Oggi quinto appuntamento con i canti del Purgatorio “rivisitati” dal poeta Piero Strocchi  

46 (canto n. 11 del Purgatorio)
Luogo – (Purgatorio, Prima Cornice);
Custode – (Angelo dell’Umiltà);
Peccatori – (Superbi);

Peccato – (Mancanza di amore verso il prossimo);
Pena – (Le anime penitenti erano ricurve sotto un grande macigno ed erano costrette a guardare in basso; mentre in vita con presunzione miravano in alto);
Personaggi – (Omberto Aldobrandeschi, Oderisi da Gubbio, Provenzano Salvani).
Eravamo ancora nella Prima Cornice, ed i Superbi stavano recitando la loro preghiera, che era il “Padre Nostro”.
Mi venne spontanea una riflessione: “Se le anime penitenti del Purgatorio pregano per i vivi, a maggior ragione i vivi dovrebbero pregare per esse …”
Virgilio di me certo più concreto augurò a quelle anime di poter scontare presto la loro pena, per potersi poi dirigere verso il Paradiso e proprio queste furono le parole che il Maestro pronunciò,
Per poi chieder loro quale fosse il percorso più breve per giungere alla Cornice successiva:
“Ed ove ci fosse stato più di un varco – precisò – indicateci pure quello meno ripido, perché Dante, essendo un uomo vivo, preferirebbe una più mansueta via”.

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Una delle anime penitenti rispose a Virgilio sostenendo che il percorso adatto per Dante era lì, sulla destra, dove erano ben visibili alcune zolle.
A parlare fu l’anima di Omberto Aldobrandeschi, che pur non riusciva a scorgermi, non potendo alzar la testa a cagione di un gran masso che portava sulle spalle.
“Sono il secondo figlio di Guglielmo Aldobrandeschi, e faccio parte di quell’antica famiglia Guelfa toscana: noi fummo Conti di Sovana e Pitigliano, e le valenti gesta dei miei avi compiute nel tempo,
Mi hanno reso superbo e verso il disprezzo dell’umanità mi hanno condotto nel contempo”.
Questo fu il suo parlare, tutto d’un fiato: ebbene, Omberto morì nel 1259 – e questo lo posso dir per certo – mentre era in corso un combattimento contro i suoi nemici Ghibellini;
Eppur morì in modo strano: soffocato nel suo letto da uomini incappucciati, che poi si seppe, erano dei senesi di professione assassini.

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Ero ancora intento a coglier le parole di Omberto ed a ricercar nella mia testa un suo ricordo, semmai l’avessi conosciuto in vita non so come;
Quando un’altra anima, che individuai lì alla mia destra mi si rivolse con far del tutto familiare, chiamandomi per nome.
Lo riconobbi a prima vista:
Io per primo fui a dirgli: “Ma tu sei Oderisi, il famoso miniatore della città di Agubbio, che poi verrà chiamata Gubbio: o piuttosto mi son sbagliato?”
Gli chiesi devo dire anche un poco emozionato …
Oderisi sì, era proprio lui e mi rispose con tono moderato, direi modesto:
“Pur se mi ricordi per le miniature, a maggior ragione dovresti ricordare quelle di Franco Bolognese, che di me fu molto più capace in quella non facile arte; tieni bene a mente questo
Che ti dico: in vita mal sopportavo il ripartir con lui la gloria della mia arte:
Mai avrei ammesso la sua superiorità per via della superbia che animava il mio spirito, io ritenendomi – tra i due – il più capace ed il più forte.
Del resto, la gloria effimera di un uomo è destinata a durar poco;
Presto arriverà qualcuno che la tua capacità supererà, quasi si trattasse di un inevitabile gioco
Che la vita fa con chiunque.
Come l’erba quando appare bella verde e rigogliosa a primavera ed anche in estate, e poi in autunno e d’inverno, per il mutar delle stagioni, tutta si rinsecca, comunque”.

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Oderisi, per dar credibilità a quanto da lui stesso sostenuto, portò ad esempio il grande fiorentino Giovanni Cimabue – figlio di Cenni di Pepo – che nella sua stessa arte venne superato, poco dopo dal suo allievo Giotto; che credo rimanga il più bravo di tutti quanti.
Stessa cosa avvenne anche per Guido Guinizzelli, un poeta Ghibellino precursore del Dolce Stil Novo, superato nella poesia, poco dopo, da Guido Cavalcanti;
Mentre, aggiunse – forse con un pizzico di preveggenza – magari è già nato colui che entrambi li supererà …
Che si riferisse per caso proprio a me? Questo chi lo sa?
Insomma la fama resta un soffio di vento,
Che a volte tira a ponente, oppure a levante, ogni tanto.

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Oderisi poco dopo mi indicò un altro personaggio che camminava avanti a lui.
Si trattava di Provenzano Salvani, un senese Ghibellino, che assunse un ruolo di rilievo nella battaglia di Montaperti, e nel successivo convegno di Empoli, dove propose la distruzione della città del giglio, ormai sconfitta in battaglia: per noi fiorentini quelli furono momenti tristemente bui.
“Vedi Dante, mi disse Oderisi, Provenzano – pur pentitosi solo alla fine della sua vita – ottenne il privilegio di accedere subito al Purgatorio – senza sostare come gli altri nell’Anti Purgatorio – perché, pur all’apice della sua fama, si umiliò ad elemosinare il riscatto per un suo concittadino prigioniero di Carlo I° d’Angiò, in Piazza del Campo”.

51 (canto n. 12 del Purgatorio)
Luogo – (Purgatorio, Prima Cornice);
Custode – (Angelo dell’Umiltà);
Peccatori – (Superbi);

Peccato – (Mancanza di amore verso il prossimo);
Pena – (Le anime penitenti erano ricurve sotto un grande macigno ed erano costrette a guardare in basso; mentre in vita con presunzione miravano in alto).
Ormai il Maestro ed io stesso, dovevamo procedere oltre, nel nostro viaggio nella Seconda Cantica dell’Oltretomba;
Stavamo lasciando la Prima Cornice per salire ormai verso la Seconda.
Quando Virgilio mi invitò ad osservare sul pavimento di roccia che in quel momento stavamo calpestando,
Sculture simili a quelle che si trovano sul sagrato delle chiese, mentre nelle navate, in preghiera, i penitenti vanno camminando.
Come le altre sculture di cui ho prima detto,
Anche queste si presentavano veritiere nel loro magnifico e luminoso aspetto.
La superbia punita, ancora una volta era l’elemento di quella nuova osservazione, a comune avvertenza,
Alla quale eravamo condotti dalla storia dentro alcuni eventi di nostra conoscenza.

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Era rappresentato Lucifero, nell’atto di precipitare giù dal cielo;
Il Gigante Briareo colpito a morte dalla freccia di Zeus, mi appariva coperto da un immaginario velo;
Ares il dio della guerra, Atena la lanciatrice d’asta,
Protettrice della casa e della città, con Apollo in festa,
Intorno a Zeus per dar festeggiamento
Alla vittoria degli Olimpici sui Giganti, che mi sembrava quasi di viver proprio lì, in quel momento.
Il gigante Nembrod accasciato ai piedi della Torre di Babele, ancora un cantiere;
Ed ancora era raffigurata Niobe, la figlia del re Tantalo, fiera della sua numerosa prole di quattordici figli, che alla loro morte per mano di Apollo e di Artemide,

Pur convertita in pietra dal dolore, mai cessò di piangere.

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E ancora la scultura di Saul, il primo re di Israele, che pur di non cadere prigioniero dei nemici Filistei,
Si sacrificò gettandosi sulla propria spada sul monte Gilboa, e che per questo incorse sia nell’ira del buon Dio – per cui quella terra non vide più né pioggia né rugiada – che in quella degli dèi.
Poco più in là la scultura del re Assiro Sennacherib, celebre per la sua superbia che lo portò alla follia,
E che mosse guerra contro il re di Giuda, Ezechìa.
Lottando per conquistar Gerusalemme, eppur, nella sua empietà, contro il Dio d’Israele bestemmiò.
Fu proprio a seguito di ciò, che Dio lo punì, ed in una sola notte circa duecentomila dei suoi uomini vennero uccisi e quasi nessuno si risparmiò.
Il re assiro perciò abbandonò quei funesti piani, rientrando a Ninive, dove egli
Venne ucciso da due dei suoi figli.
Ed ancora la scultura di Aracne, una giovane fanciulla, di cui ci narra Ovidio, che per la sua superbia osò sfidare Atena nell’arte della tessitura;
Agire davvero inopportuno fu il suo, che la trasformò in un ragno, cambiandole natura.
Intravvidi anche la scultura di Erifile, che da suo fratello Adrasto, venne corrotta con una collana d’oro,
A convincer suo marito Anfiarao – re di Argo – a partecipare alla Guerra dei Sette contro Tebe; ben sapendo che lui e i suoi lì sarebbero stati uccisi, ahimè dannati loro;
Che da suo figlio Alcmeone poi, venne uccisa per vendetta.

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Mi soffermai con una certa attenzione, sulla scultorea narrazione di Giuditta ed Oloferne,
Sempre più affascinato da quelle sculture luminose e naturalmente taciturne.
Tanto bella appariva Giuditta, la vedova Ebrea, che con sé portava anche il suo natural dono,
Quando si recò presso la tenda di Oloferne, comandante dell’esercito di Nabuccodonosor, il re degli Assiri, apparendo in foggia anche un pò dimessa nel proprio intendimento;
Quasi chiedendogli perdono,
Ed offrendo l’apparente suo finto tradimento,
Ma recando dentro di sé l’orgoglio di un giusto risentimento.
Con la sua ancella
Giuditta, la vedova bella,
Oloferne un po’ circuendo,
Che di Giuditta in realtà s’era invaghito: ma ahimè per lui, un pò troppo bevendo,
Si accasciò sul suo letto sfinito;
Il comandante in quel momento essendo assai indebolito
Chiamò a sé Giuditta per averla compagna al suo fianco,
Per farla sua, addirittura, forse sua amante immaginandola financo.
Ma con la sua scimitarra due colpi ben netti Giuditta però gli assestò,
Coraggiosa nel suo gesto poi festeggiò.
Determinata, Giuditta la testa tagliata di fretta ad Oloferne sottrae,
E dentro una cesta nascosta che con sé recava di soppiatto, subito la mise.
Trofeo di dolore, pur lei stessa l’ammise,
Per donarla come trofeo al suo popolo, che la pose sulla più alta picca, affinché giusto orgoglio per sé ne trasse.

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L’ultima scultura che si presentò alla mia vista, dopo tutte quelle storie
Fu la città di Troia in cenere e macerie.
Ancora avevo nella testa quelle sculture così vive, che mi appariva al passo successivo di non essere ancora pronto:
Quando Virgilio mi rivolse la parola per dirmi: “Ora alza il tuo sguardo, Dante, vedi è quasi mezzogiorno, e l’Angelo si prepara a venirci incontro:
Assumi un atteggiamento di riverenza, perché ora saliremo di Cornice”.
Bianco e spendente era l’Angelo, che aprì le braccia e spalancò le ali: in quel momento mi sentii felice.
“Avvicinatevi – ci disse l’Angelo dell’Umiltà – qui troverete dei gradini, ma la salita diverrà più agevole”.
Poi con le sue ali mi batté la fronte ed il Maestro mi spiegò che la prima “p” mi era stata in quel momento cancellata, ed il conseguente beneficio per me sarebbe stato ragguardevole.
“Vedi Dante – proseguì Virgilio – man mano che saliremo le Cornici, ti verranno cancellate le “p” dalla tua fronte; così che più in alto salirai e più ti sentirai libero e leggero”.
Ci stavamo dirigendo ormai verso la scalinata per salire sulla Seconda Cornice, quando sentimmo le anime cantare: “Beati pauperesspiritu”, devo dire, con tono soave e lusinghiero.