forse per nulla conosceva !!!

Come spesso gli avveniva con Cleopatra, Marco Aurelio quella volta perse la scommessa:

Che di certo in questo modo, col suo fare ardimentoso ed orgoglioso, non tradiva di sicuro mai sé stessa !!!

Questo della perla di Cleopatra

Vien portato quale esempio

Di un gesto comunque fraudolento,

Pur se compiuto con fare molto intelligente,

Sommando alla furbizia la conoscenza tipica del sapiente.

Però non sempre la furbizia presenta tale dote: spesso invece è assai più grezza:

Chi subisce un atto di furbizia, resta spesso assai colpito dalla sua sgradevolezza …

Le anime dannate dei furbi, hanno quale inevitabile destinazione l’Inferno,

Con la loro collocazione lì, per l’eterno.

Però anelano fuggire da quel posto maledetto, per recarsi verso il Purgatorio,

Seguendo vie traverse, come nella loro indole, magari pensando di non farsi notare, quasi con un far beffeggiatorio.

Ma i loro piedi che risultano eternamente insaponati, scivolano sempre a terra, e quando provano a salire quelle scale, anche sol per arrivare ad un “Ripiano” soprastante,

Si rendono conto che mai potranno arrivare in Purgatorio, giustamente da esse ritenuto un luogo per loro meno gravoso e più gratificante.

 

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(Arroganza e Prepotenza)
Il terzo mito è l’Arroganza, insieme a sua sorella, Prepotenza,
Inedite ed improprie mescolanze di atteggiamenti spocchiosi, di superbia, e di supponenza.
Figlie di Presuntuoso e di Irrisione,
Appaiono in realtà sconvenienti in ogni situazione.

Qui si porta ad esempio di arroganza e prepotenza il fare del cucùlo, ed il suo atteggiamento verso chi gli sta attorno,

Senza che per nulla si preoccupi né della loro sorte, né del loro soggiorno.

Mandando a morire i suoi “fratelli”,

Come se per lui fossero inutili fardelli.

L’arroganza e la prepotenza del cucùlo superano ogni limite ragionevole,

Ognun di noi avendo ben presente il suo riconoscibile ed incisivo intercalare,

Però ben poco sa del suo aggressivo agire:

Piuttosto che covare e prendersi cura della propria prole,

Senza per nulla lavorare

Al proprio nido, i genitori del cucùlo abbandonano le uova da covare,

All’interno di altri nidi, in modo che la cova venga effettuata da altre diverse femmine pennute.

Quindi a covare quelle uova, in propria vece, inconsapevoli, vi provvederanno forse anche dei maschi, ma certamente delle femmine “sostitute”.

Peggiore ancora è l’atteggiamento del cucciolo di cucùlo, che all’atto della dischiusa

Di quelle grandi uova, con sfacciata baldanza,

Fa esplodere la sua innata arroganza e prepotenza.

La sua riproduzione essendosi ormai conclusa,

Col suo adunco becco ed il suo muso lungo dai tratti pronunciati,

Elimina dal proprio nido i legittimi abitanti e proprietari, che a seguito del suo temerario e mortale attacco,

Precipiteranno in fondo al burrone, senza aver nessuna possibilità di essere salvati.

Quanto detto per il cucùlo, si può manifestare parimenti per l’uomo arrogante e prepotente,

Che come spesso avviene, tiene ben poco conto di quel che gli è circostante.

All’Inferno, ove sono destinate per l’eternità le anime dannate degli arroganti e dei prepotenti,

Esse chiederanno a tutte le altre anime dannate lì presenti, opere di cortesia e di disponibilità a loro beneficio, con voce sempre più elevata, ma con toni inizialmente deferenti.

E poi urleranno nel caso a squarciagola, fino a perder la loro voce, ma nessuna di quelle anime, qual contrappasso, ormai senza più orecchie, potrà prestar loro ascolto,

Finché perderanno la voce, nel giorno del Giudizio Universale, in cui ogni loro desiderio verrà definitivamente travolto.


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(Colpevole Ignoranza)
L’Arroganza talvolta è preceduta
Dal quarto mito, la Colpevole Ignoranza,
Indiscussa e moderna portatrice di “non cultura”,
Quando il non sapere assume addirittura notevole importanza,
E diviene proprio una scelta, ed un valore frequentemente espresso anche dalla maggioranza.
Figlia di Non Sapere e di una Ninfa indiscreta,
L’Ignoranza ha assunto sempre maggior rilievo in quanto
È troppo spesso colpevole presenza, nel nostro quotidiano per giunta essendo ben poco discreta.

Anche perché una dotta ignoranza non esiste:

E’ soltanto una frase sfilacciata che subito svanisce.

Non può atteggiarsi a colto, chi colto almeno un poco non lo sia,

Del resto ci sarà pure una differenza tra lo champagne e la malvasia …

La contraddizione qui risulta evidente:

Sarà pur vero che talvolta vien portato in trionfo l’ignorante, il saccente, per giunta magari anche parecchio prepotente,

Ma se impieghiamo bene le parole, con tono equilibrato, e giusta pacatezza,

Condite dalla necessaria autorevolezza,

Piazzando qua e là qualche dialettico tranello,

Non consentiremo alcuna obiezione pertinente … all’ignorante, ed a chi lo ascolta suonerà al suo orecchio più di un campanello !!!

Nell’Inferno le anime dannate degli ignoranti bramano un sapere di cui, nel corso della vita hanno espressamente scelto di non voler godere.

Fanno alle altre anime dannate

Molteplici domande, per aver da loro risposte sapienti.

Sono anime angosciate dal desiderio di sapere

Ma le loro menti non essendo abituate, non riescono a trattenere

Nulla di quell’ipotetico sapere che pur dicono di voler apprendere …

 

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(Violenza)
Il quinto mito – a cui Dante nella sua opera, a dire il vero s’è molto dedicato – è la Violenza:
Contro i più deboli, gli anziani, le donne, i bambini,
Contro i diversi, i poveri e gli immigrati più lontani o più vicini:
Che se affiancata alla Furbizia, all’Arroganza ed alla colpevole Ignoranza,
Può condurre a forme ancor più pericolose della semplice violenza.
Sono pur sempre atti di violenza le truffe contro le persone più semplici, contro gli ingenui e gli ignoranti, nonché le truffe commerciali,
Le bugie, le costrizioni, le imposizioni, gli atti compiuti con disonore contro gli anziani ed i malati,
E contro i diversamente abili,
Contro coloro che non ci sembrano normali,
Perché non rientrano in canoni peraltro mai codificati.
La Violenza è Figlia di Mano Pesante e di Prepotenza
Congegnata ad accender la miccia dei contrasti, impiegando la forza bruta, senza star lì a perder tempo:
È la negazione della buona creanza,
Ed è spesso organizzata secondo un cliché di antico stampo.

Qui accenneremo brevemente del bullismo e del femminicidio.

Il bullismo è una prepotenza pura

Con la quale si mette alla berlina

Una ragazza od un ragazzo, una donna o comunque una persona,

Spogliandola con violenza e crudeltà,

Dei propri timori, timidezze ed incertezze,

Comportandosi da duro,

E da un branco di meschini figuri ben protetto.

Il bullismo è un insieme di violenze assai dannose,

Sia nelle sue manifestazioni meno marcate,

Che in quelle più pericolose,

O in quelle più determinate.

E’ una morsa che ti stringe, magari fin da quando sei bambino:

Soprattutto se la tua indole è tranquilla.

Inizia a scuola, troppo spesso il bullismo:

Il bambino docile e sereno, che nulla riesce ad impedire,

Proprio in ragione dell’agir dei suoi coetanei e del loro amaro sarcasmo,

Si trova costretto a subire ciò che non vorrebbe mai subire.

Il ricatto, l’irrisione, le prepotenze, gli spintoni e il dileggio

Sono le forme più frequenti e manifeste di quell’inammissibile atteggiamento, dal quale non riesce a trovar rifugio.

Consuma la sicurezza a quel bambino,

Il bullo che gli si è messo vicino,

E l’insicurezza conseguente

Spesso quel bimbo se la porterà dietro per troppi anni del suo cammino,

E contro la quale pare non riesca a fare niente.

Ma il bullismo può essere ancora più violento,

Quando i ragazzi, non più bambini, né più adolescenti

Si uniscono in gruppo, formando un branco

Perché stando l’un l’altro a fianco,

Si sentono meno responsabili dei propri spregevoli comportamenti.

Spesso eccedendo, con grave danno, su una ragazza, un emigrato, un senza tetto,

Un diversamente abile, un omosessuale, oppure contro una persona troppo magra, troppo grassa, troppo mora o troppo bionda, o troppo bianca o troppo nera, insomma cogliendo qualsiasi pretesto ed agendo nei suoi confronti nel modo più cruento,

Sino magari all’eccesso estremo di procurare la sua morte,

Facendosi l’un con l’altro sempre più forte.

Ma quando l’irreparabile è stato ormai fatto,

Ovvero un nuovo stupro ancora è avvenuto, o un nuovo omicidio ne è il risultato,

Oppure ancora quando il barbone o lo straniero è stato massacrato,

Hai voglia a dire che gli autori erano dei disadattati, oppure che è la conseguenza del comportamento di qualche matto …

Dopo si piange:

Piange la famiglia di chi quei danni li ha causati,

Forse piange anche – ma più di qualche volta son lacrime di coccodrillo – chi ha ammazzato …

Ma ormai ciò che è fatto è fatto: in bocca resta il dolore ed anche l’amaro,

Perché a quel grave danno ormai non c’è più riparo,

C’è solo la condanna di una lenta giustizia:

Ma dopo un po’ la cosa rischia di non fare più notizia …

In quel gruppo dietro cui si nasconde, il bullo

Ride in faccia forse a volte anche in modo sfrontato

Alla vittima sfortunata dopo avergli rovinato la vita, o dopo averlo magari addirittura ammazzato.

Sottraendogli prima la dignità e poi forse anche la vita: frequente attività di un cervello malato, di un cervello bullo …

Il femminicida è chi squarcia la vita di una donna, che vorrebbe a sé obbligata

E ad una sola direzione orientata,

Reclusa, alla quale ha sottratto il suo pensiero, la parola, la sua capacità di amare,

La sua stessa voglia di fare:

Quella donna, vittima predestinata di un ingrato destino, ormai segnato,

Che la porterà a morir sul campo, in un momento sconosciuto.

Mai si saprà se alla sera od al mattino,

Per mano di quel folle da Lei sin troppo bene conosciuto.

Eroina fuori dal tempo, per coraggio o codardia,

Si sente in gabbia, con la chiave purtroppo già buttata via,

Essendo stato troppo il tempo ormai passato,

Che ogni suo lamento risulta sempre più vanificato.

L’orgoglio è andato perso,

Lo stesso istinto di sopravvivenza

Sembra non aver più la propria identità, in questa circostanzapurtroppo non ci sarà scampo: si tratterà di una vera mattanza …

Qualsiasi tipo di violento finirà all’Inferno per l’eternità,

Dove quelle anime dannate verranno tramutate in grandi arbusti ed alte erbe velenose ,che il loro Ripiano ne presenta in grande quantità:

Con dolori allucinanti e piaghe fin nel profondo delle loro radici, quegli arbusti e quelle erbe velenose si dimenano e si rotolano sul terreno dell’Inferno, infetto e che emana un nauseabondo lezzo, ognuno per proprio conto, e quindi scontrandosi tra loro, senza seguir nessun comune orientamento, fino a consumarsi per intero, dando luogo ad uno spettacolo che fa ribrezzo !!!

Piangenti richiedono alle altre anime dannate anch’esse nella loro stessa situazione, con le loro voci nascoste tra gli arbusti e tra le erbe, senza un plausibile motivo, un impossibile perdono per tutto ciò che hanno compiuto in vita ,ovviamente senza ricever dalle altre anime dannate, anch’esse colpevoli come loro, alcuna risposta.

 

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Limitata resta la lista qui riferita ai peccati della nostra Società,
Vien da chiedersi: con gli attuali peccatori, come si sarebbe regolato Dante ?
Ci sarebbe andato con mano più leggera o più pesante ?
Comunque Dante oltre settecento anni fa, la strada maestra l’aveva già indicata, nella sua cantica dell’Inferno, in buona parte dei suoi trentaquattro Canti,
E ce ne riparlerà, se necessario, ed in diversa forma, anche nel Purgatorio:
Perché il mondo della sua epoca è stato il suo osservatorio.
Cosa siam capaci di far piuttosto noi, che del diritto e dei diritti, ormai ben conosciamo tutti i fondamenti ?

 

 

FINE DELL’INFERNO