Oggi settimo appuntamento con i canti del Paradiso della Divina Commedia “ rivisitata” dal poeta Piero Strocchi

 

 94 (CANTO N. 15 DEL PARADISO)

(L’AVO CACCIAGUIDA)
Luogo – (Quinto Cielo o Cielo di Marte);
Presenze – (Gli Spiriti Combattenti per la fede);
Personaggi – (Beatrice; Cacciaguida);
Argomenti – (Cacciaguida descrisse le abitudini di vita e la morigeratezza dei costumi della Firenze del suo tempo; Poi narrò della sua partecipazione alla Seconda Crociata quale Cavaliere agli ordini del Re Corrado III° di Svevia).
Come la lira celeste può essere suonata così come interrotta dalla mano di Dio,
Così si interruppe l’eloquio dei beati, ed il pensiero mio
Fu che gli Spiriti Combattenti non intendessero mostrarsi indifferenti alle preghiere dei vivi.
È giusto che arda nell’Inferno, colui che non si fa attirare dai beni celesti, mostrando per i soli beni effimeri, interessi eccessivi.

95 (Spiriti Combattenti per la Fede: Cacciaguida parla a Dante, che ancora non sa chi egli sia)
Mi apparve uno Spirito – che seppi solo successivamente esser Cacciaguida – che pareva una stella cadente,
E mi parve si muovesse lungo il braccio destro della croce, a me più evidente,
Al pari di una fiammella che visibile si scorge dietro una parete di alabastro,
E che in seguito mi capiterà di nominar «topazio».
Come l’anima di Anchise accolse suo figlio Enea nei Campi Elisi,
Così Cacciaguida a me si rivolse con toni dolci ma decisi.
Il suo parlare era di tal elevato livello,
Che faticai a capirlo, e nella turbativa che sopraggiunse, fui consapevole di aver smarrito il mio controllo.

96 (Cacciaguida si manifesta a Dante)
Espresse la sua gioia, quello Spirito, per me ancora ignoto, che tosto mi avrebbe rivelato essere il mio avo Cacciaguida,
Rallegrandosi del mio arrivo, che da tempo attendeva.
Rivolsi il mio sguardo a Beatrice, con un’espressione che manifestava la mia curiosità in quell’istante timida,

E lei mi incoraggiò a lasciar narrare quello Spirito, che in quel momento a me si presentò.
Lo Spirito dichiarò di esser Cacciaguida, un mio antenato,
E mi informò che suo figlio Alighiero I° da più di cento anni si trovava in Purgatorio, nella Seconda Cornice.
Alighiero I°, era il mio bisnonno, e Cacciaguida mi invitò a pregare a suo beneficio, per rendere più breve quella permanenza nel secondo regno.

97 (Cacciaguida narra a Dante della Firenze del Secolo XII°)
Cacciaguida mi narrò della Firenze del XII° secolo
E dalla sua narrazione capii quanto fosse migliore il viver nella Firenze del suo tempo, un vero miracolo.
Allora era una città molto più piccola, e che viveva in modi più discreti,
Senza lusso sfrenato, né avidità di ricchezza, che poi invece diventeranno consueti.
Allora Firenze era di ampiezza più contenuta nelle sue vecchie cinte murarie,
E la popolazione non ostentava gioielli e monili che non possedeva, né abiti alla moda, e tanto meno si dava troppe arie.
Al pari le figlie che non avevano intrapreso l’usanza di un precoce matrimonio col fardello di una capiente dote:
Anche le case non erano che modesti alloggi, per giunta assai spartani.
La gente per strada indossava vesti in pelle,
E le donne senza belletti apparivano più belle.
Non c’era il pericolo dell’esilio,
E le fazioni politiche non erano l’un dell’altra quel facile bersaglio
Che si dimostreranno essere al tuo tempo, mio caro Dante,
E c’era maggior rispetto tra la gente, reciprocamente !!!
Io nacqui nella tua stessa città e venni battezzato nel Battistero.
Ebbi Moronto ed Eliseo quali miei fratelli, e mi sposai con intendimento serio,
Legando le mie gesta alla Seconda Crociata, dove nel 1147 seguii l’Imperatore Corrado III° di Svevia, qual suo Cavaliere,
E dove purtroppo persi la vita in battaglie ben lontane dalle toscane frontiere.
Ma quella morte elevò il mio spirito, e mi concesse il divino dono
Del Paradiso, e per i miei peccati terreni il conseguente totale perdono.

98 (CANTO N. 16 DEL PARADISO)

(L’AVO CACCIAGUIDA NARRA A DANTE LA STORIA DI FIRENZE)
Luogo – (Quinto Cielo o Cielo di Marte);
Presenze – (Gli Spiriti Combattenti per la fede, del Quinto Cielo o Cielo di Marte);
Personaggi – (Beatrice; Cacciaguida);
Argomenti – (Cacciaguida narra degli antenati di Dante, della sua nascita, della popolazione di Firenze a quei tempi, quali fossero le principali famiglie fiorentine e le loro decadenze e divisioni che portarono fino alla loro contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini).
Se in cielo dell’elevatezza del nostro casato me ne faccio vanto,
Non ci dobbiamo poi stupire se ciò a maggior ragione avviene in terra, perché la nobiltà si manifesta evidente, quasi fosse un manto,
Che di misura si riduce quando lo indossi,
Almen che non s’allunghi, ma ciò si realizzerà solo per l’agir di una discendenza che al meglio si professi.
Con me Beatrice assunse un atteggiamento discreto e benevolo,
Come la dama di Malehaut, a cui sfuggì un colpo di tosse durante il primo furtivo incontro tra Ginevra e Lancillotto: al pari la mia amata accennò un tenero sorriso quando iniziò a parlare il mio trisavolo.
E con il mio importante avo, con il quale usai un riverente “Voi”, iniziai quell’incontro,
Dissi al mio capostipite: “Mi riempie di gioia e d’orgoglio questo incontro,
Ma qualche domanda pur devo porvi, sui miei antenati, sul tempo in cui siete nato e poi vissuto, e su come si presentava al tempo il nostro territorio, la cui storia meglio vorrei conoscer dal di dentro”.

99 (Cacciaguida narra a Dante la sua nascita e lo sviluppo demografico di Firenze)
Lunga fu l’attenzione che mi prestò il mio avo Cacciaguida, a cui peraltro si illuminò il viso per la gioia del rispondermi, esprimendosi però in un’arcaica lingua che dal fiorentino da me parlato, era ben distante:
La sua voce era dolce e soave, e la sua anima si illuminò come un tizzone che arde al soffiar del vento, in ciò costretto da un fuoco travolgente.
Iniziò col dirmi Cacciaguida: “La mia nascita avvenne Mille e novantuno anni dopo l’Annunciazione a Maria di quella nascita inattesa,
Ed avvenne in un’epoca che i posteri definiranno «feudale», nel rione di Porta San Pietro, dentro la prima cerchia di mura di una «Firenze incorrotta».

Il che tra l’altro dimostra la discendenza romana dei tuoi avi, in un’epoca in cui l’insegna del giglio mai prese il colore del vermiglio, e mai fu capovolta per sconfitta o tramutata per divisione: un’epoca devo dir senza contesa.
Di numero era esiguo il popolo fiorentino, un quinto delle attuali presenze, ma in breve tempo la città si inurbò dei tanti «villani che vennero dal contado»,
Venuti da Signa, da Montemurlo, da Acone – una frazione di Pontassieve – e dalla Val di Greve, che avrebbero presto imbastardito la popolazione,

Ed ovunque diffuso degrado e corruzione.
Tutto andò bene a Firenze, finché l’etnia originaria cittadina, quella, per capirsi discendente dai Romani,
Non si confuse con gli altri vicini confinanti e con i superstiti Fiesolani.
Fu proprio quella misticanza di popolazioni l’origine dei molti mali della futura società,
Essendo i nostri prossimi del contado d’indole faccendiera e barattiera, in quanto privilegiavano i commerci ed il cambio di valuta, che era la loro principale attività.
Così, in breve tempo, si creò e si diffuse nel nostro territorio, corruzione e soprattutto avidità.
Anche la Chiesa non restò estranea a queste calamità,
Nell’accumular per sé anche il potere temporale, oltre che denaro in grande quantità.
Per questo nacquero forti contrapposizioni anche tra la popolazione,
Dissapori, contrasti tra le famiglie più influenti, finché il popolo si divise in due fazioni, tra Guelfi e Ghibellini, che poi nella tua epoca, Dante, ferocemente si combatteranno tra loro non solo per il potere, ma per ogni banale motivazione.

100 (Cacciaguida narra a Dante le origini della diatriba tra Guelfi e Ghibellini)
L’annosa diatriba tra i Ghibellini e i Guelfi, insorse nel gennaio 1216 quando Mazzingo de’ Mazzinghi organizzò una festa nel suo castello di Campi Bisenzio, per onorare, com’era d’uso, la sua nomina a cavaliere.
Durante il banchetto un giullare, per fare uno scherzo ai partecipanti, e ravvivare la festa, sottrasse un tagliere di carne a due invitati: a Buondelmonte de’ Buondelmonti e ad Uberto degli Infangati.
Il Buondelmonte non accettò di buon grado lo scherzo ed un terzo personaggio, Oddo Arrighi de’ Fifanti provocatore abitudinario, si intrufolò nella vicenda, accusando ingiustamente dello scherzo Uberto degli Infangati.
La questione finì inevitabilmente in rissa, secondo i migliori costumi dell’epoca, e il Buondelmonte al termine del banchetto, per reazione allo scherzo subito, ed alle parole dette successivamente, ferì a morte con una coltellata, Oddo Arrighi de’ Fifanti, proprio «l’abitudinario provocatore».
Per «sistemare» la vicenda che aveva ormai assunto toni drammatici, venne proposto un «matrimonio pacificatorio» tra lo stesso Buondelmonte – che peraltro era vedovo – ed una nipote di Oddo Arrighi de’ Fifanti, con tanto di contratto notarile e di penale risarcitoria a carico del Buondelmonte ove le nozze non fossero state celebrate.
Però subito dopo aver sottoscritto l’accodo, si verificò un inatteso contrattempo: inopportunamente si inserì nella diatriba una donna che ne era totalmente estranea: si trattava di Gualdrada Donati, la moglie di Forese Donati detto «il Vecchio», un soggetto del tutto estraneo anche lui a quella vicenda.
Gualdrada iniziò a sbeffeggiare con un certo tono irrisorio il Buondelmonte, accusandolo di aver «mollemente» accettato quel matrimonio solamente per paura; e gli propose piuttosto in sposa sua figlia, che peraltro era una ragazza molto graziosa.
Gualdrada si rese ancor più disponibile, anche a corrispondere la penale dovuta dal Buondelmonte.
Il giorno stabilito per il matrimonio risarcitorio con la nipote di Oddo Arrighi de’ Fifanti – era il 10.02.1216 – il Buondelmonte neanche si presentò in chiesa: si recò invece in casa Donati per prendere gli ultimi accordi per la stipula «dell’altro matrimonio».
Gli Amidei, la famiglia più influente, e le altre a cui si era rivolta la famiglia di Oddo Arrighi de’ Fifanti per «lavare» lo sgarbo subito, su proposta di tal Mosca de’ Lamberti, decisero che il Buondelmonte dovesse essere assassinato, perché il suo superbo agire, a loro dire, aveva superato ogni limite.
Decisero inoltre che l’agguato mortale alla sua persona, sarebbe stato teso proprio il giorno della celebrazione di «quelle altre nozze», in Ponte Vecchio, il luogo più significativo di Firenze, ed esattamente all’altezza della «pietra scema» così chiamata perché era un residuo frammento della statua dedicata a Marte, l’antico «protettore di Firenze».
L’evento che ti ho appena narrato, mio caro Dante, fece molto scalpore in città, dividendola di fatto in due fazioni contrapposte.
Questo fu il contesto in cui per la prima volta si parlò di Ghibellini – cioè gli Amidei, gli Uberti che erano molto legati all’Imperatore, i Lamberti, i Fifanti ed altre importanti famiglie fiorentine; e di Guelfi, cioè i Buondelmonti, i Pazzi, i Cerchi e i Donati, gli Infangati ed altre famiglie ancora.
Ben duecento anni sarebbe proseguita questa feroce contrapposizione che si sarebbe poco dopo allargata a macchia d’olio su tutto il territorio italiano:
Con guerre intestine tra i popoli, che lasciavano sul campo parecchi morti, ancor più feriti, lacerando l’intero nostro territorio, la coesione e la solidarietà tra i diversi popoli e non solo …

101 (Cacciaguida si dichiara essere uno Spirito Combattente)
Io sono uno Spirito Combattente: quanto agli altri tuoi avi, preferisco non fartene menzione,
E tu ben puoi capire quale sia, di questo mio silenzio, la vera ragione …”
Del resto, tra me e me commentai, la società nella quale io stesso vissi era fondata ormai sul consumo e sull’edonismo:
Mentre invece io ancora aspiravo ad un società fondata invece sulla privazione e sull’ascetismo!!!

102 (Cacciaguida narra a Dante delle antiche famiglie fiorentine, e gli anticipa la notizia del suo esilio)
Riprese il suo discorso Cacciaguida: “Quanto alle principali famiglie fiorentine ti darò qualche informazione su tante illustri casate in disgrazia o già cadute, ed infine
Narrerò anche il tuo doloroso esilio,
Che prima di me nell’Inferno te lo annunciarono Farinata degli Uberti, Brunetto Latini e Vanni Fucci; e nel Purgatorio Oderisi da Gubbio, Corrado Malaspina e Forese Donati.
Del resto tieni anche in considerazione come son finite le città di Luni e di Urbisaglia – l’una impaludata dai suoi corsi d’acqua, con fenomeni naturali favoriti dai disboscamenti in precedenza effettuati, e l’altra ceduta al Comune di Tolentino nelle Marche – e parimenti come si stanno spegnendo sulle loro tracce anche le città di Chiusi e di Sinigaglia che avevano la piaga del clima malarico, che solo dopo parecchi secoli sarebbe stato debellato.
Certo non ti stupirai del fatto che nello stesso modo, anche se per diversi motivi, pure le famiglie andarono in rovina.
Se non fossero sopraggiunti i Fiesolani, insieme agli altri villani del contado,
Cioè quelli provenienti anche da Campi Bisenzio, da Certaldo e da Figline Valdarno, o da Galluzzo e da Trespiano, località tutte che alla mia epoca segnavano i confini ultimi di Firenze,
Magari i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, ed i Buondelmonti in Val di Greve.
Uno dei personaggi che influenzò la nascita di Firenze fu Ugo di Brandeburgo, detto «il Grande», Margravio di Toscana – il margravio, durante il periodo feudale, che mi riguardava, era il titolare dei poteri amministrativi e giurisdizionali di una marca – un Signore che si sarebbe potuto identificare in epoca successiva, di parte Guelfa, vissuto 51 anni fino al 1001, illuminato della storia, che tra l’altro fondò ben 7 monasteri nella marca Toscana, e che trovò utilità nello sviluppare la città di Firenze – rispetto alla città di Lucca che era la precedente sede della marca toscana – grazie all’esistenza dell’Arno che favoriva i commerci, completando il suo corso in mare.
Tutte le famiglie cittadine che recavano nel loro stemma l’insegna del Conte Ugo di Toscana, ricevettero da lui la dignità di Cavaliere, ed il privilegio di mantenere nel loro stemma di famiglia anche il suo stemma.
Nell’antica cerchia muraria di Firenze si entrava attraversando la porta che prendeva il nome dalla famiglia Della Pera, che poi forse divennero i Peruzzi.
Al mio tempo c’erano le famiglie degli Ughi, dei Catellini, dei Filippi, dei Greci, degli Ormanni e degli Alberichi; e di pari potenza le famiglie dei Soldanieri, degli Ardinghi e dei Bostichi, con quella dei Sannella e dei Dell’Arca.
Vicino a Porta San Pietro stanno ora i Cerchi – mercanti appunto originari di Acone in Val di Sieve – una famiglia vile e senza nerbo;
Lì dove prima abitavano i Ravignani avi del conte Guido Guerra – uno dei tre sodomiti che incontrasti nell’Inferno e di cui hai parlato proprio qui nel Canto 16 – e di Bellincione Berti.
Al mio tempo erano importanti le famiglie Della Pressa, Galigai e Pigli, i Donati ed i loro eredi Calfucci; le famiglie Vaio, Sacchetti, Giochi, Fifanti, Barucci, Galli e Chiaramontesi,
I Sizi e gli Arrigucci, che erano famiglie destinate a ricoprire alte cariche cittadine.
Hanno avuto un illustre passato:
La famiglia degli Uberti una celebre famiglia Ghibellina “che si son disfatti per la loro superbia” ed a cui appartenne Farinata e che fu bandita da Firenze nel 1266;
La famiglia dei Lamberti, con le loro palle d’oro nello stemma, famiglia ormai estinta, che diede lustro a Firenze con le loro valorose imprese.
Durante il periodo della «vacanza» del Vescovado i Visdomini e i Tosinghi ne amministrarono le rendite;
Gli Adimari – pur se di umili origini – sono stati una famiglia che, come spesso avviene fu forte con i deboli e debole con i forti;
Tu stesso li descrivi in questo Canto 16 come “l’oltracotata schiatta che s’indraca dietro a chi fugge, e a chi mostra il dente o ver la borsa, com’agnel si placa …”;
Ovvero: trattavasi di una prepotente consorteria che si accaniva contro gli esuli, mentre con i forti ed i corruttori si placava come si placa un agnello.
Degli Adimari fece parte quel Filippo Argenti che tu non avesti mai in simpatia.
Da Fiesole provenivano i Camposacchi che abitavano a Mercato Vecchio, i Giudi e gli Infangati;
Influenti erano le famiglie Importuni e Gualterotti, che andarono ad abitare a Borgo Santi Apostoli;
Quindi furono gli Amidei che diedero il là a quelle importanti discordie cittadine per il fatto che riguardò proprio Buondelmonte, da cui iniziò la lunga contesa tra Guelfi e Ghibellini”.

103 (CANTO N. 17 DEL PARADISO)

(L’AVO CACCIAGUIDA)
Luogo – (Quinto Cielo o Cielo di Marte);
Presenze – (Gli Spiriti Combattenti per la fede, del Quinto Cielo o Cielo di Marte);
Personaggi – (Beatrice; Cacciaguida);
Argomenti – (Dante chiede al Cacciaguida notizie sulla sua vita futura; Prescienza di Dio; Esilio di Dante; Rilievo della missione poetica di Dante per i posteri; La figura di Cangrande della Scala).
Credo che questa mia opera avrà il destino di lasciar traccia di rilievo nella storia,
Perché ciò che è stato consentito alla mia persona, è cosa di importanza primaria,
Cioè l’attraversare l’al di là restando vivo, pur potendo a tutti apparir cosa aleatoria,
È un fatto di cui non c’è ricordo, nell’umana memoria.
Ma nella mia narrazione non mi sarà consentito mostrar una qualche simpatia ai personaggi, tutti di rilievo, che ho incontrato e che incontrerò lungo il mio percorso.
La credibilità di ciò che narro nel mio poema, prescinde naturalmente dalla mia personale opinione su persone, eventi e cose:
Vuole esser piuttosto denuncia e consapevolezza del tempo da me vissuto, dei suoi profondi mali, e dei ripetuti ed erronei atteggiamenti degli uomini, purtroppo nel tempo dimostratisi costanti e ripetitivi.
Nel corso della mia vita ho ritenuto che la mancanza più grave, del nostro Paese, fosse l’assenza dell’autorità imperiale in grado di garantire l’applicazione delle leggi;
Se a ciò si aggiunge la corruzione già largamente diffusa nella Chiesa romana, che ha modificato nel profondo l’animo delle persone, meglio capiamo perché il lume della ragione, al tempo in cui ho vissuto, ha perso di credibilità.

104 (Scopo della mia missione poetica)
La mia missione ha il presupposto della narrazione della verità,
Ed il render comprensibili gli eventi di cui son stato testimone durante la mia vita, ma soprattutto durante il mio viaggio nell’al di là.
E considerando il grande privilegio che mi è stato concesso, nel poter osservare da vicino le sofferenze delle anime dannate dell’Inferno,
E quelle delle anime penitenti del Purgatorio, pur sostenute dalla speranza di un miglior futuro,
Devo pur confessare che il Paradiso è stato per me assai consolatorio, per la sua divina grandezza, lì dove le anime beate vivono e vivranno in eterno il loro premio.
Ebbene, necessita che i posteri abbiano traccia di questo mio percorso, affinché gli uomini in futuro,
Osservando i comportamenti tenuti nel passato da personaggi noti, illustri e rispettati,
Sappiano ricavare per sé stessi il giusto esempio, oppure più di un insegnamento duraturo.

105 (Ciò che avviene nel mondo è noto alla mente divina; Cacciaguida preannuncia a Dante il giogo dell’esilio)
Cacciaguida riprese con me il suo discorso, perché non si erano ancor concluse le richieste mie.
Nell’Inferno e nel Purgatorio più di un’anima aveva espresso nei mie confronti, oscure profezie,
Per cui sulla materia, chiesi a Cacciaguida dei ragguagli,
Pregandolo di parlar con me senza mettersi bavagli.
Maggiormente si accese la sua luce, e con parole chiare
Iniziò nuovamente il suo favellare:
“Tutti i fatti presenti e futuri che avvengono nel mondo, sono già marcati nella mente divina,
Quasi si trattasse del semplice movimento, sul tavolo degli scacchi, di una pedina:
Questo non vuol dir però che trovino poi riscontro concretamente,
Essendo il libero arbitrio la migliore espressione di autonomia della nostra mente”.
Cacciaguida mi profetizzò in quella circostanza, il mio obbligo ad abbandonare la città di Firenze, e il dover sostenere il giogo dell’esilio: un esilio amaro che mi obbligherà a provare “come sa di sale lo pane altrui”:
A significarmi che dovrò pormi necessariamente al servizio di Signori potenti, e presso di loro nel caso umiliarmi, senza derogar però alla mia morale, in quelli che saranno i miei giorni più bui.

106 (L’esilio e la Battaglia della Lastra)
“Caro Dante – proseguì Cacciaguida – purtroppo tu sarai esiliato da Firenze,
Come Ippolito da Atene, direi del tutto ingiustamente”.
Pur se il maggior fastidio ti verrà dai fuoriusciti come te,
Che cercheranno di porre in essere una rivalsa, tentando il rientro in città nella «battaglia della Lastra», del Luglio 1304, a cui tu però non parteciperai, e dove 400 fuoriusciti come te moriranno senza trovare giusta gloria.

107 (Ippolito e Fedra)
Ma torniamo alla vicenda di Ippolito che – mi disse Cacciaguida – come me dovette abbandonare la sua città perché da suo padre Teseo «esiliato».
Il tutto ebbe origine perché Afrodite – la Venere dei Romani – si lamentò del fatto che Ippolito, il figlio di Teseo, la riteneva la peggiore tra le divinità; onorando invece molto di più Artemide – la Diana dei Romani – che dedicava il suo tempo a cacciar nei boschi.
Afrodite di questa scarsa considerazione però si vendicherà, facendo sorgere in Fedra una forte attrazione d’amore per il figliastro Ippolito, che non riuscì a reprimere a tutti i costi.
Ippolito mi sento sola
Dentro di me l’amore è sbocciato, nascosto per te
Sento un gran fuoco e la mia forza non si consola.
Non so dominarmi, e non capisco neanche bene il perché.
Teseo era in esilio, e mi è mancato il suo supporto,
Ma ora che è morto
Il mio amore passionale voglio per te liberare.
Insomma Ippolito, io ti voglio amare.
Questo è il grido d’amore di Fedra,
La figlia di Minosse, il re di Creta, che il figliastro Ippolito sdegnato subito rifiuta,
Anche perché lui ama Aricia, la principessa del suo cuore,
E prova per lei un grande amore.
Teseo, che invece non era morto, ben presto ritornerà ad Atene.
Fedra, gelosa per quell’amore impedito,
Di un’inventata violenza subita da Ippolito, narrò al marito appena tornato,
Qual vendetta finale per quelle sue inespresse pene.
Teseo al dio suo padre, Poseidone, per risolvere quella questione, chiese una maledizione
Per quel figlio capace di una simile grave azione,
Tanto che Ippolito fu costretto a fuggire dalla reggia del padre.
Attaccato il suo carro da un mostro marino e dalle sue infuriate puledre,
Che trascinarono il suo corpo sull’impervio terreno,
Fin quando Ippolito si accasciò a terra, morto.
A quel punto il rimorso prese Fedra alla gola,
Che al marito finalmente si decise a narrare la giusta parola.
Ahimè la tragedia però ormai s’era compiuta
Ed ognuno aggiungendo un pezzo l’aveva costruita.
Teseo piangente tornò dal dio padre,
Nel vano tentativo di fermare quella richiesta maledizione:
Ma ormai il destino s’era compiuto,
Perché Ippolito con la sua vita aveva pagato, direi senza ragione.
Per aver la certezza di quella punizione, Ippolito, cacciato, era stato vittima di un mortale agguato,
Che pose fine alla sua vita in modo ingiustificato.
Se anch’io verrò esiliato come mi si dice, fu il pensiero che subentrò nella mia mente
Riuscirò comunque a viver serenamente,
Oppur in ogni momento dovrò temere agguati, e ancor di più, riuscirò più a viver quanto mi rimane della vita, così come avevo vissuto precedentemente?
Il dilemma non mi consentiva di avere la risposta in quel momento
Ma dopo un’iniziale preoccupazione mi misi più tranquillo, ed ora più non mi lamento.

108 (Cangrande della Scala, Ghibellino, Signore di Verona)
Da Cangrande della Scala, Ghibellino, Signore di Verona – che non arriverà a viver quarant’anni – potrai ricevere rifugio e protezione:
Egli verrà nominato Capitano Generale della Lega Ghibellina:
Sarà un uomo d’ingegno militare e politico: ora però è un bambino di soli nove anni, ma presto compirà imprese notevoli in più di un’occasione.
Mai si curerà dell’argento, né degli umani affanni,
Mettendo nel suo agire una saggezza quasi contadina.