Il libro del mese di agosto 2022: “Le Confessioni di Frannie Langton” di Sara Collins. Un invito alla riflessione sulla parola “schiavitù” che, a distanza di secoli, è  presente ai giorni nostri sotto diverse forme

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Di Francesca Andruzzi

 

Siamo nella Londra del 1800, una ex schiava, proveniente dalla Giamaica, è accusata dell’omicidio dei proprietari, marito e moglie, della lussuosa residenza nella quale ha prestato servizio come sguattera. Un giallo storico, in cui non mancano risvolti psicologici; sapiente la narrazione, elegante, grazie all’apporto della traduttrice italiana, Federica Oddera (troppo spesso dimentichiamo la bravura dei nostri traduttori della letteratura straniera).  Coinvolgente la storia narrata, ove la fantasia si confonde con eventi realmente accaduti e che rappresentano, ancora oggi, una delle vergogne del genere umano.  Proprio questa vergogna ci offre, questo mese, lo spunto per riflettere su un argomento, su un fenomeno che cambia la sua forma attraverso i secoli, ma nella sostanza non muta. La parola ispirata da questo bel libro è: SCHIAVITÚ.  Ben conosciamo la schiavitù patita dalla protagonista di questo romanzo, quella schiavitù che sembra avere radici profonde fin nelle prime, cosiddette, civiltà. L’hanno patita gli Ebrei in Egitto, le popolazioni africane fin dai tempi della Roma antica. E anche oggi, purtroppo, questo odioso fenomeno è ancora in essere.  Ma quali altre tipologie di schiavitù esistono e, magari, non sappiamo riconoscere, nonostante ci riguardino da vicino, nonostante ci rendano, anche inconsapevolmente, schiavi?  Il termine schiavitù deriva da schiavo, dal latino medioevale sclavus, slavus: prigioniero di guerra slavo (da Vocabolario Treccani). La schiavitù è, dunque, la prigionia dello schiavo, considerato come proprietà privata, declassato a cosa, oggetto, privato della propria umanità.  Potremmo pensare, dunque, che ogni qualvolta perdiamo la nostra umanità ci trasformiamo in schiavi? A pensarci bene, deve essere proprio così. In fondo, perciò, anche gli schiavisti erano – e sono – a loro volta schiavi, perché privi di umanità.  Lo schiavo era ed è totalmente dipendente, la sua vita dipende da chi lo schiavizza. Ludopatia, alcolismo, tabagismo; non sempre è necessario cercare chi esercita forme di schiavitù tra gli umani. Un mazzo di carte, un biglietto della lotteria, una bottiglia, un pacchetto di sigarette possono renderci schiavi. Dietro queste “cose” indiscutibilmente c’è sempre la mano dell’uomo, che guadagna dalla dipendenza di altri esseri umani; ma c’è anche la scelta di chi decide di fare un abuso, anziché un uso, di questi oggetti. Spesso si può diventare schiavi per scelta.  E possiamo pensare, per un attimo, alle forme di schiavitù subdole, quelle che si mascherano anche da beneficio? La tecnologia, ad esempio. Certamente, in astratto, essa significa progresso. In concreto, però, nella sua applicazione pratica, nel rapporto costi/benefici, essa è realmente progresso? Se il progresso fosse da riconoscere esclusivamente nella vita “facile”, la risposta potrebbe essere positiva. Ma progresso significa avanzare e spesso la vita cosiddetta “facile” non stimola ad andare avanti, ad avanzare a progredire. E si avanza, si progredisce nella relazione umana; concetto che la tecnologia odierna sembra aver posto in uno stato di quiescenza. Non è necessario consultare trattati filosofici e sociologici sul punto, può essere sufficiente osservare chi è seduto in compagnia al tavolo di un ristorante, di un bar, sulla panchina dei giardini pubblici. Schiavi del proprio smartphone, connessi altrove, ma non c’è connessione tra le persone che in carne e ossa (e anima) consumano un pasto, gustano un caffè. Non c’è relazione umana, non c’è crescita. C’è la tecnologia che riduce l’umano in una condizione di schiavitù. Nulla sembra essere più possibile nella nostra vita, privata e lavorativa, senza quel contenitore di fotografie, social, messaggistica di ogni tipo, notizie in tempo reale.

 

Frennie Langton ha conosciuto la schiavitù in Giamaica, poi una condizione di servizio, in una casa patrizia londinese, che poteva considerarsi equiparabile alla schiavitù. Ma erano altri tempi, era il 1800.

 

Oggi, fortunatamente, siamo nel 2022…