Il personaggio del mese di settembre 2020: il poliziano Antonio Garosi e la sua passione per la scrittura che gli nasce dalla lettura. Ha appena pubblicato una raccolta di racconti gialli “K550 e altri racconti”. Garosi Ama condire le sue opere con riferimenti alla storia, senza mai trascurare l’umanità dei personaggi che nascono dalla sua fantasia e, anche per questo, ama Gianrico Carofiglio e Mark Twain. Ha già scritto un romanzo ma è deciso a pubblicarlo solo quando la pandemia sarà un lontano ricordo.

Di Francesca Andruzzi

A Montepulciano vive e lavora Antonio Garosi, classe 1971, che spinto da colleghi e amici ha deciso di pubblicare una raccolta di racconti ‘gialli’, K 550 e altri racconti”. Già vincitore, nel 2016 e nel 2017, dei concorsi letterari “GialloBirra” a Perugia e “Renzino” a Foiano della Chiana, Antonio Garosi ama condire le sue opere con riferimenti alla storia, senza mai trascurare l’umanità dei personaggi che nascono dalla sua fantasia e, anche per questo, ama Gianrico Carofiglio e Mark Twain.  Nel periodo del lokdown ha iniziato un romanzo, deciso a pubblicarlo solo quando la pandemia sarà un lontano ricordo. La passione di Antonio Garosi per la scrittura nasce dalla lettura, perché solo leggere, e molto, può guidare la penna sul giusto percorso che conduce una passione a trasformarsi in lavoro.

 

D.: Si definisce “da sempre appassionato di scrittura”. Le passioni nascono, in genere, grazie a uno stimolo. Chi, o cosa, la sua ispirazione per questa passione?

R.: La mia passione per la scrittura nasce direttamente dalla lettura. Per me le due cose vanno di pari passo. Ricordo che quando frequentavo le scuole elementari, mi regalarono “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Credo di averlo letto quattro o cinque volte, desiderando, già da allora, di poter scrivere un libro così bello. Naturalmente, come spesso accade da bambini, le idee passano rapidamente in secondo piano; basta un imput che ti riporti verso un gioco da fare con gli amici o una qualunque altra distrazione. Sono trascorsi molti anni, fino al 2014, prima che cominciassi a scrivere, spinto da alcuni amici, che mi chiesero aiuto per creare articoli per un giornale.  

D.: Nel 2014, infatti, inizia, scrivendo articoli sportivi, la collaborazione con un giornale di Siena. Quale sport preferisce e quanto, secondo lei, il giornalismo sportivo è in grado di avvicinare i giovani a questa pratica salutare?

R.: Lo sport che preferisco è quello che viene definito il più amato al mondo, sicuramente il più amato in Italia: il calcio. Anche se seguo altri sport, come il nuoto e lo sci. Per quanto riguarda il giornalismo sportivo, secondo me, è veramente importante per avvicinare i giovani allo sport. Naturalmente per giornalismo sportivo intendo non solo la carta stampata, ma tutto ciò che passa anche attraverso il resto dei social media, per finire con il più seguito, cioè quello che passa su tutte le televisioni, pubbliche e private. Tenga conto che un bambino vede praticare uno sport, si appassiona e chiede ai propri genitori di provare a fare proprio quello! Per questo motivo ritengo davvero molto, molto importante il giornalismo sportivo.

D.: Vincitore, nel 2016 e nel 2018, di due prestigiosi concorsi nazionali, uno dedicato ai racconti “gialli”, l’altro ai racconti per ragazzi. Due generi differenti, eppure legati da un fil rouge: entrambi stimolano il ragionamento e la curiosità, entrambi per lungo tempo penalizzati, nel panorama letterario, quasi relegati a generi di serie “b” e poi, finalmente e recentemente, la giusta considerazione, anzi, una vera e propria riscoperta, da parte di critica e lettori. Quali i motivi, a suo parere? 

R.: Ho un’idea tutta mia, che non pretendo essere quella corretta, magari sto sbagliando in pieno. Ritengo che il successo dei gialli sia cresciuto da quando gli autori hanno cominciato ad occuparsi di tematiche sociali. L’ho fatto anche io, nel secondo racconto della mia raccolta “I Morti Non Tornano Mai”, ambientato negli anni trenta del secolo scorso. Ho cercato di mettere in luce la condizione femminile in quel periodo. Naturalmente, per quanto possibile in un racconto breve. Certamente, all’interno di un romanzo, le tematiche sociali hanno molta più possibilità di essere sviscerate e, di conseguenza, creare interesse nel lettore.  Ho inserito questi temi anche nei racconti dedicati ai giovanissimi che, come mi aspettavo, hanno compreso perfettamente la serietà e l’importanza.  

D.: Lei, dunque, scrive racconti. Perché questa scelta? E pensa che un giorno vorrà cimentarsi in un romanzo? 

R.: Ho iniziato a scrivere racconti per partecipare ai concorsi, perché sentivo la necessità di confrontarmi rapidamente con coloro che condividevano la mia stessa passione. Ho scelto la via più breve. Anche perché, e non vorrei sembrare presuntuoso, ho una buona capacità di riassumere, fatti e situazioni. In occasione del lokdown, quando siamo stati costretti a restare chiusi, a lungo, nelle nostre case, mi sono cimentato in un romanzo giallo, scrivendo tutti i giorni, con pochissime interruzioni, riuscendo così a portare a termine, in quei momenti difficili, il mio primo romanzo. Non ho ancora deciso se pubblicarlo o cercare un agente letterario. La seconda possibilità mi intriga molto. In ogni caso, aspetterò, prima di muovermi, che il problema della pandemia sia risolto. Credo, perciò, di avere ancora del tempo per riflettere e prendere una decisione.

D.: Nei sette racconti che compongono la sua pubblicazione intitolata “K 550 e altri racconti”, lei spazia dal giallo classico di deduzione, al mistery, passando per il giallo storico, quasi a voler soddisfare tutti gli appassionati del genere. Ma quale preferisce? E perché?  

R.: I miei preferiti, tra quelli da lei citati, sono due: il giallo classico di deduzione, meglio ancora se ambientato ai giorni nostri. In questo modo ci sono molti meno problemi nel creare dal nulla storie con personaggi e situazioni a noi più vicine nel tempo, anche se, ci tengo a dire, i miei sono fatti e personaggi totalmente di fantasia. È molto più facile creare storie ambientate nel presente. Tuttavia, visto che mi piace interessarmi alla vita dei nostri antenati, spaziando dall’antica Roma all’età moderna, per me non è difficile raccontare storie del passato. Il rischio, scrivendo questi racconti, è quello che le informazioni, le curiosità relative al periodo storico prevarichino, in qualche modo, la trama del giallo, annullando la bontà dell’intreccio creato. È proprio questo il rischio maggiore quando si ambienta un ‘giallo’ nel passato.  

D.: I suoi personaggi sono sempre vicini alla realtà, conservano umanità. Quanto conta ritrovarsi in un personaggio di fantasia, sia per lo scrittore che per il lettore, per la buona riuscita di un’opera letteraria? 

R.: La risposta è facile. Ritrovarsi in un personaggio di fantasia per chi scrive, ma in maniera ancora più accentuata per chi legge, è tutto! Per il primo è importantissimo che tutte le emozioni e le sensazioni dei personaggi arrivino al lettore, in modo che lo stesso diventi il protagonista del romanzo, cercando indizi assieme al detective, toccando tutto ciò che riguarda il protagonista, vivendo letteralmente le sue emozioni, così da essere portato a continuare a leggere, per arrivare al termine. Alla soluzione del caso.

D.: A proposito di gialli… la pandemia, che abbiamo attraversato e che stiamo ancora vivendo, sembrerebbe aver scatenato la fantasia di molti, i cosiddetti “complottisti”. Virus creato in laboratorio, Ordine Mondiale deciso a decimare l’umanità, controllo totale delle popolazioni tramite la rete, Grande Fratello che controlla anche i nostri respiri. Per un appassionato di gialli come lei, è tutto da buttare o magari, anche solo in aspetti marginali, la realtà può superare la fantasia?  

R.: La sua domanda ha immediatamente messo in moto la mia fantasia. Qui più che un giallo ci vedrei bene una bella spy story, un intrigo internazionale con Paesi intenzionati a trarre vantaggio dalla situazione e altri decisi a bloccare i malintenzionati di turno. Pane per Giuseppe Esposito, l’agente segreto, nato dalla mia penna che opera alle pendici del Vesuvio. Esposito risolve i suoi casi con l’astuzia, l’estro, ma, soprattutto, grazie alla sua umanità, caratteristica dei militari italiani. Non so dire, poi, se nella pandemia la realtà superi la fantasia. Certo è che, a volte, ne abbiamo riprova sfogliando i giornali o seguendo i vari notiziari.  

D.: Torniamo con i piedi per terra. Solo chi scrive sa quale impegno di spesa si deve affrontare per la pubblicazione del proprio libro, la partecipazione ai concorsi, le numerose copie donate ad amici e parenti. E poi la crisi delle vendite, che tocca anche i più “famosi”. A suo parere, per scrivere e pubblicare occorre necessariamente avere un lavoro… di supporto?  

R.: Sì, è necessario, in particolare per i numerosi appassionati di scrittura che, come me, si dilettano a inventare storie nel tempo libero, anche solo per propria soddisfazione. Ci sono concorsi ai quali si può partecipare gratuitamente, altri, invece, richiedono un esborso. Anche nei casi in cui l’iscrizione è gratuita, il vincitore deve andare a ritirare il premio e, di conseguenza, affrontare delle spese più o meno gravose. Per la pubblicazione di un libro, poi, i costi aumentano notevolmente, arrivando a diverse centinaia di euro.

D.: Si usa dire “nemo propheta acceptus est in patria sua”. È sempre vero? E come ha accolto Montepulciano, la cittadina dove risiede e lavora, le sue pubblicazioni? 

R.: I miei concittadini hanno accolto molto bene i miei libri. Sono stati proprio i miei amici, i colleghi di lavoro, ma anche semplici appassionati di lettura a chiedermi di pubblicare i miei racconti, fin da quando sono venuti a conoscenza, dopo la vittoria al “Giallo Birra 2016”, della mia passione letteraria. Spingendomi, accompagnandomi, incoraggiandomi in ogni occasione a pubblicare. Fino a oggi, fino alla recente uscita della raccolta di racconti.   

D.: Considerato che uno degli scrittori di gialli per eccellenza del nostro Paese ha conosciuto il successo dopo i sessant’anni di età, lei, che di anni ne ha neanche cinquanta, è disposto ad aspettare un decennio o più per arrivare, come suol dirsi, al grande pubblico? E quali sono le soddisfazioni che, nell’attesa, l’hanno maggiormente gratificata? 

R.: Sono disposto ad aspettare anni, per due motivi fondamentali, che rispondono ad entrambe le sue domande. Mi diverto a scrivere, a creare personaggi, intrecci, a far vivere ai miei lettori una specie di realtà virtuale, concedendo loro qualche momento di distrazione dalle difficoltà e dalle fatiche di ogni giorno. Dono a loro, ma anche a me stesso, la possibilità di vivere per un po’ nel mondo della fantasia. Nel frattempo, intendo continuare a partecipare a concorsi a livello nazionale e se si presentasse l’occasione, anche internazionale. Punto sempre a fare del mio meglio e mi auguro di poter risultare di nuovo vincitore.  

D.: Domanda fantastica: ha la possibilità di incontrare Carofiglio o Follett, per seguire un corso di scrittura tenuto da questi “famosi”. Chi sceglierebbe e perché?

R.: Gianrico Carofiglio, per la sua capacità di ricostruire la realtà sulle pagine dei suoi libri, con una rappresentazione di rigore quasi giudiziario, che, evidentemente, è il frutto del suo ex lavoro di magistrato. Ma anche per la profonda umanità con cui delinea i suoi personaggi, evitando di cadere nel tecnicismo. Una caratteristica a me cara e sempre presente anche nelle mie opere.