I “Grandi dell’Amiata”:  il poeta inglese Edward Hutton (parte II)

Di Antonio Pacini 

Questo è il secondo articolo che descrive le pagine di “Toscana Sconosciuta” -In Unknown Tuscany- del poeta inglese Edward Hutton. Hutton è stato un romanziere romantico, innamorato dell’Italia, della Toscana e dell’Amiata. Lo testimonia la sua opera, forse poco conosciuta ma molto intensa. Di seguito uno spaccato di vita amiatina, che ci parla di tradizioni molto forti, di un mondo che sembra lontanissimo quando invece è quello di un secolo fa. La montagna era protagonista di una grande tradizione che vedeva coinvolte tutte le valli circostanti e ancor di più, fino all’Umbria e al Lazio nella magica notte del quindici agosto. Alla cerimonia sacra si accompagnava parallelamente la voglia di vivere certi momenti da parte della gente e dei giovani. La notte successiva si soleva passare la notte nel bosco della montagna tra musiche, danze, fuochi e lanterne.

L’autore di Unknown Tuscany si trova nei boschi dell’Amiata al crepuscolo. Quella notte sarà celebrata la festa dell’Assunzione e i suoi compagni di viaggio stanno preparando le fascine per accendere il fuoco. Ancora allora si accendevano fuochi in tutta Italia per celebrare la Vigilia della Madonna di mezz’Agosto. Una volta buio la valle fu infiammata da centinaia di fuochi, ma se ne sarebbero visti a migliaia dalla vetta della montagna. La pira più grande di tutte era l’imponente pira accesa sul Monte Amiata, posta al centro di un mirabile anello di fuoco a dominare il territorio fra Acquapendente e Viterbo, e l’Umbria intera dal Trasimeno a Spoleto. Il giorno seguente come ogni anno ci fu la processione mentre la sera la festa proseguì in mezzo ai castagni. Il tradizionale pernottamento in montagna da parte di badenghi e forestieri è sicuramente eredità di questa grandiosa celebrazione. Il poeta ci racconta di seguito come continuava la festa: “Nella sera dopo il tramonto, ci furono danze sotto ai castagni, alla luce della luna e al suono di mandolini. Qualche volta poteva accadere che una ragazza ballasse con un’altra, un uomo con un altro uomo; ma questo era solo l’inizio, poiché ognuno di essi era alla ricerca di un compagno e, senza troppe cerimonie, appartandosi con lui, iniziava quella strana, deliziosa danza di campagna che è così piena di grazia, così languida, ma anche così piena di vita. Ai movimenti più conosciuti si mescolavano figure più rozze, che alcuni non conoscevano, ma che con la pazienza e la cortesia latine, erano ben contenti di imparare, sedendo in piccoli gruppi mentre qua e là rilucevano lanterne che ondeggiavano tra gli alberi”. Leggendo le pagine di Hutton viene da pensare che il mondo poteva essere bello anche a quei tempi. La gente tribolava, viveva con semplicità ed erano già arrivate le miniere a sfruttarci rovinando la salute dei nostri antenati. Ma c’era ancora tanta voglia di vivere. Il mondo moderno non aveva ancora intaccato certi riti, certe Tradizioni e non c’era ancora la comodità della tecnologia. Erano “costretti” a suonare i mandolini, a cantare senza l’ausilio delle casse, a guardarsi nel viso alla luce del fuoco, sotto una luna non artificiale. Quanta nostalgia per quel mondo che non si era ancora perso perché non aveva ancora gli strumenti per perdersi. Per certi frangenti verrebbe quasi da provare invidia, un’invidia sana per una dimensione comunitaria dove ci si poteva ancora fidare di qualcuno, dove bastava ‘spullerarsi’  nell’aia per ridere a crepapelle, dove la gente cantava chissà quali canzoni con un’intonazione fantastica e dove c’erano ancora i mestieri, i saperi rurali, i dialetti, la conoscenza delle erbe come patrimonio culturale di tutti. Sicuramente quei giovani contadini di cui parla il poeta erano più sani di noi, meno innaturali ed inibiti, meno bisognosi di stordirsi col rumore o con l’alcool e forse sapevano trovare un po’ di felicità. Adesso che abbiamo conosciuto la modernità possiamo discernere, seppur con un certo sforzo, la ricchezza delle cose antiche. Possiamo ancora scegliere se abbandonare il mondo antico con le sue Tradizioni oppure se ritrovarlo, magari un po’ alla volta e con umiltà. Ciò che è stato non scompare per sempre e nel profondo di noi abitanti di montagna potrebbe esserci ancora un fuoco per alimentare ad esempio il culto alla Vergine Maria; un culto che sicuramente è ancora più antico e serve a perpetuare -exotericamente o esotericamente che sia- una potenza millenaria. Sarà per questo che i mondialisti vogliono distruggere le Tradizioni e vogliono cancellare ciò che sta dietro alla parola “Maria”, perché sanno quanto grande è la loro potenza. Il futuro non sta nella digitalizzazione dell’essere umano, nel controllo globale; quella sarebbe solo una regressione. Quei personaggi di campagna partecipavano ad un grande rito senza sapere tutto il suo significato, si sentivano semplicemente più euforici in certi momenti, più vitali e tutto scorreva naturalmente. La sfida del millennio potrebbe essere quella di ritornare al villaggio, a fare l’orto, a raccogliere le erbe nei campi e celebrare certi riti ma con l’esperienza di ciò che è stata la modernità. Nell’evoluzione umana c’è per forza l’affermazione dell’individualità, della persona cosciente di se e del mondo da cui non è isolata. l’Affermazione delle qualità personali diventa uno slancio per la Comunità di cui si deve tornare a far parte, poiché senza Comunità non c’è Individuo e viceversa. “Il futuro ha un cuore antico” diceva Carlo Levi, e forse questo significa ritornare ad essere ciò che si è ma con maggiore consapevolezza di esserlo. Mentre i capi del forum economico mondiale parlano di modificare il DNA umano per scopi capitalistici nei villaggi sperduti si preparano le fascine per rinvigorire il Fuoco purificatore di Ferragosto. Cosa può il nulla mondiale contro il tutto particolare, l’automa delle metropoli contro l’individuo del villaggio, il potere effimero del denaro contro quello eterno del Sacro? Agli involuti il nichilismo, a noi millenni di Tradizione. Sulla Montagna Sacra arde la pira per incoronare la Regina dei Cieli. 336 kB