Oggi quinto appuntamento con la Divina Commedia “rivisitata” in narrazione poetica da Piero Strocchi

 

22 (canto n. 9) (Città di Dite) (Messo celeste)
Luoghi – (Sesto Cerchio, Città di Dite o di Lucifero);
Custodi – (Erinni o Arpie o Furie);
Categoria – (I Settari eretici);
Pena – (Gli Eretici ed i Settari sono parzialmente ciechi e stanno dentro tombe infuocate, come se fossero stati condannati al rogo nel corso della loro vita);

Contrappasso – (Effimera fu la luce delle dottrine che gli Eretici ed i Settari seguirono in vita, e che causò la cecità del loro intelletto: ora gli Eretici e gli Epicurei, pur se parzialmente ciechi sostano nelle tombe infuocate: però dopo il Giudizio Universale la loro cecità sarà assoluta);
Personaggio – (Messo celeste).
In attesa del messo celeste volante che avrebbe aperto la città, Virgilio mi rasserenò.
Ora però necessitava entrar nella città di Dite,
Circondata dallo Stige, come forse sapete.

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In alto sulle mura sostavano a custodire la città Dite, le tre Erinni, ovvero le tre Arpie, o le tre Furie infernali,
Nate dal fiume Acheronte e dalla Notte.
Solcavano le mura della città, di cui erano guardiane, accogliendo – certo non gradevolmente – chi vi entrava, però nel loro aspetto sempre mal ridotte.
Erano sporche di sangue, con le loro acconciature a foggia di serpenti, che erano per loro tradizionali.

Secondo una consolidata tradizione i loro nomi erano: Megera, Aletto e Tisifone.
Megera l’invidiosa era appunto addetta all’invidia, alla gelosia e al tradimento, nonché alla coniugale infedeltà, con punizioni che l’uomo con sé condurrà per l’eternità.

 

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Aletto era colei che invece mai riposava;
Infaticabile persecutrice dei peccati morali, la collera, l’accidia e la superbia, era di per sé alquanto ombrosa.
Tisifone agli umani crimini del parricidio, matricidio e fratricidio, era invece dedita,
Quando l’essere umano per tali malvagi comportamenti, la giusta punizione merita.

 

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Con le unghie si squarciavano ognuna il petto,
Si percuotevano anche tra loro essendo in conflitto.
Io timoroso a quella vista, mi strinsi a Virgilio, mentre le Furie gridavano ed imprecavano, con un vocìo che quasi mi rintronava,
Auspicando l’arrivo di Medusa che solo a pietrificar la mia persona mirava.
Però dell’arrivo di Medusa fui subito avvertito da Virgilio: e allora mi voltai e chiusi gli occhi,
Che al mortal tranello della Gorgone, io non “abbocchi”.

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Aprì la città di Dite, il messo celeste velocemente arrivato, senza nulla dire.
Annunciato da un vento prepotente e forte,
Quasi fosse stato un direttor d’orchestra, che con una bacchetta ne apriva le porte,
Rimproverando duramente i diavoli, in quanto oppositori al nostro ingresso in quel grande “villaggio”,
E biasimandoli proprio per la loro contrarietà al nostro passaggio,
Che con sguardo benevolo ben ci osservava, senza profferir parola, per poi subito ripartire.

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Una volta entrati dentro la città,
Osservammo sepolcri in grande quantità;
Sepolcri aperti dove soffrivano le anime dannate dei settari eretici,
A bruciare e a lamentarsi per il male da loro fatto quand’erano in vita, e quindi adesso per quel motivo in gran difficoltà,
Perché nel corso della loro vita, erano stati contro gli altri negativi artefici.

28 (canto n. 10) (Eretici) (Farinata)
Luoghi – (Sesto Cerchio, Città di Dite);
Custodi – (Centinaia di diavoli, Erinni);
Categorie – (Gli Eretici e gli Epicurei);
Pena – (Gli Eretici e gli Epicurei sono parzialmente ciechi e stanno dentro tombe infuocate, come se fossero stati condannati al rogo nel corso della loro vita);

Contrappasso – (Effimera era la luce delle dottrine che gli Eretici e gli Epicurei seguirono in vita, e che causò la cecità del loro intelletto: ora gli Eretici e gli Epicurei, pur se parzialmente ciechi sostano nelle tombe infuocate: però dopo il Giudizio Universale la loro cecità sarà assoluta);
Personaggi – (Manente degli Uberti, detto “il Farinata”; Cavalcante de’ Cavalcanti).
Proclamando dell’anima la mortalità,
Contestualmente alla mortalità del corpo, gli epicurei si liberarono da paure e turbamenti,
E perseguirono il piacere e la felicità, che davano loro la ricercata stabilità.
Anche considerando il dolore dei tristi eventi, di cui comunque è breve la durata:
Questa era la filosofia dal greco Epicuro manifestata.
A Dite giacevano i suoi proseliti eresiarchi, sospinti negli aperti sepolcri.

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Importante allievo di Epicuro,
Fu Tito Lucrezio Caro, che nacque nell’antica Pompei o ad Ercolano nel 94 a.C. e che rimase in vita almeno quarant’anni di sicuro;
Che nel suo poema “Sulla natura”,
Della filosofia epicurea fece la più completa mappatura.

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Secondo tal filosofia le divinità risultavano estranee alle origini del mondo.
Il timore della morte doveva esser ritenuta una paura irrazionale,
E l’anima al pari del nostro corpo, non poteva essere immortale.
Temere non dovevamo la felicità ma nemmeno il dolore, che pur per sua natura permane breve: teniamo bene a mente tutto ciò mi raccomando.
Questi erano i principi di Epicuro,
Che davano modo all’uomo, di esser consapevole e sicuro.

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Io incuriosito chiesi a Virgilio di osservare in questo Sesto Cerchio, le anime dannate senza alcun riguardo,
Essendo le tombe sepolcrali della città, almen per ora favorevoli al nostro sguardo.
“Saranno chiuse quelle tombe nel giorno del giudizio universale – osservò Virgilio – per poi non più riaprirsi”.
E di questo del resto visto il posto dove ci trovavamo, non occorreva meravigliarsi.

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Quindi scorsi nei miei pressi un’anima che mi riconobbe: era l’anima di Manente degli Uberti, a tutti noto come “il Farinata”, comandante Ghibellino dall’animo visionario.
La sua voce da una tomba parve chiamarmi, essendo io lì vicino,
Ma non con il mio nome mi chiamò, piuttosto nominandomi “Toscano dall’accento fiorentino”,
E quindi della stessa città di quella dannata anima, originario.

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In vita “il Farinata” fu un gran bell’uomo: di un vivace color biondo platino erano i suoi capelli, e di una beltà che i contemporanei la definirono: “che abbaglia”:
Nobile era lui stesso e tutta la sua famiglia,
Nobile parimenti il suo animo, e questo ancor di più si deve rimarcato.
Essendo della battaglia di Montaperti, nel 1260, il Ghibellino condottiero, ed il vincitore conclamato,
Che dalla pugna salvò però Firenze ed evitò il volere dei suoi partigiani, cioè la distruzione della città, che lui aveva sempre amato.
Il suo spirito per fortuna dalla fede politica non era rimasto accecato.

 

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Gli chiesi, dopo qualche battibecco, essendo stato io tra i Guelfi, mentre l’altro parteggiava per i Ghibellini:
“Con chi condividi nella tomba la tua pena ?”
Il Farinata mi rispose: “Con più di mille anime sofferenti:
Anch’esse come me qui penitenti,
Tra le quali Federico II di Svevia ed il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini”.
Mi aggiunse inoltre una personale previsione: “Tra quattro anni, mio caro Dante, conoscerai l’esilio come l’ho conosciuto io, e nella tua città più non rientrerai.
Noi anime dannate, come sai, conosciamo il futuro degli altri, ma quello più lontano, mentre quello più vicino non riusciremo a leggerlo mai”.
Nulla più aggiunse sopra agli altri, “il Farinata”, che dentro al suo sepolcro si ritirò, volgendo a me ed a Virgilio, la sua schiena.

 

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In quel momento alzò la testa dalla sua tomba il Guelfo filosofo Cavalcante de’ Cavalcanti, che fu in vita di finissimo intelletto e di ogni argomento critico.
Fu padre di Guido, che mi fu grande amico.
Non poco mi stupì nel non veder suo figlio, lì da presso
Del resto a Guido, poeta stilnovista, pari dignità rispetto a me, gli venne riconosciuta lo stesso.
Poi Virgilio mi richiamò da quella mia mentale coltre,
Perché a quel momento, il nostro tragitto doveva proseguire oltre.